Maternità, perché leggere Sheila Heti

Maternità, perché leggere Sheila Heti

“E tu hai figli?”
“Quando me lo fate un nipotino?”
“La prossima volta tocca a voi!”
“Eeeh ora dici così, ma tra qualche anno ne vorrai uno.”
“La maternità è una cosa naturale di tutte le donne. Tutte noi, prima o poi, vogliamo diventare madri.”
“E non pensi a quando sarete vecchi? Chi baderà a voi?”

Avete rotto il cazzo.

Avevo iniziato questo articolo scrivendo di me che lavoro in libreria, che mi sto divertendo, che sto imparando tante cose nuove e non mancano le soddisfazioni.
Ma no.
Arriviamo alla vera protagonista del testo: la maternità. O meglio, il libro Maternità di Sheila Heti, scelto nel gruppo di lettura della libreria dove lavoro. È la prima volta che leggo qualcosa di suo, e so che dovrei essere imparziale, ma è un’autrice assolutamente da leggere.

Ecco il libro del mese. Maternità di Sheila Heti, definita la scrittrice che dà voce alla sua generazione ma non dà risposte. Ammetto di condividere gran parte delle cose che ha scritto all’interno del libro, sulla scelta di avere o non avere figli. È stata ed è in grado di intrecciare momenti della sua vita, dei suoi pensieri e della sua quotidianità con una tale maestria da farci immedesimare nelle sue stesse tribolazioni dell’essere donna. E una scrittrice.

E cosa c’è da criticare? Tutti i più grandi scrittori ci dicono di iniziare a scrivere di ciò che conosciamo. E lei lo ha fatto.

Maternità

Porsi delle domande in continuazione. Lo fa in ogni suo libro.
Maternità è un intero monologo con se stessa tra le domande che formula sulla pagina e le risposte sì/no date da tre monetine dell’I Ching.
Domanda.
Risposta.
Domanda.
Risposta.
Uno schiaffo alle convenzioni e ai limiti narrativi, la parola d’ordine è: osare.
Sheila Heti ha scritto Maternità proprio quando le sue amiche iniziavano a fare figli, accorgendosi che lei non ne aveva la minima intenzione. O forse sì?

E allora se non cambia molto per te, e non cambia molto per il mondo, fai ciò che è meglio per il mondo e non avere un figlio.
Nascere non è intrinsecamente un bene. Se non nascesse, al bambino non mancherebbe la sua vita. Invece, nulla fa più male alla terra che la nascita di un altro essere umano, e nulla fa più male a un essere umano che venire al mondo.

Avere o non avere figli. Questa è la domanda che percorre l’intero romanzo, la domanda di maternità alla quale ogni donna risponde. Una domanda che spesso, anche con fare maldestro, viene posta da amici, parenti o addirittura sconosciuti.
Se non si hanno figli è la donna a dover rispondere all’interrogatorio ed è lei a dover motivare la scelta.
Scegliere di diventare madre oppure no. Ed essere ugualmente giudicata.

Sheila Heti sgrana questi pensieri, si interroga in questo viaggio personale e, dando proprio voce alla sua generazione, condivide.
Questo continuo riflettere davanti al quale la protagonista si pone, mette al centro la responsabilità di essere madre, la paura di non esserne all’altezza ma anche il desiderio positivo di non volerlo essere.

Da un lato, la gioia di avere figli. Dall’altro, le tribolazioni dell’averne.
Da un lato, la libertà di non averne. Dall’altro, il rimpianto di non averne mai avuti: ma in fondo, cos’è che ci si perde?

Le riflessioni personali si allargano ad una sfera più grande, quella di tutte noi, riportandoci al ruolo della donna come genitrice, come lavoro (o occupazione) totalizzante che sembrerebbe lasciare poco spazio ad altro.

Perché facciamo ancora bambini? […] Le donne devono avere i bambini perché devono essere occupate. Quando penso a tutta la gente che nel mondo vuole vietare l’aborto, mi sembra che il senso possa essere uno solo: non è che vogliano una persona nuova al mondo, vogliono che le donne si occupino innanzitutto di tirare su i figli.
C’è qualcosa di minaccioso in una donna che non è impegnata coi figli. Una donna del genere dà un senso di instabilità. Cos’altro si metterà a fare? Che razza di guai combinerà?

L’ho apprezzato e in tutto ciò ho ritrovato anche gli interrogativi che io e tante altre ragazze come me, prima o dopo di me, ci siamo poste: decidere di diventare madri. O non diventarlo. Perché, citando Sheila, spesso le persone vengono incanalate verso un modello di vita convenzionale. Ma com’è possibile che ci sia un solo percorso giusto?

E soprattutto, cosa fare del suo utero può deciderlo solo quella donna.

#FastidiosamentePaziente

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Federica Fiordalice

Classe 1994, da sempre il suo sogno nel cassetto è scrivere libri e vivere grazie ad essi. A furia di stare con la testa tra le pagine, è finita su DmU per scrivere e provare a imitare i tanti autori che legge. Al momento ancora non ha scritto alcuna pagina, ma gli scaffali di casa sua continuano ad accumulare libri in attesa di essere letti. Scout per la vita, tra le sue passioni troviamo la corrispondenza cartacea, collezionare cartoline da tutto il mondo e la sua bignè a quattro zampe di nome Wendy. Figlia di Tosca Tassorosso e Durin, capostipite dei Nani tra le file di Tolkien. Dolce, paziente, un po’ stacanovista (a giuste dosi), perfezionista (q.b.). Maneggiare con cura: potrebbe rifilarti freddure di punto in bianco come strategia di difesa.

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