La televisione, il primo grande amore
Da trent’anni io ho una dipendenza e non intendo ripulirmi, anzi, se possibile, aumento le dosi. Io mi drogo di televisione. Guardo tutto, faccio zapping avidamente alla ricerca di qualcosa che possa placare l’appetito, la smania, senza risparmiare alcun canale. Dalla rete ammiraglia a quella di Cinisello Balsamo, dal programma di divulgazione scientifica alla lettura dei tarocchi di Roberto. Non ho pregiudizi e, lo riconosco, a volte neanche dignità. Davanti alla Tivvì come davanti ai Grisbì. La televisione è il mio primo grande amore.
Sono nata così, nel mio Dna c’è il gene del tubo catodico. Mi immagino che la mia nascita sia stata comunicata da Alessandra Canale, in lacrime per il lieto evento come per il suo ultimo annuncio (https://www.youtube.com/watch?v=JMu8Iw-xORY) . Mi piace pensare che a portarmi in volo sia stato Dodò in luogo di una cicogna qualsiasi. Sono cresciuta con la raccomandazione di Alberto Castagna a Stranamore che, ogni domenica sera, a fine puntata ci ammoniva: “Mi raccomando, fate i bravi”. Dopo vent’anni ancora ci provo, canticchio anche All You Need Is Love, ma non funziona, faccio sempre un gran casino.
Non sono qui per accusare nessuno ma questa patologia l’ho ereditata, è una tara familiare. I miei accendono il televisore la mattina appena svegli e lo spengono quando sono sicuri che anche Bruno Vespa abbia preso sonno, nel tepore del suo letto circondato dai suoi libri cioè i libri da lui scritti. La televisione accompagna ogni momento della giornata, scandisce il tempo, la vita.
Per questo io ho ricordi vividi legati a certi programmi degli ultimi trent’anni. Format, fiction, “sceneggiati” (come li chiamavano quando ancora non ero al mondo) anche non adatti all’età che avevo quando andavano in onda ma che consumavo morbosamente pure a scapito della mia formazione.
Cioè, per capirci, io non sono mai andata all’asilo perché volevo guardare Stellina, telenovela argentina che dubito sia menzionata nei manuali in cui studiano oggi gli educatori per la prima infanzia. Ma onestamente non credo di essermi persa molto degli anni all’asilo. Le poche volte che sono andata qualche bambino voleva convincermi che le cacche del naso si potessero mangiare. Io basita, a Stellina questa cosa non l’avevo mai vista fare.
Finché ho potuto, insomma, ho evitato di piegarmi al sistema scolastico di questo Paese a favore di un’istruzione da palinsesto molto più in linea con le mie potenzialità. Perciò l’upgrade è stato il grande, immenso e ineguagliabile maestro di vita Gianni Boncompagni. Tra i banchi di “Non è la Rai” ho imparato tutto quello che so adesso della leggerezza e della bellezza di essere frivole. Ok, poco, è vero, ho imparato poco. Ma mi applicavo un sacco, giuro.
Il mio modello non era tanto Ambra, una spanna sopra le altre ovviamente, quanto figure come Yvonne Sciò. Apparentemente secondarie ma che poi qualcosa nella vita hanno fatto. Tipo: https://www.youtube.com/watch?v=LPxy86tBUuY
Se oggi dessero le repliche di “Non è la Rai” io lo guarderei. Ma forse oggi un programma del genere farebbe discutere, susciterebbe polemiche, qualcuno ingaggerebbe una battaglia sulla dubbia correttezza di coinvolgere così tante ragazzine e farle esibire in quel modo ammiccante e – sosterrebbero – poco consono alla loro età. Erano altri tempi, siamo andati avanti. E infatti adesso abbiamo “Non è la D’Urso”.
Lo so che questa passione per la tv mi fa sembrare un po’ antica ma mi sembra un giudizio prematuro. Aspettate almeno vi dica che da bambina io guardavo anche “Ci vediamo in Tivù” di Paolo Limiti, in onda nel primo pomeriggio. Ora, qui siamo davvero alle teche Rai e so che i miei coetanei non capiranno. Ma io a questo programma voglio bene. Fine anni 90, primi 2000. Preistoria, lo so.
Però se ci penso sento l’odore di casa di mia nonna, il calore della stufa, vedo lei che lavora la lana e Paolo Limiti che racconta tutto quello che sa dello spettacolo e della musica italiani dalle origini ai suoi giorni. E ne sapeva davvero tanto. Nilla Pizzi sempre in studio e poi quella bambola parlante. No, non Justine Mattera, dai. Mi riferisco a Floradora, cane pupazzo con cui faceva delle gag garbate, da fascia post prandiale. Ecco, questo programma rivolto a un pubblico sicuramente agée è parte della mia infanzia, un ricordo vivo e bello che nessun Netflix o NowTv può cancellare o rimpiazzare.
Potrei riesumare qualche altro presentatore tv e rispolverare qualche altra teca ma non ho più tempo. La prima serata di Rai 1 sta per iniziare e devo chiamare i miei. Che se no poi, per sentirli, devo aspettare la prima pubblicità.
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