Un solitario dolore disperato

Un solitario dolore disperato

Giornate passate con la sensazione di coltelli affilati che affondano nel ventre e strappano carne e organi. Dolori difficili da spiegare e che non hanno tregua. Un male persistente che tocca picchi sempre più alti e non scende mai, se non dopo massicce dosi di farmaci. Notti interminabili fatte di pianti, tormenti e paure. Un sofferenza fisica talmente forte da mettere in ginocchio tutto il proprio vivere. Milioni di donne sono accompagnate da un solitario dolore disperato.

Tre milioni sono in Italia le donne che devono fare i conti con l’utero che va fuori posto. Sono ammalate di endometriosi.

Ovviamente non è che non si sposti l’utero ma porzioni più o meno grandi dell’endometrio, il tessuto che ricopre l’organo dell’apparato genitale femminile, che vanno a svilupparsi da altre parti. Il primo sintomo è il dolore, purtroppo troppo spesso taciuto e sottovalutato dai medici. Spasmi profondi e strazianti che con il tempo diventano cronici.

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Vania è una delle tante donne che dopo anni di sofferenze è arrivata alla diagnosi della sua malattia. Ricordo giornate passate a contorcermi dal dolore. Con una paura incontrollabile, le mani che tremavano, l’aria che mancava e gli attacchi di panico. Avevo il terrore delle visite e degli interventi.

Vania ha 47 anni, i capelli rosa e un compagno. E per molto tempo è stata bollata come come bugiarda, esagerata e inattendibile. La malattia l’ha aggredita in modo molto veloce e aggressivo. Un dolore fisico lacerante a cui si è unita una sofferenza morale che l’ha graffiata dentro.

L’endometriosi ha segnato per sempre la mia vita e ha portato via i miei sogni. Sono stata derisa, presa in giro e licenziata, per far posto a chi non era malata. L’ignoranza e la superficialità di chi mi ha trattata come una bugiarda non le dimenticherò mai.

Uno strazio dell’animo che si aggiunge come un macigno al dolore fisico. Non ci sono difese. Le donne vengono offese e umiliate.

Dopo decenni di tormenti e fitte intollerabili, a Vania arriva la diagnosi della sua malattia. E’ il giorno del suo quarantesimo compleanno e da quel momento nulla è più stato come prima. Ha affrontato sei interventi chirurgici in 5 anni. Ha sostenuto gli sguardi scettici di chi non le credeva. Sul lavoro ha dovuto schivare le occhiate delle colleghe che la osservavano con sospetto, e ha dovuto cedere al licenziamento, in seguito alla sua richiesta di part time, dopo che le era stata riconosciuta un’invalidità dell’80%.

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Un solitario dolore disperato

E’ una malattia invisibile perché dall’esterno non si vede. In Italia per stare male devi essere sciatta e trasandata, se invece ti curi nell’aspetto, sei ben vestita e sorridi allora devi giustificarti. Tu nel frattempo soffri tanto da non riuscire a respirare. Quando vi capita d’incontrare una donna che vi dice che è malata di endometriosi non sottovalutate il suo dolore, non pensate che stia inventando qualcosa solo perché all’apparenza sembra che stia bene.

Quello di Vania è stato un inferno, con molti interventi devastanti e dolorosi. Un’eterna condanna fatta da decine di esami invasivi e destinata a non terminare, perché non esiste una cura.

Ricordo i sogni infranti, i sorrisi perduti, i legami spezzati, la voglia di scappare e di dimenticare. Gli anni spezzati, i progetti svaniti, i miei occhi smarriti, il gelo intorno e il freddo in estate. Ricordo gli abbracci che avrei voluto e che non ho mai avuto, le parole che non mi sono state dette, la solitudine, la pioggia dentro e gli schiaffi all’anima. 


Dopo il licenziamento Vania è caduta in una forte depressione ma è riuscita a non sprofondare del tutto. E’ stata capace di trasformarsi. Il suo tempo libero lo ha messo al servizio di un messaggio importante: la tutela della salute, pure per chi è malata di endometriosi. Insieme a sette ragazze svolge anche un’attività di divulgazione negli istituti scolastici.

Sono diventata un’attivista dell’EndoMarch a livello mondiale. E qui nella provincia di Vercelli, dove abito, insieme alle mie sette amiche andiamo anche nelle scuole a informare. La cosa piacevole è vedere che sono più i maschi a fare domande. Il loro interesse è entusiasmante.

La patologia di Vania è risultata estremamente aggressiva. Come conseguenza di una grave endometriosi ai nervi le è stato inserito un neuromodulatore. I suoi nervi sacrali erano letteralmente mangiati dalla malattia e lei aveva così perso le importanti funzioni elementari, che una persona che non ha i nervi lesionati svolge nel quotidiano. 

Il neuromodulatore limita la normale esistenza di una persona: immaginate di avere una scatoletta nella schiena da cui partono dei fili che arrivano giù ai nervi sacrali e li si agganciano. Ecco. Bisogna sempre fare attenzione perché c’è il rischio che questi fili si stacchino, che l’aggancio salti, per cui zero movimenti importanti, torsioni, sollevamenti e così via. 

A tutto questo quadro clinico si è aggiunta la fibromialgia. Per cui Vania deve prendere farmaci molto forti, anche solo per potersi alzare dal letto. La sua vita sociale è ridotta al minimo e i movimenti sono lenti.

Un solitario dolore disperato
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Un solitario dolore disperato

Nel mio calvario la fortuna è stata avere vicino un compagno, e lo è da quattordici anni, che ha compreso ogni mio passo e il mio stare male. E’ stato sempre di fianco a me. E quando ascolto i racconti di donne e ragazze lasciate sole perché i rapporti intimi sono diventati insostenibili, a causa del forte dolore, rispondo semplicemente che chi le ha abbandonate non era la persona adatta a stare loro accanto.

Oltre a quel dolore fortissimo e terribile, che limita la vita sociale e affettiva, chi soffre di endometriosi deve vedersela anche con il mondo esterno che non mostra empatia.

E per questo combatterò ogni giorno per far sì che tutti comprendano cos’è questa malattia e perché nessuna subisca quello che ho subito io.


Tutti gli uomini sanno dare consigli e conforto al dolore che non provano.

William Shakespeare

L’endometriosi è una malattia di genere, colpisce solo le donne. Provoca sanguinamenti interni, infiammazioni croniche e tessuto cicatriziale, aderenze ed infertilità. E dolori. Atroci e insopportabili. E’ altamente invalidante, spesso recidiva. In Italia si stima che sia colpita una donna su dieci. Inoltre sembra che la giusta diagnosi arrivi solo dopo 10 anni dalla comparsa dei sintomi. Con una situazione di questo tipo, l’informazione è l’unica arma di prevenzione.

Mentre gli anni passano, il dolore si fa sempre più forte e diventa un ospite del tutto sgradito che si scontra con il vivere quotidiano. Deruba momenti familiari e intimi, chance lavorative e opportunità di svago. Uno scenario di vita dove i colori si fanno sempre più scuri, gli stati depressivi si fanno largo e il quadro sempre più spesso viene pennellato di nero.

Non è così facile farsi notare quando tutto il tuo mondo è nero

The Rolling Stones

Fino a qualche tempo fa l’endometriosi era considerata rara. Oggi le cause non sono ancora certe ma è talmente sviluppata numericamente che si è arrivati a definirla patologia sociale.

Un solitario dolore disperato

Non esiste una cura. Esiste un solitario dolore disperato, che si manifesta durante il periodo mestruale e premestruale, nel periodo dell’ovulazione, nei rapporti sessuali.

Nel 2007 è nata la Fondazione Italiana Endometriosi con il preciso scopo di attivare la ricerca sulla malattia. Attualmente i fondi destinati allo studio dell’endometriosi, a livello mondiale, sono circa 200 volte inferiori rispetto a quelli destinati ad altre malattie croniche.
L’obiettivo che la Fondazione si pone è anche quello di aiutare e sostenere le donne, diffondendo informazioni e seguendo le pazienti nel loro percorso di cura. Fondatore e Presidente ne è Pietro Giulio Signorile, medico e scienziato.

Non bisogna sottovalutare il dolore o continuare a dire che sia normale provare dolore. Non lo è affatto. Dicendo così, si finisce col ritardare la diagnosi con la conseguenza che possono aggravarsi i problemi, compresa l’infertilità.

La Fondazione Italiana Endometriosi, tramite il suo laboratorio, sviluppa la ricerca sulla malattia con progetti finalizzati alla scoperta di test di diagnostica precoce e terapie. Inoltre si è resa partecipe della scoperta, ormai affermata dalla comunità scientifica internazionale, sull’origine congenita della malattia, sconosciuta fino al 2009. La Fondazione poi ha portato avanti un’intensa attività istituzionale per la malattia, per migliorarne la conoscenze tra i cittadini e renderla di pari dignità rispetto alle altre malattie sociali. E per ridurre le differenze tra le malattie croniche e di genere. 

Ad oggi la cura più efficace risulta essere la rimozione di tutto il tessuto in laparoscopia, il resto delle terapie messe in atto serve solo a tamponare. E’ una malattia che si presenta già in età puberale e con l’andare del tempo risulta invalidante. Lavorare è complicato, portare avanti una vita di coppia è difficile, perché non si riescono ad avere rapporti sessuali, tanto da essere definita malattia allontana mariti, socializzare è tortuoso.

Il disastro fisico si aggiunge all’equilibrio instabile della mente. A livello psicologico infatti stare male e non essere credute è come una bomba pronta ad esplodere. La rassegnazione è sempre più radicata e cupa tanto da arrivare a uno stato simil depressivo.

Il fatto è che da un punto di vista medico possiamo cercare di addormentare i sintomi della malattia, ma il problema è sempre lì e prima o poi rispunterà fuori. Va sottolineato il molto dolore con cui le donne convivono, alcune hanno la morfina nella borsa.

Una rappresentazione avvilente.

L’endometriosi è una malattia di genere poco conosciuta che ha bisogno di studio. I tempi dei finanziamenti pubblici però sono biblici mentre la ricerca ha bisogno di velocità, anche per questo siamo orgogliosi di non prendere soldi dallo Stato. La Fondazione si sostiene con le donazioni private.

L’impegno della Fondazione è su più fronti. Individuare le cause della malattia, fare studio e ricerca, individuare i trattamenti sia psicologici che fisici da poter attuare. Il Prof. Signorile rimarca il ruolo importante dell’ente da lui presieduto.

La ricerca in special mondo è il punto cruciale. Abbiamo svolto un ruolo primario, dando vita a vari brevetti con il preciso obiettivo di limitare le infiammazioni, perché è stata dimostrata la correlazione tra stati infiammatori e malattia. Altro fattore importante è l’alimentazione. Quando si parla di dieta per l’endometriosi significa scegliere un regime alimentare che contribuirà in maniera determinante alla riduzione dei dolori e dell’infiammazione. In questa direzione abbiamo anche creato un integratore alimentare, Endoplus, ricco di sostanze naturali che aiutano a ridurre l’infiammazione senza ricorrere ad ulteriori farmaci.

A lato della Fondazione è sorta una community www.facebook.com/groups/endometriosi. La rete ha funzionato da passaparola e così è nato un luogo non fisico in cui le donne riescono a confrontarsi senza filtri. Il gruppo è gestito da chi la malattia la conosce. E ogni giorno si iscrivono 70-100 donne, dai 17 anni anni ai 45-50. Quotidianamente, dagli amministratori, vengono approvati dai 120 ai 300 post che riguardano medici e problematiche e parlano di come affrontare i risvolti psicologici. Anche l’account di instagram è molto seguito, con un’interazione quotidiana.

– Dove hai trovato la forza?

– Siamo donne, tesoro, la forza trova noi.

Lucy e Charlie Brown, Charles M. Schulz

Ogni anno viene organizzata una marcia mondiale, per coinvolgere il maggior numero di persone sul tema dell’endometriosi.

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L’emergenza Covid quest’anno ha portato all’annullamento di tutti gli eventi previsti, tra cui seminari, conferenze e la WorldWide Endomarch, prevista a Roma. C’è stata però un’alternativa social.

Vania come attivista è una delle organizzatrici della marcia gialla.

In occasione della Giornata internazionale per la sensibilizzazione sull’endometriosi, Facebook, Twitter e Instagram hanno mostrato il flashmob virtuale #lontanemaunite. È stata una sorta di abbraccio collettivo, attraverso foto di tante persone con le braccia aperte, che ha sostituito la marcia che da anni viene effettuata il 28 marzo, per ricordare a tutti il peso della patologia e soprattutto l’importanza della diagnosi precoce.

Non ci deve essere pudore o vergogna quando si parla di endometriosi. Nessun tabù e nessuna paura. E’ una malattia e come tale deve essere riconosciuta e trattata. Un semplicissimo autotest può aiutare, una diagnosi precoce permette di controllarne lo sviluppo, limitandone il più possibile le conseguenze negative sulla salute della donna.

Il fatto che l’endometriosi colpisca il genere femminile non deve essere motivo di discriminazione. Non è una cosa da donne. E’ un problema che riguarda tutto il tessuto sociale, a tutti i livelli. E dovrebbe interessare anche gli uomini.

Un proverbio cinese recita che le donne sostengono metà del cielo, a volte però il peso è schiacciante. Essere malati, provare dolore e imporsi di fermarsi non sono colpe per cui provare vergogna. Se c’è chi non comprende sofferenza e fatica, è giusto e doveroso verso se stessi, lasciare che queste persone proseguano per la loro strada. Ognuno ha la propria.

Io non chiedo al ferito come si senta, io divento il ferito.

Walt Whitman


Un ringraziamento doveroso a Flavia Scicchitano, Responsabile Stampa della Fondazione Italiana Endometriosi, e a Tommaso Politano, amministratore della Endometriosi – Community.

Sabrina Villa

Per Vasco “Cambiare il mondo è quasi impossibile -Si può cambiare solo se stessi - Sembra poco ma se ci riuscissi - Faresti la rivoluzione” . Ecco, in questo lungo periodo di quarantena, molti di noi hanno dovuto imparare nuovi modi, di stare in casa, di comunicare, di esternare i propri sentimenti. Cambiare noi stessi per modificare quello che ci circonda. Tutto si è fermato, in attesa del pronti via, per riallacciare i fili, lì dove si erano interrotti. I pensieri hanno corso liberamente a sogni e desideri, riflessioni e immagini e, con la mente libera, hanno elaborato anche nuovi modi di esternazione e rappresentazione dell’attualità. Questa è la mia rubrica e io sono Sabrina Villa. Nata a Roma e innamorata della mia città. Sono un'eclettica per definizione: architettura, pittura, teatro, cucina, sport, calcio, libri. Mi appassiona tutto. E' stato così anche nel giornalismo, non c'è ambito che non abbia toccato. Ogni settore ha la sua attrattiva. Mi sono cimentata in tv, radio, carta stampata. Oggi, come al solito, mi occupo di tante cose insieme: eventi, comunicazione, organizzazione. La mente è sempre in un irriducibile movimento.

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