Qui non è Hollywood: è l’Italia del turismo nero
Il delitto di Avetrana è stato uno dei casi di cronaca più seguiti negli ultimi anni. Ma anche un caso di turismo nero. Più di Cogne, più di Novi Ligure, più di Garlasco, più di Perugia, il piccolo paesino in provincia di Taranto desta ancora oggi l’attenzione morbosa di molti: il picco del turismo nero in Italia. “Qui non è Hollywood” è la serie tv in onda su Disney + che ripercorre quella vicenda fotografando uno spaccato italiano morboso. E’ una serie tv bellissima e girata benissimo, con attori eccezionali. Questa, oltre ad essere una recensione, vuole essere anche una riflessione su come la cronaca nera in Italia abbia un’attenzione così morbosa.
La storia di Sarah
Il 26 agosto 2010, Sarah Scazzi, quindicenne di Avetrana, scompare mentre si reca a casa della cugina Sabrina Misseri. La vicenda cattura subito l’attenzione mediatica, con speculazioni sulla vita privata di Sarah. Tuttavia, la famiglia e gli amici sostengono l’ipotesi di un rapimento.
Le ricerche durano fino a ottobre, quando Michele Misseri, zio di Sarah, ritrova il cellulare della ragazza semibruciato in un campo, attirando i sospetti su di lui. Una settimana dopo, Michele confessa l’omicidio, indicando il luogo dove aveva nascosto il corpo. La notizia viene comunicata alla famiglia in diretta televisiva. Poco dopo, Michele ritratta, coinvolgendo la figlia Sabrina nell’omicidio, la quale viene arrestata. In seguito, anche Cosima Serrano, madre di Sabrina, è accusata.
Il 20 aprile 2013, la Corte d’assise di Taranto condanna Sabrina e Cosima all’ergastolo per l’omicidio di Sarah. Michele Misseri riceve una condanna a 8 anni per soppressione di cadavere. Secondo i giudici, il movente andava oltre la semplice gelosia, coinvolgendo un intreccio di sentimenti e tensioni familiari.
La recensione della serie
“Qui non è Hollywood” è la serie italiana che ripercorre la vicenda di Sarah Scazzi ed è la migliore serie italiana vista finora. Perchè evita con cura qualsiasi approccio sensazionalistico. Niente scene cruente o dettagli macabri: l’omicidio di Sarah è evocato, mai mostrato, con una regia che sceglie di rimanere in disparte. Ogni episodio si sofferma su un protagonista diverso: Sarah, fragile e in cerca d’affetto; Sabrina, che non tollera l’idea di perdere l’attenzione del macellaio Ivano; Cosima, matriarca imperturbabile; Michele, uomo sottomesso, disposto a prendersi la colpa al posto della figlia.
La forza di questa serie sta nella qualità delle interpretazioni: gli attori somigliano incredibilmente ai veri protagonisti, con una recitazione che supera spesso quella di colleghi più noti. Giulia Perulli e Vanessa Scalera ( la Imma Tataranni della tv), nei ruoli di Sabrina e Cosima, sono superlative e spiccano per trasformismo e talento, restituendo personaggi complessi e veri. “Qui non è Hollywood” cerca di rendere giustizia a Sarah con la delicatezza dell’immaginazione, ricordandoci che il vero mostro potrebbe essere proprio dietro lo schermo.
Il turismo dell’orrore ad Avetrana
Il caso di Avetrana è forse l’esempio più eclatante di come i media abbiano trasformato un omicidio in uno spettacolo. La situazione è sfuggita di mano, innescando un effetto domino che ha coinvolto l’intero pubblico, spingendo chiunque a esprimere opinioni, ipotesi e giudizi spesso superficiali. Dall’omicidio di Sarah, l’attenzione mediatica ha trasformato il paese in una meta di curiosi, dando vita a un fenomeno noto come turismo nero o turismo dell’orrore. Ma cos’è esattamente questo tipo di turismo? E perché il caso di Avetrana ha attirato così tanti visitatori in cerca di “emozioni forti”?
Il turismo nero è l’interesse a visitare luoghi segnati da tragedie, morte o disastri. In tutto il mondo ci sono località legate a eventi drammatici che, per motivi storici o curiosità morbosa, attirano visitatori: si va da Auschwitz alle rovine di Chernobyl, fino al Memoriale dell’11 settembre a New York. Ma se questi luoghi portano con sé un significato commemorativo o educativo, nel caso di Avetrana, il fenomeno ha preso una piega morbosa.
Sin dalle prime fasi del caso, Avetrana è stata invasa da curiosi che volevano vedere di persona i luoghi simbolo della tragedia. Persone da tutta Italia si fermavano di fronte alla casa dei Misseri, alla villetta di via Deledda o presso il pozzo dove fu ritrovato il corpo della ragazza. Le strade di Avetrana erano costantemente affollate da chi voleva “toccare con mano” i luoghi della cronaca, spesso senza nemmeno preoccuparsi di come potesse sentirsi la comunità locale. Addirittura, alcune agenzie di viaggio proposero pacchetti turistici per visitare il “luogo dell’orrore”, comprensivi di pranzo e fermate nei luoghi simboli del caso.
La colpa dei media
L’invasione dei media e dei curiosi ha avuto un impatto pesante sulla cittadina e sui suoi abitanti, che si sono visti descritti come spettatori di un “reality dell’orrore” e si sono sentiti, comprensibilmente, giudicati e invasi nella loro privacy. Il sindaco, per tutelare la comunità, ha dovuto emettere ordinanze per limitare il flusso dei visitatori nei punti più sensibili, ma la pressione mediatica e il costante afflusso di curiosi hanno comunque segnato Avetrana, non solo nella memoria, ma anche nella sua immagine pubblica. Da cittadina che stava cercando di promuovere il proprio turismo grazie alla vicinanza alle coste del Salento, è diventata sinonimo di tragedia e morbosità.
Il turismo morboso
Ma cosa spinge così tante persone ad avere un tale interesse per l’orrore? Gli studiosi hanno analizzato il fenomeno, spiegando che, in una società sempre più “anestetizzata” emotivamente, visitare luoghi di dolore diventa un modo per provare emozioni forti e per “avvicinarsi” a tragedie reali. È quasi come un pellegrinaggio moderno verso luoghi di sofferenza, una ricerca di sensazioni forti che possa colmare un vuoto emotivo.
Avetrana, quindi, si è ritrovata al centro di un fenomeno che va oltre la sua specificità. È diventata una sorta di “teatro dell’orrore” che, al di là della commozione per la vittima, è stato trasformato in una meta di turismo nero senza troppo rispetto per il contesto. Un esempio di come l’attenzione morbosa della cronaca possa trasformare tragedie personali in “spettacoli”, lasciando dietro di sé una lunga scia di domande sulla nostra società e sul bisogno di vivere le emozioni forti, anche a costo di violare il dolore altrui.