La Rosa dell’Istria. Forse troppo rosa.
Una pagina di cronaca italiana. Il dramma di una famiglia costretta alla fuga. Televisione che racconta la Storia. Luce, struttura, spazio e riflessione, un po’ troppo in rosa. In Rai arriva il racconto di una giovane donna che sceglie di mostrare la vicenda tragica di un popolo ferito con la sua pittura. La Rosa dell’Istria è tutto nello sguardo dei sopravvissuti a fine pellicola.
Il primo canale televisivo della Rai, dall’inizio di questo nuovo anno, sta raccontando il Novecento italiano. Dopo la serie La Storia, tratta dall’omonimo romanzo di Elsa Morante e la miniserie La lunga notte-la caduta del Duce, è stata la volta de La Rosa dell’Istria.
Scritto da Maximiliano Hernando Bruno, la narrazione ripercorre l’esodo istriano dei cittadini italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia. Un esodo forzato, conseguente all’avanzare delle forze jugoslave, successivo al trattato di Parigi che prevedeva la cessione alla Jugoslavia di alcuni territori italiani. In questo contesto, si snoda il dramma di una famiglia italiana dell’Istria, i Braico. In particolare i riflettori sono puntati sulla figlia maggiore, Maddalena. Attraverso lei e loro, il film vuole appunto raccontare l’orrore e il massacro della tragedia delle Foibe e l’esodo degli istriani, scappati dal genocidio del maresciallo comunista jugoslavo Tito, durante gli ultimi anni e la fine dalla seconda guerra mondiale.
Fuggendo da Canfanaro, il luogo dove avevano sempre vissuto, lasciando la loro casa, famiglia, la nonna in particolare che si rifiuta di lasciare le propire radici, i Braico devono prima affrontare il dolore della perdita del figlio maggiore e fratello della protagonista. E poi finalmente trovare riparo a Cividale del Friuli, ospitati da zio Giorgio. Maddalena, presa di mira per le sue origini istriane, sogna di diventare un’artista, ma i tempi sono quelli che sono e il papà Antonio, medico re-inventatosi operaio, è decisamente contrario all’idea. Sta per arrendersi quando incontra Leo, interpretato da Eugenio Franceschini, che la spinge a perseguire i suoi sogni e con il quale nasce un legame sentimentale. Non sono giorni sereni però quelli che vivono i due giovani. Leo sparisce all’improvviso, lasciando Maddalena nello sconforto e nel contempo i Braico dovranno nuovamente trasferirsi. Da qui la storia subirà colpi di scena e capovolgimenti improvvisi. I protagonisti piangeranno per grandi dolori e sorrideranno in seguito a sorprese insperate.
La rosa dell’Istria è ispirato al romanzo Chi ha paura dell’uomo nero? di Graziella Fiorentin e portato in scena da Tiziana Aristaco, esperta regista dalla lunga filmografia incentrata su produzioni tv.
Il film targato Rai, coproduzione Rai Fiction-Publispei-Venice Film, andato in onda su Rai 1 il 5 febbraio e tuttora visibile su Raiplay, avrebbe una potenza narrativa non indifferente, per tanti motivi. Il primo, non di poco conto, è che è legato ad un drammatico evento storico, che ci riguarda da molto vicino. E’ la storia d’Italia, della nostra nazione separata e contrapposta, di una ferita non più rimarginata, una lacerazione non ricomposta e una guerra civile a cui per tanto tempo non si è voluto guardare.
Il secondo è perché parla delle vite di persone. Vite spezzate, offese e dimenticate. Quella dell’esodo giuliano dalmata è una vicenda storica che non parla però di schieramenti armati, ma di storie intime, di anime afflitte e persone, avvilite, defraudate della propria libertà e della propria identità.
Il punto, è che ho usato il condizionale. Forse perché personalmente mi aspettavo di più. Dopo lo scatto in avanti compiuto dall’opera cruda e vera di Red Land di Maximiliano Hernando Bruno, credevo che i tempi fossero maturi. Che tutti fossimo pronti per poter guardare, ascoltare e parlare di questa parte di storia con una maggiore intensità.
L’opera invece, concentrandosi sulla figura di Maddalena, con il sogno di diventare pittrice e la sua storia in rosa con Leo, appare poco incisiva. E affievolisce il valore drammatico della vicenda, indebolendo così l’obbiettivo legato al “ricordo” e il dolore e lo strazio provato da quegli italiani che hanno avuto una sola colpa
Ovviamente, mi rendo conto c’è da considerare il mezzo scelto. Dialoghi, sequenze e profondità si rapportano ad uno spettatore che apprezza il concetto dello sceneggiato, proprio di una rete generalista. Quindi l’architettura è marcatamente televisiva.
Da sottolineare in positivo è la volontà di riportare sullo schermo la storia che non va dimenticata, pur rivolgendosi a un pubblico particolare, quello della prima serata delle reti nazionali.
Un applauso alla bravura di Gracjela Kicaj che riesce a dare spessore al personaggio di Maddalena. E soprattutto complimenti ad Andrea Pennacchi, una garanzia di maestria che regala intensità e importanza al suo personaggio, alla sua tristezza e disperazione, a quel piegarsi sulle ginocchia alla vista di un figlio creduto morto, all’orgoglio di un uomo italiano.
Ricordiamo quanto male faccia questa nostra storia recente ai sopravvissuti, agli esuli che hanno dovuto abbandonare tutto portando via solo una valigia. Alla fame e al freddo che hanno dovuto sopportare. Al sentirsi estranei nella propria Patria, all’essere additati e scherniti nel peggiore dei modi dai propri connazionali.
Ricordiamo quanto male faccia a chi mai più ha puto rivedere o conoscere la propria casa e la propria famiglia. Oggi figli e nipoti di quegli esuli guardano questi prodotti televisivi ricercando, anche in questi, tracce di un passato forse conosciuto solo attraverso racconti. Narrazioni macabre. Perché di orrore parliamo.
E ricordiamo allora che con la disfatta militare dell’Italia del 1943 ci furono le prime operazioni di pulizia etnica, da parte dei partigiani comunisti jugoslavi. La gran parte delle persecuzioni e degli eccidi avvenne però alla fine della guerra, dopo che dall’area si erano ritirate anche le truppe di occupazione naziste. Dal maggio del 1945, e per diversi mesi successivi, migliaia di italiani, circa 15mila le vittime, furono prelevati dalle loro case, deportati e gettati a gruppi nelle cavità carsiche, tipiche dell’area, chiamate foibe. I condannati venivano legati tra loro con un fil di ferro stretto ai polsi e fucilati in modo che si trascinassero nelle cavità gli uni con gli altri. Inghiottitoi del terreno in cui finirono persone di ogni credo politico. Gli eccidi colpirono anche diversi esponenti del clero cattolico come il beato Francesco Bonifacio, ucciso in odio alla fede nel settembre del 1946 in una foiba presso Villa Gardossi in Istria.
Domani, 10 febbraio è il Giorno del Ricordo. Su Rai 3 in prima serata va in onda Red Land.
Ricordiamo dunque di guardarlo, o almeno di registrarlo vista la contemporaneità con Sanremo.
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