Quando la FA abolì il calcio femminile. Un’ingiustizia al cuore dei diritti

Quando la FA abolì il calcio femminile. Un’ingiustizia al cuore dei diritti

Il calcio. Questione di genere e diritti. Grinta, talento e dedizione. Uomini al fronte e donne coraggiose. La sfida al passato, una traccia per il futuro, un terreno di gioco per tutti, senza eccezioni. Il calcio non è sport per signorine, dicevano. La guerra, la pace e il 1921. Quando la FA abolì il calcio femminile.

Che il calcio non sia stato solo appannaggio maschile è risaputo. Che anche le donne abbiano voluto partecipare alla cosa più importante tra le meno importanti, provocando dissapori, è noto anche questo. Di quante volte siano stati messi i bastoni tra le ruote al calcio femminile, forse non finiremo mai di stupirci.

Come la decisione, davvero triste e piccola, in pieno tumulto dell’effervescente atmosfera calcistica dell’Inghilterra degli anni ’20 che ha gettato un’ombra lunga sull’entusiasmo crescente per il calcio femminile.

Siamo nel 1921, è il 5 dicembre, ed è il giorno che ha rappresentato una data nella storia del calcio e allo stesso tempo un brutto capitolo nella lotta per i diritti e l’uguaglianza di genere.

Vale a dire l’infelice divieto dell’FA.

In Gran Bretagna già negli ultimi due decenni del XIX secolo si erano formate squadre di calcio femminile.

Il primo incontro ufficiale di cui si ha notizia è del 1895.

A dare la spinta vera al calcio giocato da donne però fu la Prima guerra mondiale.

Con gli uomini lontani, al fronte, le donne lavoravano al posto loro nelle fabbriche. E nelle pause o dopo il lavoro si ritrovavano insieme. Alcune giocavano a calcio. Formando squadre legate alle aziende. È questo, ad esempio, il caso Dick, Kerr’s Ladies Football Club. La squadra nata nel 1894 le cui giocatrici erano prevalentemente operaie della fabbrica di Preston, Lancashire, dove si producevano vagoni e locomotive in tempo di pace, munizioni in tempo di guerra.

Le calciatrici trovarono nella passione per il calcio un rifugio di forza e solidarietà. E incarnarono alla perfezione lo spirito di resilienza e passione, proprio del calcio.

“Le signore del Kerr” si impegnarono a tal punto da riscuote grande popolarità in patria, ma anche all’estero. Nel 1920 iniziano a giocare quattro partite contro una squadra francese guidata dall’avvocato dello sport femminile Alice Milliat. A Deepdale, Stockport, a Manchester e poi a Stamford Bridge. Forti dell’eco ricevuto partirono alla volta di Parigi, Roubaix, Le Havre e Rouen.

Un tour divenuto estremamente famoso tra i tifosi.

Tornate in Inghilterra programmarono per Santo Stefano contro le rivali St Helens a Goodison Park una partita dal clamore sempre più crescente. Nessuno prevedeva, tuttavia, che l’impatto sarebbe stato così esclatante sul futuro del calcio femminile.

Ad assistere all’incontro, secondo il diario della giocatrice Alice Stanley, ci sarebbero stati ben 53.000 tifosi. Un inno alla forza e al talento delle donne sul campo di gioco.

Un record di presenze. Mai superato in 92 anni!

Si è dovuto attendere la nazionale maschile inglese, a Wembley contro il Brasile durante i Giochi Olimpici di Londra 2012 per superare quel dato e arrivare a 70.584 spettatori.  

Il calcio femminile di quegli anni era contagioso. Un movimento in espansione, numerica e geografica.

Anche nella rigida Scozia iniziavano a prender vita squadre di donne ma il consiglio dell’associazione gioco calcio scozzese, che riteneva vile che alcune donne prendessero a calci un pallone, proibì ai club associati di affrontare queste ragazze. Divieto che durò poco.

Siamo nel 1921 e Oltre Manica si sono formate già 150 squadre.

E qui nasce il problema.

Eh sì perchè il calcio femminile che in Inghilterra era stato tollerato durante gli anni del primo conflitto mondiale, con gli uomini tornati alle loro case, alle fabbriche e ai campi di pallone, non fu più sopportato. La Federazione temeva di perdere pubblico. Quello maschile. Il calcio doveva tornare ai legittimi proprietari.

Vittorie e celebrazioni delle donne furono presto soffocate dalla dura realtà del divieto annunciato nel 1921.

La Football Association impose un veto che si sarebbe rivelato un’ingiustizia per molti anni a seguire.

Il calcio femminile fu brutalmente ridimensionato. Squadre in Scozia e persino in Francia vedevano sbarrate le porte dell’affiliazione alla federazione. Tutto perché quel 5 dicembre 1921 la FA dichiarò il calcio inadatto per le donne.

Questa la sentenza del Comitato consultivo della FA:

“Dopo aver presentato denunce in merito al calcio giocato da donne, il Consiglio si è sentito in dovere di esprimere la ferma opinione che

il gioco del calcio è piuttosto inadatto per le donne e non dovrebbe essere incoraggiato. 

Sono state presentate anche denunce in merito alle condizioni in cui alcune partite sono state organizzate e giocate. E all’appropriazione di entrate a favore di oggetti diversi da quelli di beneficenza. Il Consiglio è inoltre del parere che una quota eccessiva degli introiti sia assorbita in spese e una percentuale inadeguata destinata a beneficenza. Per questi motivi il Consiglio chiede alle Società aderenti all’Associazione di rifiutare l’utilizzo delle proprie basi per tali gare“. 

Un decreto draconiano emanato dalla Football Association inglese.

Un atto che andava ben oltre la sfera sportiva.

Gettando le basi per una discriminazione persistente e per una battaglia che avrebbe continuato a infiammarsi per decenni.

Questa sentenza non solo limitò la crescita del calcio femminile. Rappresentò pure una barriera per le aspirazioni e i diritti delle donne nel mondo dello sport.

Un divieto assurdo. E non era la prima volta che la FA ci provava a chiudere le porte alle donne.

Negli anni ’90 dell’Ottocento infatti, il Consiglio della FA aveva inviato avvertimenti ai club sull’uso dei loro terreni per le partite femminili. E nel 1902, la FA aveva approvato una mozione che vietava i giochi di sesso misto.

Sono dovuti passare parecchi anni affinchè quel divieto del 5 dicembre 1921 fosse cancellato.

E questo malgrado che nel 1969 la Women’s Football Association contasse 44 squadre. Il veto della FA persistette fino al 1971. Un ostacolo che bloccò il potenziale delle donne di esprimersi e competere nel calcio.

Oggi, mentre il calcio femminile fiorisce, è cruciale guardare indietro con occhi critici.

La lotta per l’uguaglianza di genere nello sport è un viaggio lungo e tortuoso, ma ogni passo avanti è una vittoria contro l’ingiustizia del passato.

La storia di quel divieto è un richiamo per tutte le donne appassionate di calcio a non dimenticare il prezzo pagato dalle pioniere.

La nostra responsabilità è rendere giustizia al passato, celebrare il presente e continuare a lottare per un futuro in cui il calcio, e lo sport in generale, siano veramente per tutti.

Perchè quando un secolo fa, il mediano della Pro Vercelli, Guido Ara, dichiarò: “Il calcio non è uno sport per signorine”, non si riferiva alle donne, nulla c’entrava con la discriminazione di genere.

Il motto, ripreso da tutto il mondo, lui lo aveva coniato riferendosi agli allora padroni del calcio italiano. La Pro Vercelli, dove lui giocava, era una squadra di uomini umili e orgogliosi, l’antitesi dei figli dei ricchi commercianti e dei banchieri che avevano giocato nel primo Genoa o i liceali torinesi del D’Azeglio creatori della Juventus, o dei giocatori-fondatori di Milan e Inter. Nelle parole di Ara di sessismo nemmeno l’ombra.

Diciamo che in troppi ci hnno marciato sulla sua esternazione.

#IrriducibilmenteLibera

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Sabrina Villa

Per Vasco “Cambiare il mondo è quasi impossibile -Si può cambiare solo se stessi - Sembra poco ma se ci riuscissi - Faresti la rivoluzione” . Ecco, in questo lungo periodo di quarantena, molti di noi hanno dovuto imparare nuovi modi, di stare in casa, di comunicare, di esternare i propri sentimenti. Cambiare noi stessi per modificare quello che ci circonda. Tutto si è fermato, in attesa del pronti via, per riallacciare i fili, lì dove si erano interrotti. I pensieri hanno corso liberamente a sogni e desideri, riflessioni e immagini e, con la mente libera, hanno elaborato anche nuovi modi di esternazione e rappresentazione dell’attualità. Questa è la mia rubrica e io sono Sabrina Villa. Nata a Roma e innamorata della mia città. Sono un'eclettica per definizione: architettura, pittura, teatro, cucina, sport, calcio, libri. Mi appassiona tutto. E' stato così anche nel giornalismo, non c'è ambito che non abbia toccato. Ogni settore ha la sua attrattiva. Mi sono cimentata in tv, radio, carta stampata. Oggi, come al solito, mi occupo di tante cose insieme: eventi, comunicazione, organizzazione. La mente è sempre in un irriducibile movimento.

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