Aborto: storia di diritto e scelta.
La Costituzione non fa alcun riferimento all’aborto e nessun diritto del genere è implicitamente protetto da alcuna disposizione costituzionale”
Corte Suprema degli Stadi Uniti D’America
Con queste parole gli USA sono tornati indietro. Di 50 anni. Una sentenza storica che ha scatenato proteste ovunque nel Paese. È la “notizia” della settimana perché fa sentire le donne meno libere. Vero è che il dibattito sull’aborto è sempre stato molto acceso, soprattutto negli Stati Uniti.
Andando a vedere nel dettaglio, la Corte Suprema statunitense ha abolito la storica sentenza Roe vs Wade attraverso la quale negli Usa il diritto all’interruzione di gravidanza era stata riconosciuta dalla stessa Corte nel 1973. La sentenza riconosceva che il diritto alla privacy personale ai sensi della Costituzione degli Stati Uniti protegge la capacità di una donna di interrompere la gravidanza. La Corte Suprema, in una sentenza del 1992 chiamata Planned Parenthood of Southeastern Pennsylvania v. Casey aveva poi riaffermato il diritto all’aborto e proibito le leggi che impongono un “onere indebito” sull’accesso all’aborto.
Ma con questa nuova sentenza la Corte Suprema ammette che “Roe aveva terribilmente torto fin dall’inizio. Il suo ragionamento era eccezionalmente debole e la decisione ha avuto conseguenze dannose. E lungi dal portare a una soluzione nazionale della questione dell’aborto, Roe e Casey hanno acceso il dibattito e approfondito la divisione”.
Aborto: scelta e diritto
Insomma 50 anni di diritti spazzati via. Eppure la legge sull’aborto è stata una grande conquista dei diritti delle donne. Come il divorzio. Come lo stesso diritto delle donne di andare a votare. Si può essere d’accordo o meno, e qui non si parla di questo, ma di un diritto prima concesso e poi tolto. Che fa sembrare la donna ancora più lontana dall’uomo.
Cancellando l’aborto come diritto costituzionale, la sentenza ripristina la capacità dei singoli Stati di approvare leggi che lo proibiscano. In 26 Stati tale opzione si dà per certa o probabile. E in 13 stati americani il divieto scatterà nei prossimi giorni. Si tratta di stati repubblicani che hanno approvato leggi stringenti sull’aborto legandole alla decisione della Corte Suprema. Ora che la decisione è arrivata e la sentenza del 1973 capovolta, i 13 stati possono vietare l’aborto in 30 giorni eccetto nei casi in cui la vita della madre è in pericolo. Il Missouri ha annunciato di essere il “primo” stato a vietare l’aborto, che ora è illegale anche in Texas con effetto immediato. La sentenza è stata votata con il favore di 6 giudici. 3 i voti contrari. I giudici liberali hanno emesso un dissenso congiunto attraverso queste parole: “Qualunque sia l’esatta portata delle prossime leggi, un risultato della decisione odierna è certo: la riduzione dei diritti delle donne e del loro status di cittadine libere ed eguali”.
Come risultato della sentenza, “dal momento stesso della fecondazione, una donna non ha alcun diritto di cui parlare. Uno stato può costringerla a portare a termine una gravidanza, anche con i costi personali e familiari più elevati”, hanno aggiunto i giudici liberali.
Aborto e legge 194: non perfetta ma in piedi
In Italia la legge sull’aborto, legge numero 194, ha compiuto da poco 44 anni. È una legge che ha sancito un cambiamento culturale importante sul tema della sessualità e dell’autodeterminazione e in merito alle scelte delle donne. Prima infatti, fino al 1978, l’interruzione volontaria della gravidanza era considerata un reato. Nel “codice Rocco” erano previsti una serie di reati tra cui “l’aborto di donna consenziente”, l’aborto di donna “non consenziente”, “l’auto-procurato aborto” e la “istigazione all’aborto”. Si è tentato di cambiarla anche in Italia, nel 1981 attraverso un la 194 referendum abrogativo. Da una parte c’era la proposta dei Radicali su una piena liberalizzazione dell’aborto di cui si proponeva l’estensione anche nelle case di cura private; dall’altra i due quesiti posti dal Movimento per la Vita: uno ‘massimale’ sull’abrogazione della legge 194, e l’altro ‘minimale’ che chiedeva di riconoscere e legittimare solo l’aborto terapeutico, cancellando gli articoli che invece tutelavano l’autodeterminazione della donna. Gli italiani alle urne respinsero tutti i quesiti – sia quello radicale con l’88,4% dei no che quello del Movimento per la Vita col 68% – scegliendo di preservare la legge che consentiva nei primi 90 giorni di gestazione l’interruzione volontaria di gravidanza in una struttura pubblica, tra il quarto e il quinto mese solo per motivi di natura terapeutica, e ai medici l’obiezione di coscienza.
Nella vicina Malta a rischiare la vita è la donna
Proprio ieri un caso mi è balzato agli occhi. Succede nella vicina Malta. Qui infatti, l’aborto è vietato in ogni sua forma, anche nei casi di stupro, incesto, anomalie del feto o rischi per la salute della madre. Il medico che aiuta una donna a interrompere la gravidanza rischia fino a 4 anni di carcere e il ritiro definitivo della licenza. La donna che abortisce rischia invece fino a 3 anni di carcere. Andrea Prudente, una donna americana incinta alla 16esima settimana che era in vacanza sull’isola, deve adesso sperare che il cuore del feto che porta in grembo smetta di battere. Perché pochi giorni fa ha avuto una prima emorragia, ieri le si sono rotte le acque e si è staccata la placenta. Non c’è alcuna possibilità che il feto sopravviva. Ma i medici non possono praticare l’aborto perché la legge lo vieta. Così la donna rischia una setticemia, e quindi la vita.
La vita è sacra. Su questo non ho dubbi. Ma sono anche convinta che la scelta spetti comunque alla donna, che deve avere il supporto necessario per poter scegliere. Così come sarebbe giusto creare delle politiche di prevenzione e responsabilità nei confronti delle giovani donne, delle ragazze che si approcciano al sesso. Partire dalla base e riprendere la battaglia. Perché la strada dei diritti e della parità oggi appare ancora più lontana.
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