Un’inguaribile romantica
Accade che la memoria intervenga e ci guidi attraverso le suggestioni dell’animo.
Così, mentre l’Italia ha iniziato una ripartenza in tutti i settori, a me torna in mente lo stadio. L’azienda calcio è ancora ferma al palo, si discute su quando e come ripartire, e questo anche se il sistema calcistico italiano risulta essere per il Paese la terza industria, che genera e sostiene centinaia di migliaia di lavoratori.
I miei ricordi, però, volano a qualche anno fa: a Roma, in una calda giornata di maggio che volgeva a sera. Lo stadio Olimpico, una capienza di 72.000 persone, difficile da colmare ma quel giorno ben 65.000 erano i presenti. Un colpo d’occhio incredibile.
Tanti genitori con i loro bambini e ragazzi e tra loro c’era anche chi non aveva mai scalato i gradoni di quegli spalti. Furono i piccoli a farmi venire la pelle d’oca, quelli che non avevano mai assistito a tanta passione tutta insieme, e che quel calore lo avevano solo sentito raccontare.
Una di loro, in particolare, prese la mia attenzione. Letizia, quattordici anni, capelli lunghi e scuri, occhi profondi. Un desiderio a lungo sognato: andare allo stadio per poter vedere la sua squadra. Ed ecco, che era accaduto ciò che lei sperava da tanto. Non c’era, quel giorno, nessun incontro di cartello, solo l’occasione di festeggiare e vedere molti campioni sfilare e divertirsi. I suoi giovani occhi le stavano trasmettendo qualcosa di inaspettato. Il pallone che rotolava, non era per niente come lo aveva visto in tv. Cantare insieme a migliaia di altri, era differente dal saltare sola sul divano.
Lei incantata dallo spettacolo ed io rapita nel guardare lei.
Non stavo vivendo la sua stessa esperienza. Io di anni di stadio alle spalle ne avevo già parecchi, passati fra Tribuna Tevere, Tribuna Monte Mario, Curva Nord e Tribuna Stampa. Per Letizia tutto era nuovo, era imprevisto quell’oceano di colori e voci. Per me invece, osservare il suo stupore era un flashback di quando ero io ad avere gli occhi spalancati sulle giocate di Maradona, Baggio o Mancini.
Essere lì con lei, era raccontare a me stessa la gioia. Come quando da piccoli, diamo per la prima volta il calcio a un pallone e, a sorpresa, ci pervade un senso di libertà che ricorderemo per sempre.
Letizia aveva su di me lo stesso effetto di una macchina del tempo. La sua passione aveva fatto tornare bambina anche me, con l’allegria, la rabbia e l’emozione smodata. Molto tempo prima, alla sua età c’ero io seduta lì, col mio papà accanto, uniti in un amore destinato a durare per sempre.
Oggi considero un regalo aver incontrato quella quattordicenne e aver rivissuto, attraverso lei, ciò che è davvero il calcio, quel gioco lontano dalle logiche e dagli schemi, dalla politica e dalla finanza, per riportarlo solo a quell’autentica partecipazione emotiva, all’aggregazione trascinante fatta di abbracci tra sconosciuti: una familiarità impensabile oggi, con le norme a cui siamo vincolati.
Assistere alla nascita di una vita è qualcosa che dà significato alla propria ed io, in quella giornata di maggio, assistevo alla nascita di una vita stregata da una passione. Entusiasmante vedere il sorriso di Letizia mentre osservava quel pallone scivolare sul prato verde, leggere in lei l’inizio dell’essere “tifoso”, l’ansia per un fallo, l’esaltazione per un gol, il piacere nel cantare tutti insieme.
Letizia brillava, illuminata dalla luce della Luna che faceva capolino sull’Olimpico. Il mondo era riflesso nei suoi giovani e profondi occhi scuri, e lei aveva appena scoperto di essere un’inguaribile romantica, inconsapevolmente innamorata del calcio.