I miei 60 giorni di solitudine in un monolocale romano
Costretta finalmente a rallentare le corse quotidiane imposte, secondo convinzioni di comodo, dal lavoro o comunque da fattori esterni, ho inizialmente gioito della possibilità di vivere gli impegni seguendo i miei tempi. Ed ecco che, immediatamente, il mio monolocale romano è diventato sala yoga, ufficio, sala relax e sfondo delle innumerevoli video call lavorative.
Pochi ma buoni
Ho ridotto gli impegni a quelli possibili in quarantena, limitati ma essenziali, al punto da capire con chiarezza di quanto superfluo ci circondiamo.
La risposta più lieta è stata la conferma di avere nella mia vita proprio le persone che desideravo, avendo allontanato per tempo incontri scomodi e non ossigenanti. Le persone che “ho scelto” mi hanno fatto compagnia, “distanti ma uniti” grazie soprattutto alle tecnologie.
Più tardi, però le difficoltà relazionali che ha comportato doversi confrontare dietro uno schermo (mi riferisco a confronti lavorativi) sono stati evidenti, a conferma della necessità che ho di rapportarmi fisicamente con il prossimo.
La mia quarantena da single
A 40 anni, da single, mi consigliano conoscenze sul web. La quarantena ha risposto anche a questo: non fa per me. Ho avuto la conferma che i miei malumori sono troppo spesso dettati da aspettative esterne a me e ho trovato la forza di impormi più di prima di fronte a iniziative che non mi vedono d’accordo, accogliendo qualsiasi ripercussione che il più delle volte ingigantiamo noi, coi nostri pensieri.
Ecco questo potrebbe essere il sunto di 60 giorni circa di solitudine smetterla di creare pensieri e concentrarmi sui fatti, agire. Quindi tanto movimento e contemplazione con lo yoga, cibo cucinato non per sfamarmi ma per trovarne piacere, chiamate con le persone care (io che odio il telefono), cura del proprio corpo, tanta lettura e finalmente le lunghe camminate in solitaria appena si sono rese possibili.
Devo ringraziarmi per la forza di voler star bene perché stando bene con noi stessi riusciamo a calamitare il bene degli altri che ci vogliono per condividere le loro gioie e ci vedono come sicuro rifugio nei momenti meno buoni.