I benefici effetti del dono
29 settembre 1994. E’ il giorno in cui cambia per sempre la vita della famiglia Green e in parte quella di un Paese intero, l’Italia. Tutto grazie ad un dono. I coniugi Green erano partiti dalla loro casa di Bodega Bay, negli States, per un viaggio di piacere assieme ai figlioletti Nicholas, 7 anni, e la sorellina Eleanor, 4. Sulla Salerno-Reggio Calabria la loro macchina viene affiancata da due banditi, convinti di avere a che fare con un gioielliere. I banditi sparano contro la vettura, un proiettile colpisce Nicholas alla testa. Morirà il 1° ottobre all’ospedale di Messina.
Quello che succede poi da quel giorno è la storia di un dono che ha cambiato il mondo dei trapianti d’organo in Italia. “Molti ricordi si affollano nella mia mente – ha detto Reginald, il papà di Nicholas, in Italia per ricordare i 30 anni di quel dono -, ma il più vivido è lo choc che provai quel giorno quando fermai l’auto, guardai Nicholas e vidi la sua lingua sporgere in fuori e una traccia di vomito sul suo mento. Quello fu il primo istante in cui mi resi conto che uno dei proiettili che ci avevano sparato lo aveva colpito. Posso ancora vedere quel terribile momento nella mia mente come se fosse accaduto ieri”. E i coniugi Green fanno la loro scelta. Donare gli organi e i tessuti di Nicholas. “Ci sedemmo insieme e ci guardammo negli occhi. Non avemmo dubbi”.
Effetto Nicholas
Il gesto dei coniugi Green oltre a salvare la vita di altre 8 persone, entra di fatto nel cuore di ogni italiano. L’Italia, insieme al resto del mondo, si commuove profondamente. Le donazioni, inizialmente scarse, diventano una pratica comune e diffusa. Migliaia di vite verranno salvate grazie a questo gesto. Oltre centocinquanta tra scuole, parchi e edifici pubblici vengono dedicati alla memoria di Nicholas Green. “Non ci siamo soffermati troppo a piangere per quei giorni terribili,” riflette Maggie, la mamma di Nicholas – “ma abbiamo dedicato molto più tempo a gioire, in qualche modo, per quello che siamo riusciti a fare dopo. Ridare vita e speranza grazie a ciò che è accaduto dopo la morte di Nicholas. Così, in qualche modo, le cose si sono capovolte: da un evento tragico è nato qualcosa che ha ridato vita e speranza. Non ce ne siamo mai pentiti.” L’Italia, che era tra gli ultimi in Europa per numero di donazioni, è passata al secondo posto. Lo chiamarono “Effetto Nicholas”.
Il vero significato della storia di Nicholas è che essa va oltre ciò che gli è accaduto come bambino. “Questo è ciò che ci dà la forza e l’energia per andare avanti – hanno dichiarato Reg e Maggie – immaginando il lato positivo e bello di quanto accaduto. Trent’anni fa, Nicholas ha perso il suo futuro, ma qualcun altro ha potuto avere un futuro grazie a lui: sapevamo che era ciò che avrebbe voluto. E non ci siamo mai pentiti, nemmeno per un istante. C’è però una domanda che quasi nessuno si pone: cosa farei, se mi chiedessero di donare gli organi di una persona che amo?
L’esperienza del dono
Ricordo bene la vicenda di Nicholas Green. E ricordo quanto mi abbia fatto riflettere. Tanto che, all’epoca diciottenne, decisi di iniziare ad informarmi su ciò che avrei potuto donare (organi a parte). Mi sono imbattuta nell’ADMO poco dopo e deciso di diventare donatrice di midollo osseo. Sono passati diversi anni, mi sono sempre tenuta informata, ho iniziato a diventare donatrice regolare anche di sangue. Nel frattempo, ho avuto modo di assistere da vicino ad un altro miracolo: un piccolo angelo volato in cielo troppo presto che con il dono del suo cuore ha salvato la vita alla figlia di un amico.
Ho vissuto con lui momenti incredibilmente intensi.
La scoperta del cuore malato fatta quasi per caso, la lunga trafila con l’ospedale, la bambina ricoverata per mesi. E quella sensazione così strana, così controversa che ti fa pregare per la tua bambina ma che non può farti desiderare la morte di un altro bambino che possa salvarla. Come fai a sperare o a pregare per una cosa del genere? Poi arriva la telefonata e quella sensazione di gioia mista a dolore perchè finalmente hai una speranza ma sai che qualcuno, chissà dove, l’ha persa per sempre. Ma quel qualcuno, perfetto sconosciuto, ti fa il regalo più grande che tu possa ricevere. Il futuro.
La speranza del dono: un regalo che facciamo a noi stessi
Mio padre ha combattuto con il Mieloma Multiplo, una forma di leucemia, per 10 anni. Era nato il 12 aprile del 1946 ed è morto il 6 agosto del 2016. 70 anni compiuti da poco e dieci anni passati per ospedali, auto-trapianti, dolori, terapie, corse al pronto soccorso, degenza a casa, isolamento, fino al trapianto da donatore, donato dalla sorella più grande che gli ha regalato almeno cinque anni di vita in più. Cinque anni che gli hanno permesso di conoscere le sue nipoti. Che dono straordinario, vero? Alla fine se n’è andato per una complicanza dovuta al trapianto. Ebbene sì, il trapianto è una speranza di salvezza ma non è detto che poi fili tutto liscio. Anzi: sono più le cose che possono andare storte dopo che prima.
Il 12 aprile di quest’anno, proprio nel giorno in cui avrebbe compiuto 78 anni, ricevo una telefonata. Era un’ospedale di Roma che mi informava che il mio midollo osseo era in parte compatibile con una persone che doveva subire un trapianto.
Una persona su 100.000 è compatibile.
Pensate se tutti noi ci mettessimo a disposizione. In breve: cercano almeno cinque persone che siano compatibili con percentuali diverse in tutto il mondo ( anche se credo di aver capito che la ricerca è più continentale). Ti invitano a fare delle analisi approfondite e ti spiegano come procederanno nel caso in cui dovessi essere scelto. E ti dicono pure: “La cosa più importante per noi è avere subito un sì o un no dal potenziale donatore. Perchè molti all’inizio dicono di sì ma poi, quando arriva il giorno del trapianto, si tirano indietro per paura. E questa è una cosa che mette in pericolo la vita del ricevente. Quindi è importante dare una risposta che sia senza ripensamenti”. E ci credo, mi viene da rispondere!
Faccio tutte le analisi del caso, mi metto a disposizione a divento, di fatto donatore attivo. Ricevo tutte le informazioni possibili e scopro un mondo di potenziali donatori e tutto ciò che ruota intorno alla donazione di midollo osseo. Parto per le vacanze: ho lasciato tutti i miei riferimenti e le mie disponibilità. Mi aspetto una chiamata. Spero di riceverla. Sono quasi elettrizzata al pensiero di poter fare un dono di questa portata. Alla fine arriva: mi comunicano che un donatore più compatibile di me ha accettato di donare e quindi mi ringraziano per la disponibilità.
Non sono delusa, sono felice che qualcuno più compatibile di me sia disponibile. Il solo fatto di sapere che potevo aiutare mi ha fatto bene. Ma bene in un modo che non so descrivere. Ora, io non so se tutti coloro che si rendono disponibili ad una cosa del genere la vivano come l’ho vissuta io. Ma posso dire di aver sperimentato sulla mia pelle, la bellezza di poter dare una speranza di vita ad un perfetto sconosciuto. Quella sensazione che da 30 anni porta i genitori di Nicholas Green a spiegare il perché di un gesto tanto semplice quanto potente.
La scelta giusta
Il papà di Nicholas ha detto: “La campagna che abbiamo portato avanti per trent’anni si fonda su un principio: le persone sono più inclini a donare gli organi se hanno avuto il tempo di prepararsi mentalmente a questa scelta. Tuttavia, non è mai semplice quando un proprio caro muore improvvisamente. Bisogna affrontare una decisione difficile su un tema spaventoso, a cui spesso si è pensato solo superficialmente. Per molti è troppo e rispondono “no”, rendendosi conto solo più tardi di aver perso quella che potrebbe essere stata la loro migliore occasione per migliorare il mondo. Per questo continuiamo a raccontare la storia di Nicholas: speriamo che, anche nei momenti più sconvolgenti, quando arriva la morte, le persone ricordino l’emozione che provarono leggendo sui giornali o vedendo in televisione la storia di una famiglia che ha scelto di salvare degli sconosciuti. E che, grazie a questo, siano ispirate a fare la scelta giusta”.