Oasis Mania: noi quarantenni non ci vogliamo vivere in questo presente
SPOILER: no, non sono riuscito a comprare i biglietti per la reunion degli Oasis.
Nonostante i quattro profili diversi sulle piattaforme di acquisto, i settordicimila dispositivi per accedere, gli orologi atomici e le sveglie all’alba di sabato, dopo ore e ore di fila ho trovato disponibili solo i tagliandi da 500 pounds. Non li ho presi, ovviamente. E allo sguardo da gatto con gli stivali di mia moglie, ho risposto: “Per quei prezzi Liam Gallagher mi dovrebbe tenere in braccio mentre canta Whatever“.
Lo confesso: la cosa mi ha molto intristito, oltre a rendere i Social un luogo impossibile da frequentare. Stavolta non ce l’avrei fatta a sopportare la moda del momento: quella che ci spinge a pubblicare in stories e post vari, tutto quello che ci accade. Meglio se legato a qualche avvenimento. Ancor di più se per eventi o location esclusivi. Ci ha pensato comunque il telegiornale a riaprire una ferita fresca e molto lontana dalla cicatrizzazione. I canali nazionali, infatti, facevano ruotare attorno al 2 la percentuale mondiale di chi era riuscito ad accaparrarsi i biglietti. Non ero il solo a essere rimasto fuori, dunque. Anzi appartenevo a un elite di nomi illustri come quelli di Zerocalcare, Sarah Felberbaum e dell’allenatore della Roma Daniele De Rossi.
La considerazione è nata in maniera praticamente spontanea. Oltre alla delusione per il probabile mancato incontro con i fratelli Gallagher, con questi nomi condividevo anche un’altra cosa: la data di nascita, essendo tutti figli degli anni ’80. Cosa che ci ha permesso di vivere l’esplosione del duo di Manchester, proprio nel pieno dell’adolescenza. Il momento durante il quale, per antonomasia, tutto ha una luccicanza diversa. Solo noi, infatti, eravamo negli anni giusti per accorgerci dei cambiamenti della moda, segnata, nei nostri licei, da un’esplosione di scarpe Adidas, impermeabili Umbro e da un florilegio di cappellini da pescatore.
Basta tutto questo a spiegare questa improvvisa e forse inspiegabile follia per la pace tra due stronzi estremamente talentuosi? Per me no. E vi spiego anche perché.
Ovviamente gli Oasis non sono il primo gruppo che decide di ritrovarsi dopo anni di assenza, litigi e insulti privati e pubblici. Prima di loro era stato il turno dei Pink Floyd, dei Led Zeppelin, degli ABBA, dei Guns N’ Roses. Anche dei loro eterni rivali: i Blur che hanno scelto di riabbracciarsi proprio nel momento in cui a Parigi, i fratelli Gallagher, decidevano di separare le proprie strade. Non per sempre, evidentemente.
Allora perché questa pazzia, questo monopolio della comunicazione durato una settimana? Perché questa improvvisa impennata dell’algoritmo di Spotify e dei vari Social che non fanno altro che mostrarci vecchi spezzoni di concerti?
La spiegazione è semplice: noi degli anni ’80 in questo presente non ci viviamo affatto bene. Non ci vogliamo stare. Per noi cresciuti a cartoni animati, pubblicità rumorose e colorate, giochi sempre differenti, eventi magnifici del calibro del Festivalbar, questi anni 20 risultano davvero insopportabili. Perché privi di una componente fondamentale, attorno al quale il nostro DNA si è lentamente solidificato: la speranza. La possibilità. Il sogno.
Gli anni in cui viviamo, infatti, sono quelli dell’eterno presente. Quelli del divieto di coniugare i verbi al futuro.
Quindi perdonateci se da 15 giorni a questa parte non parliamo d’altro che di questi diciassette concerti (ora diciannove), del perché gli Oasis siano tornati insieme e fantastichiamo di un tour mondiale da seguire tra Stati Uniti e Australia. Perdonateci se senza pensarci neanche un minuto, rimetteremmo il walkman in tasca e le cuffie alle orecchie e torneremmo con i nostri zaini Invicta e le nostre agende Smemoranda ai tempi del liceo. Quando la preoccupazione più grande era comunicare agli altri la formazione del fantacalcio invece che come pagare l’anticipo Iva.
Siamo arrabbiati e tanto. Ma non perché le promesse che ci sono state fatte non sono state mantenute: a quello ci siamo abituati. La nostra sofferenza più grande è non poter ricalcare con i nostri figli le orme dei nostri genitori che mettendoci a letto, dopo averci rimboccato le coperte, ci ripetevano con convinzione che saremmo diventati tutto quello che avremmo voluto.
Non è successo Mamma. E a noi quarantenni che per esperienze fatte, delusioni ricevute e problemi affrontati e risolti andremmo in pensione domani mattina, non resta che aggrapparci di nuovo agli idoli della nostra adolescenza.
Quelli che scuotendo un tamburello, in una posa inconfondibile, ci ricordavano:
DON’T LOOK BACK IN ANGER / AT LEAST NOT TODAY
Gabriele Ziantoni #DisperatamenteMalinconico
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