Murubutu: “I ragazzi vanno stimolati: sono saturi di superficialità”
Sette album, tre libri e infinite serate live in tutta Italia. A quindici anni dal suo esordio come solista, lo Sciamano di Reggio Emilia è pronto a portare la sua musica nei teatri con un progetto che mischierà jazz e hip hop. Senza dimenticare il suo primo amore, quello per l’insegnamento: “La scuola rimane l’ultima roccaforte contro il sapere orizzontale e superficiale”.
Partiamo dal principio: sei molto severo come professore?
Direi rigoroso. La verità è che sono ancora innamorato del mio lavoro, in fondo non c’è molta differenza tra l’insegnamento e la musica: cerco di veicolare contenuti in maniera accattivante. Dietro la cattedra e sopra il palco.
Sei un’artista un po’ controcorrente: mentre il tuo genere, cioè il rap, così come la trap, va verso testi sempre più stringati e legati a determinati temi, tu riempi le tue “barre” di parole.
Che faccio fatica a ricordare (ride). Hai ragione, ci aggiungerei che mi sto anche avvicinando al jazz, grazie al progetto che sto portando nei teatri con la Moon Jazz Band. Se ci pensi hip hop e jazz non sono poi così distanti, ad esempio trovano nell’improvvisazione una parte importantissima del loro sviluppo. Poi c’è del piacere personale: mi piace ibridare la mia musica con altre contaminazioni.
I tuoi album si distinguono non solo per la copertina, simile a quella di un libro, ma anche per i titoli: lunghissimi. Ti ispiri alla Wertmuller?
(ride) Ho pensato che magari fosse interessante introdurre i miei lavori, già con un piccolo raccontino. Ormai i dischi sono descritti da una parola sola…
Come nasce il Murubutu rapper?
Vengo da Reggio Emilia, un posto in cui si fa musica da sempre: pensate a Ligabue. Il rap l’ho conosciuto da giovane e mi ha subito conquistato. Essendo degli anni ’70, ho visto questo genere svilupparsi fin dagli anni ’80 fino ad esplodere nei ’90. Il mio progetto solista parte molto dopo: volevo dare alla mia musica una forte connotazione cantautorale e comunicativa. Per cui ho scelto fin da subito di fare storytelling.
Da qualche tempo, inoltre, hai affiancato alla tua produzione musicale quella editoriale: in collaborazione con Roby il Pettirosso…
Lui mi ha contattato come fan ma io guardando le sue tavole ho subito capito che avevamo una grande affinità, una sensibilità comune. Insieme abbiamo pubblicato tre libri: due dedicati alle mie canzoni e uno dedicato all’album “Infernum”. Opera che parla chiaramente di Dante e che ho scritto insieme a Claver Gold.
Che tipo di esperienza è stata?
E’ incredibile vedere le cose che hai immaginato, riprodotte. In più con Roby abbiamo anche fatto qualcosa live: lui disegnava su un megaschermo, mentre io mi esibivo.
Il tuo rap si rifà alla visione della musica progressive degli anni ’70: nel senso che ogni album è un concept?
Sì, assolutamente. Penso, però, di aver maggiormente a che fare con il cantautorato, meno con il prog.
Che tipo di pubblico hai?
Diverso. Ai miei live trovi famiglie e adulti. Moltissime donne: forse perché in molte mie canzoni è forte il tema dell’empatia.
E i ragazzi?
Per come li raccontano, così pigri e annoiati, non dovrebbero venire ai miei concerti e invece ci sono. I ragazzi sono stanchi di tutta questa superficialità: hanno bisogno di stimoli. La scuola rimane l’ultima roccaforte contro il sapere orizzontale e superficiale.
Gabriele Ziantoni #DisperatamenteMalinconico
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