Le Cronache dell’Ansia
Esco. Vado a prendere una boccata d‘ansia.
Chiudo la porta di casa, cammino a passo svelto, sospiro. E poi respiro a pieni polmoni imponendomi di rallentare il ritmo del cuore, dei pensieri…dissimulando la paura, il tremore che cresce.
Tu sei più forte, Ansia. Le mie mani improvvisamente sono come intrappolate, ogni movimento diventa uno sforzo. Cerco di concentrarmi, ma la mia mente sembra una stazione affollata. I pensieri ora sfrecciano in ogni direzione, senza sosta. Il battito accelerato rimbomba nelle mie orecchie come un tamburo. Respiro, respiro. Inspiro. Espiro. Riprendo possesso delle mie gambe, del mio sguardo, delle mie facoltà…
È la cronaca, sommaria, superficiale, eppure così dannatamente reale, di un attacco d’ansia.
Sono 8,5 milioni gli italiani che almeno una volta nella vita hanno sofferto di quello che é oggi considerato, insieme alla depressione, il disturbo mentale più diffuso.
Penso all’ansia come credo un ex tossicodipendente pensa alla droga: ne parlo ma con parsimonia. Non vorrei risvegliare il “mostro”.
A parlare è Gabriele Ziantoni, giornalista, Direttore Artistico di Roma Radio Sound, collaboratore del nostro magazine e scrittore, autore per la casa editrice Reality Book de “Le cronache dell’Ansia”.
Non ne soffro più, mi confida Gabriele. O comunque, non mi lascio invadere tanto spesso come accadeva in precedenza. Ogni tanto qualche attacco d’ansia torna ed è terribile. A differenza di prima, però, ora riesco a individuarne le cause e l’origine. E questo mi permette di spegnere il panico semplicemente lasciandomi attraversare. Gli undici anni di terapia psicoterapica hanno funzionato.
La sua ansia è un po’ la mia, la nostra, quella di un’intera generazione che oggi ha quarant’anni, ma se ne sente addosso trenta, o forse cinquanta, dipende dai momenti. E dagli sbalzi d’umore.
Gabriele quell’ansia ha avuto il coraggio sfrontato di metterla nero su bianco, di dargli un volto. Ne ha scritto addirittura le cronache. Perché non gli bastava un capitolo. O un articolo pubblicato sul nostro magazine. No. Lui all’ansia ha voluto dedicarci un libro. Che non è un manuale. Ma un percorso di esplorazione dell’io allo specchio con la sua ansia. Ventisei racconti che ci portano dentro stati d’animo e riflessioni personali. Un racconto privato e universale allo stesso tempo. In cui Ziantoni ha avuto la capacità di metter dentro i suoi sentimenti, le emozioni, le paure, i tormenti, e anche le speranze, le aspettative per il futuro, la voglia di ricominciare da capo.
E chi non ha mai pensato almeno una volta nella sua vita: “Se potessi ricominciare da quel momento farei…”
Io non ho dubbi, mi confida Gabriele in questa nostra intima e personale intervista a distanza.
23 marzo 2020. Ritornerei a quel giorno lì. Non uscirei di casa, mi barricherei tra le mie quattro mura, impedirei a chiunque voglio bene di lasciare il mio appartamento. Cambierebbe tutto, ne sono certo. Di più non posso e non voglio aggiungere.
La scrittura. Croce e delizia. Protagonista dell’ouverture del romanzo “Le cronache dell’Ansia”. La stanza rifugio la cui luce sembra sbiadita. Dove le parole, compagne prima fedeli, ora faticano a trovare spazio, luogo, persino tempo. “L’unica droga”, cito testuale “che posso assumere senza nemmeno un muscolo“.
Ho sempre raccontato storie, fin da quando ne ho memoria. Non ho ricordi di me, senza un foglio bianco davanti agli occhi e un gatto sulle ginocchia. La scrittura è il più forte antidepressivo che conosco, solo che come tutti i superpoteri, ha anche i suoi lati “negativi”. La scrittura è totalizzante. Non accetta i ritagli di tempo. Ti vuole per intero: non esiste altro. Non esiste il lavoro, le donne o i figli. Mi sono concesso per anni, senza risparmiare nemmeno una stilla di sangue. Ora continuo a farlo ma senza abbandonarmi completamente: sono stanco di perdere il controllo.
Mi ritaglio un paio di momenti l’anno, solitamente quelli durante i quali prendono vita i miei libri, per il resto raccolgo i miei malesseri (che sono motore delle mie pagine) in alcune sacche da svuotare all’occorrenza. “Un poeta felice è la cosa più inutile del mondo” ha scritto qualcuno. Ecco, da qualche anno a questa parte sto imparando a conoscere l’inutilità.
Ci siamo promessi un racconto senza filtri per cui, con altrettanta sincerità, Gabriele mi spiega la genesi di questo libro, nato proprio dalla collaborazione con www.distantimaunite.com.
Sarò sincero, come sempre: questo libro nasce da esigenze di mercato. Le case editrici spingono per avere una nuova pubblicazione ogni due anni e il mio ultimo romanzo era datato 2020. Dovevo uscire con qualcosa e anche in fretta. Mi sono guardato attorno e, avendo poco tempo a disposizione, ho raccolto le ultime cose che avevo scritto, cercando di dargli forma e logica. Mi pare di esserci riuscito. Quando guardo “Le cronache”, però, quando ne parlo alla gente durante le presentazioni, mi pare di scorgerci una luce diversa. Un significato diverso. Gli argomenti di cui tratta, la sincerità con la quale si racconta, lo rendono speciale. Sono sicuro che la sua importanza la capirò solo più avanti, magari quando tornerò a rileggerlo.
A rileggerlo intanto ci ho pensato io e mi sono ancorata ad un pensiero.
Sappiamo descrivere bene i nostri momenti di dolore, le ferite, persino le nostre paure. Ma siamo altrettanto bravi a raccontare la felicità. E soprattutto, quando ci capita, ce ne rendiamo davvero conto?
Purtroppo non possiedo questa capacità: io non riesco a farci caso quando sono felice. È un esercizio nel quale mi sto specializzando: cerco di accorgermi di quello che mi accade. In un suo libro, Michela Murgia spiega come ognuno di noi sia incastrato in un qualche anno della propria vita che vorrebbe rivivere in loop. Capita anche a me. E in alcuni momenti la nostalgia è talmente affilata da darmi dolore fisico.
Oltre all’Ansia, c’è il sentimento della paura. “La paura di essere banale, nella vita come nello scrivere, è quella che mi atterrisce di più” confessa Gabriele nel suo romanzo. Quella banalità che per la smania di piacere a tutti oggi è diventata la lingua più parlata nel mondo.
Ma la banalità non è certo di questo libro. A tratti lacerante, a tratti proiettato sul futuro con una lucidità, quella si’, da far paura.
Mi riesce spesso di anticipare i tempi e di arrivarci un pizzico prima sulle cose. Ho riletto cose che ho scritto, magari, dieci anni fa e che sono attualissime. Mi è capitato un sacco di volte, specialmente nella musica. Anche questa capacità, però, ha il suo lato negativo: la solitudine. Non so per quale motivo ma arrivati a un determinato punto della conoscenza, le persone mi abbandonano. Mi lasciano andare, mi perdono. E non mi cercano più. Il pensiero laterale, la coerenza, la complessità hanno una sola conseguenza: la solitudine.
La solitudine di chi sa guardare in profondità, di chi non si ferma alla superficie ma scava dentro se stesso. Di chi ha imparato sulla sua pelle che le ferite possono essere guarite, quando e da chi meno te l’aspetti. Perché “le cose arrivano nel momento in cui le hai dimenticate, hai smesso di desiderarle, di pensarci”.
Avevo trent’anni e mi sentivo pronto ad avere un figlio. E tutto intorno a me non mi suggeriva altro: la sicurezza lavorativa, la stabilità di una relazione che durava da otto anni, perfino le scelte comuni degli amici. Non riuscimmo e questa ennesima difficoltà non fece altro che far implodere un rapporto ormai logoro. Smisi di pensarci per quasi un decennio, vivendo ogni giorno come se avessi sedici anni: una follia. Per fortuna un bel giorno di Maggio, Eleonora (la mia attuale compagna) mi diede la notizia: saremmo diventati genitori. E nel momento in cui meno ce lo aspettavamo. E’ andata bene così: a trent’anni non sarei stato lo stesso uomo, lo stesso compagno e quindi lo stesso padre. Giulia è incredibile. E io non volevo un altro figlio: volevo proprio Lei.
Giulia, Eleonora hanno stravolto la vita di Gabriele regalandogli quella luce e quell’equilibrio di cui sembra essere stato affamato per anni. Che sembra aver ritrovato e perso, grazie ad altre donne, altrettanto importanti che hanno segnato l’esistenza di Gabriele bambino, adolescente, futuro uomo. Tracce di cui scorgiamo le orme tra le righe del romanzo, a volte evidenti, a volte celate.
Nonna, esempio. Madre, perdono. Eleonora, totale. Giulia, occasione.
Ognuna di loro mi ha insegnato qualcosa, ma solo con Eleonora e Giulia sono riuscito a fare pace con il femminile.
Perché bisognerebbe provare a sistemare le cose. Una, due, tre volte. Continuamente. In tutte le occasioni in cui se ne ha possibilità. Siamo davvero diventati, al contrario di quello che dovremmo essere, una società “usa e getta” anche nei sentimenti?
Sì, la nostra società non ha pazienza. L’ho imparato sulla mia pelle: figlio di genitori separati, ho mollato tutte le mie donne alle prime difficoltà. Eleonora è stata la prima persona nella mia vita a trasmettermi la voglia di riparare. Sarà che siamo entrambi pieni di cicatrici che aderiscono così bene quando ci abbracciamo.
Racconti, pensieri, ricordi, riflessioni, sogni e parti di sedute psicoterapiche. Questo libro appartiene a tutti quelli che, guardando gli altri ridere di gusto, pensano “Perché io no”.
Non è semplice sentire il silenzio che c’è. Eppure è grazie a quel silenzio che impariamo ad ascoltare noi stessi, e gli altri. Dovremmo imparare a cadere dalla neve. Silenziosamente. Con garbo. Con rispetto.
E a volte smettere di farci troppe domande a cui non sappiamo dare risposta.
Gabriele, quando la neve si scioglie il bianco dove va?
Il segreto è convincersi che la neve sciolta mantenga il suo bianco in un altro dove/quando. Così si è davvero rivoluzionari: non rassegnandosi ma continuando sempre a sognare il meglio.
Ed è così che l’Ansia perde la sua partita. Il bianco la acceca. Dando invece luce a chi ha voglia di guardare avanti.
#CaparbiamenteSognatrice
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