Etty Hillesum: il coraggio della scrittura
“Dovresti leggere Etty, secondo me ti piacerebbe”.
Chi è Etty? Te lo racconto.
Etty Hillesum è una giovane donna di 28 anni.
Il 30 novembre 1943 muore nel campo di concentramento di Auschwitz.
Il suo diario ha commosso i lettori di tutto il mondo. Testimonianza e racconto.
Di una vita vissuta nell’Amore, a dispetto dell’orrore. Di una storia personale interpretata sullo sfondo di una tragedia universale.
Per raccontare Etty mi sono affidata ad Annalisa Consolo, autrice del volume “Etty Hillesum: il coraggio della scrittura”. A lei il merito di aver guardato oltre e penetrato attraverso, restituendo un ritratto vivido e allo stesso tempo immaginifico, affascinante e a tratti necessariamente complesso della giovane ebrea olandese.
Sapevo di non avere le competenze per avventurarmi in un’analisi antropologica della vita di Etty o elaborare una critica della sua opera, mi confida Annalisa. Perciò ho cercato piuttosto di raccontarla come l’ho scoperta, elaborando una sorta di vademecum in grado di accompagnare tanto chi la incontra per la prima volta, quanto chi l’ha già conosciuta. La difficoltà più grande è stata riuscire a dare concretezza a una narrazione che – in apparenza – di concretezza ne ha poca, essendo il Diario un massiccio scavo interiore più che la cronaca quotidiana di una vicenda umana.
Etty. Una giovane donna “alla ricerca d’identità in un tempo che aveva fatto di tutto per sradicarla”. Un’aspirante scrittrice che era riuscita ad esprimere la sua voce in un luogo in cui ogni parola era zittita dall’orrore.
Mi sono imbattuta in Etty una decina di anni fa, mi racconta Annalisa. Adelphi ne aveva da poco pubblicato il diario in versione integrale e un’amica me l’aveva nominata quasi per caso.
«Dovresti leggere Etty…», così mi aveva detto, usando il suo nome proprio, «secondo me ti piacerebbe».
Il consiglio era passato un po’ in cavalleria fino a quando, in maniera ancora una volta casuale, non mi sono ritrovata a curiosare nella libreria di un’altra amica…L’edizione ridotta del Diario era in bella vista su uno scaffale. Colpita dalla coincidenza di trovarmelo davanti solo poco tempo dopo che me ne era stata suggerita la lettura, ho preso a sfogliarlo.
Vi capita mai di avere un pensiero, o provare un sentimento cui però non riuscite a trovare il modo giusto di dar voce? E senza alcun preavviso, di imbattervi in qualcuno che lo dice proprio così come avreste voluto fare voi?
È quello che a me è successo con Etty. Scorrendo le pagine del Diario – che la mia amica aveva sottolineato, appuntato, commentato – sono inciampata in un passaggio che era l’esatta espressione di uno stato d’animo che stavo attraversando in quel momento, e che non ero ancora riuscita del tutto a elaborare e tirar fuori. Trovarlo nero su bianco, così chiaro, così condiviso, mi ha fatto sentire vista…al punto che ho preso il diario e me lo sono portato a casa, divorandolo nel giro di pochi giorni.
All’epoca avevo da poco finito un master in sceneggiatura e tendevo – consapevolmente o meno – a considerare ogni storia nella sua possibile trasposizione cinematografica; così, anche nel caso di Etty, più la conoscevo più mi convincevo che la sua vita fosse materia da film; tanto che ho deciso di lanciarmi nella stesura di un soggetto. Mi sono procurata l’edizione integrale del Diario, le Lettere, e qualunque libro fosse stato scritto su di lei, in qualunque lingua mi fosse comprensibile.
Ho detto all’inizio di aver scoperto Etty circa dieci anni fa; una volta sviluppato il soggetto, infatti, la vita si è messa in mezzo come spesso le piace fare e tanto ci è voluto prima che riuscissi a riprendere in mano tutto il materiale che avevo studiato e tuffarmi di nuovo nella storia di questa donna straordinaria. L’occasione me l’ha offerta Ares, l’editore del mio primo romanzo: saputo del mio pallino per lei mi ha proposto di tracciarne il profilo, e così è nato “Etty Hillesum: il coraggio della scrittura”.
Mistica, passionale, campionessa d’umanità, trasgressiva. Il profilo di Etty Hillesum non rientra certo in limiti canonici condivisi. Del resto a confinarla non c’è riuscito nemmeno il filo spinato dei campi di sterminio.
Ciò che più mi ha colpito e mi colpisce ogni volta, mi spiega Annalisa, è la feroce sincerità con cui Etty si mette allo scoperto e le determinazione quasi spietata con cui evidenzia e analizza tutto quanto della sua vita è convinta non vada bene. È decisa a trovare la sua forma, a scoprire una dimensione di senso nel quale fondare la sua esistenza e darvi consistenza. Credo sia la sfida che spetta a ciascuno di noi e il fatto che lei sia riuscita a farlo nel bel mezzo della persecuzione nazista e della Seconda Guerra Mondiale, in un momento storico in cui c’era ben poco di quanto accadeva che avesse senso, rende la sua testimonianza ancora più preziosa.
L’Orrore e l’Amore
Etty Hillesum ha vissuto durante uno dei periodi più bui della Storia recente. Nata a Middelburg, nei Paesi Bassi, trascorre l’adolescenza a Deventer, studiando nel liceo dove il padre insegna Lingue classiche. Prima di ottenere il lavoro nella Sezione di Assistenza sociale ai deportati nel campo di smistamento di Westerbork, svolge controvoglia un impiego amministrativo presso il Consiglio Ebraico, ad Amsterdam, dove si trasferisce nel 1932.
Un lavoro che le permette di essere temporaneamente esentata dall’internamento a Westerbork; è lei stessa tuttavia a chiedere di andare al campo per occuparsi dei malati nelle baracche dell’ospedale, ed è sempre lei a rifiutare i tentativi di aiutarla a fuggire che pure le verranno rivolti. Vuole condividere il destino della sua gente, esserne al servizio:
“mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo”.
Etty Hillesum
Quando infine decade lo status speciale riservato ai collaboratori del Consiglio anche il suo destino è segnato.
Deportata ad Auschwitz la giovane donna ha con sé, nello zaino, la Bibbia e una grammatica russa, lingua della madre.
L’ultima cartolina postale, indirizzata all’amica Christine van Nooten, è datata 7 settembre 1943:
“Abbiamo lasciato il campo cantando”.
Etty Hillesum
Etty non è una santa. È una donna. Comune nella sua specialità. Con i suoi tormenti, le sue parole, i suoi squilibri emotivi, il vuoto, la mancanza, il perpetuo bisogno di avere un maestro, una guida, sia esso un uomo o un poeta.
Volevo riuscire a raccontarla non solo come figura essenziale che ha saputo tracciare i contorni del proprio tempo ed elaborarne un significato valido per qualunque epoca, ma soprattutto come donna alle prese con i tormenti, i sogni, le speranze di qualunque altra donna di oggi e d’allora, seppure calati nella devastazione di un mondo in guerra. Mi piacerebbe che questo libro fosse un mezzo per approcciarsi a lei e avvicinarla, che desse l’occasione a chi non l’ha ancora conosciuta di scoprire il suo enorme desiderio di vita, la sua ricerca di senso, la continua lotta per non perdere la speranza e la volontà di essere d’aiuto al suo popolo e offrirsi come campo di battaglia e balsamo per molte ferite.
Il coraggio della scrittura
Nel suo diario, nelle sue lettere Etty ha saputo raccontare in maniera vivida gli orrori della sua epoca. Ha saputo cogliere particolari, sfumature, linee sottili che ai più forse sarebbero sfuggiti.
Mi viene in mente a tal proposito, continua Consolo, un episodio che Etty racconta nella lettera che scrive a Westerbork il 24 agosto 1943. Al campo è appena arrivato l’ennesimo carico di deportati e, dalla finestra di una baracca, Etty li osserva scendere dal treno, sotto lo sguardo degli uomini della scorta armata. Sono proprio loro ad attirare la sua attenzione…
Ecco cosa scrive:
Se penso alle facce della scorta armata in uniforme verde, mio Dio, quelle facce! Le ho osservate una per una, dalla mia postazione nascosta dietro una finestra, non mi sono mai spaventata tanto come per quelle facce. Mi sono trovata nei guai con la Parola che è il tema fondamentale della mia vita: “E Dio creò l’uomo a sua immagine”. Questa Parola ha vissuto con me una mattina difficile.
Etty Hillesum
Immagini tanto vivide da poterle quasi toccare, così evocative da farsi quasi concrete di fronte agli occhi di chi legge.
È un modo di raccontare così vivido che pare quasi di vederla, mentre scorre i volti delle guardie alla ricerca di un po’ di umanità. E quanto riesce a dire, pur senza dire, quel suo essersi “trovata nei guai” con E Dio creò l’uomo a sua immagine? In quelle poche parole c’è tutto il suo orrore, la sua difficoltà, e al tempo stesso anche la strenua lotta per continuare a custodire Dio, a trovarlo dentro gli altri. Nella sua semplicità e immediatezza, la “mattina difficile” ha il sapore di un combattimento titanico, di un match senza esclusione di colpi.
È questa sua disponibilità a offrirsi come terreno di battaglie che tutti siamo chiamati ad affrontare, prima o poi, a rendermela cara, il suo desiderio di viverle senza sottrarsi, e di condividerle raccontandole.
È una Etty che cambia, si evolve, si adatta. Alla ricerca di un equilibrio tra la sua dimensione fisica e quella mentale.
All’inizio è come se procedesse per la vita a carne viva, non riesce a porre alcun filtro tra lei e la realtà, e tutto ciò di cui fa esperienza – un tramonto, un fiore, un’amicizia, una contrarietà – l’attraversa, spesso tramortendola. È mossa da una sorta di bulimia esistenziale, vuole assimilare ogni cosa, divorarla, farla sua. Solo grazie alla stesura del diario, alla costanza, alla disciplina e all’ordine che una tale pratica richiede – e cui lei si sottopone con incessante determinazione -, che riesce a mettere la giusta distanza tra lei e quello che vive; a fare esperienza della realtà senza volerla necessariamente possedere, a goderne senza che questo la devasti. È il cambiamento, la maturazione che la porterà a recarsi nel campo di Westerbork come volontaria…
Per tratteggiare la figura di Etty al meglio, Annalisa Consolo ha viaggiato attraverso la penna, il tempo, ma anche fisicamente attraverso quei luoghi percorsi e vissuti dalla giovane Hillesum.
L’edificio in mattoncini rossi al numero 6 della Gabriël Metsustraat, dove abitava, con la finestra della sua camera che ancora affaccia sulla spianata della Museumplein e il Rijksmuseum, e il senso di disagio misto a nostalgia nel notare la piccola targa con il suo nome, unico segno a ricordarla. Il Centro Ricerche a lei dedicato e la meraviglia dell’incontro con persone i quali genitori l’avevano conosciuta. La brughiera attraverso cui mi sono avventurata per raggiungere ciò che resta di Westerbork e la soddisfazione dell’averla avuta vinta sulle intemperie; le mie scarpe nel fango all’ingresso dell’unica baracca – ricostruita – che rimane, e il pensiero delle condizioni in cui dovevano ridursi i 100.000 internati nel campo quando pioveva.
L’assenza di pensieri di fronte alle rotaie piegate all’insù, memoria di tutti i convogli che da Westerbork sono partiti; il monumento dedicato a Etty lungo la sponda del fiume Ijssel, dove un’amica lontana che da poco ha scoperto Etty mi ha pregato di lasciare un fiore…
Un gesto d’amore. Come l’Amore, nelle sue forme più disparate e complesse, è ciò che ha contraddistinto la vita di Etty Hillesum.
Una donna “Innamorata”.
Sono convinta serva un amore per alzarsi al mattino, eppure nessun amore sopravvive agli orrori della guerra e della persecuzione se non è radicato in una dimensione esistenziale più profonda. Etty ama il mondo appassionatamente, con tutte le sue difficoltà e incertezze, ama i suoi studi e le persone che la circondano, e attraverso la scrittura riesce a calare questo amore nelle pieghe della sua interiorità e radicarlo in quella che lei chiama la sorgente al centro di se stessa. Inoltre, ogni amore autentico è in un modo o nell’altro fecondo, e Etty feconda lo è stata senz’altro: il diario e le lettere ne sono la testimonianza, così come i racconti di quanti l’hanno incontrata…
L’esperienza corporea, fisica, il “toccare”, il “sentire con mano”, con “tutto il corpo”. Pure Dio. Etty è stata una persona molto cerebrale eppure allo stesso tempo molto fisica.
Etty viene spesso definita mistica ma in realtà anche il suo rapporto con Dio era ben radicato nella carne, tanto che numerosi passaggi del diario sono dedicati alla sua difficoltà – prima – e necessità – poi – ad inginocchiarsi. Pur appartenendo alla tradizione ebraica, nessuno degli Hillesum era praticante e tante sfumature del suo rapporto con Dio richiamano piuttosto la religione cristiana, sebbene lei non si sia mai convertita. Quello che lei costruisce con fatica e al tempo stesso naturalezza, è un dialogo incessante tra lei e ciò che inizialmente chiama la sorgente, che a poco a poco si trasforma in un Tu – quasi fosse un’altra Etty alla quale rivolgersi -, che a sua volta muta progressivamente e definitivamente in Dio.
Ciascun passaggio manifesta la sempre maggiore apertura della sua vita interiore: dentro e fuori di sé Etty si muove dall’altro all’Altro, trovando in Dio sia il sostegno cui appoggiarsi, sia qualcuno (o Qualcuno) di cui farsi carico. Penso sia incredibile che, quando intorno a lei ci si domandava che fine avesse fatto Dio e perché permettesse tanta sofferenza, lei ne abbia invece preso le difese, restituendo quella responsabilità agli uomini e spendendosi con la sua vita per dissotterrarLo nei loro cuori.
Il diario
Etty Hillesum ha scelto e usato la forma del diario a cui affidare emozioni, sentimenti, speranze, confidenze. Così come ha fatto un’altra ebrea, un’altra giovane donna dell’epoca: Anna Frank.
Entrambe le opere hanno in comune di essere non cronache “infernali”, racconti sofferti della propria disumana condizione, come ci si aspetterebbe, ma un inno all’amore e alla vita. L’una ha avuto più diffusione dell’altra. Perchè?
Credo sia stato un concorso di più fattori. Da una parte, la complessità dei contenuti: oltre ad essere assai più voluminoso, tanto che nella sua prima edizione fu pubblicato in versione ridotta, il Diario di Etty è l’espressione di un denso, elaborato lavorio di scavo interiore che potrebbe forse risultare ostico a chi lo approccia come fosse una delle tante opere appartenenti al genere. Dall’altra, il fatto che nessuno membro della famiglia Hillesum sia sopravvissuto non ha contribuito a diffonderne il pensiero e la vita.
C’è poi un fattore, diciamo, “culturale”: quando Klaas Smelik – l’amico al quale Etty affidò i suoi quaderni affinché li pubblicasse – si mise alla ricerca di un editore, la difficoltà che incontrò era soprattutto dovuta alla resistenza della società di allora a riflettere e elaborare quanto era appena accaduto. Chi era passato attraverso la guerra e la persecuzione, aveva poca voglia di tornarvi… Non si era pronti ad affrontare drammi ancora troppo recenti, e certo non con la – spesso – brutale chiarezza e lucidità con cui Etty li aveva vissuti e analizzati. Di fatto, ci sono voluti quasi quarant’anni perché il Diario vedesse luce.
Una delle caratteristiche di Etty è la sua straordinaria capacità di metterti di fronte a te stesso, qualcosa che non tutti sono disposti a fare.
Leggere le parole di Etty Hillesum è quasi un dovere morale. È un richiamo. Un viaggio a cui il libro di Annalisa Consolo ci conduce senza darci scampo:
Etty va letta perché è una delle testimoni più importanti del secolo scorso, che ha saputo leggere l’epoca in cui ha vissuto con maggiore chiarezza persino di chi ha dovuto affrontarla dopo. In un momento storico, come il nostro, in cui con troppa facilità si fa tabula rasa di ogni memoria, è fondamentale che sempre più persone la conoscano.
Va letta perché la sua è la storia di una giovane di quasi trent’anni che si barcamena e lotta per riuscire a dare un senso alla sua vita, e chi non è mai passato attraverso una fase del genere?
Va letta, perché c’è grandissimo bisogno di figure come lei, di esempi di speranza, determinazione, passione, lotta, dubbi – anche -, gioia, amicizia, amore… vita, insomma.
E poi, va letta per avere l’occasione di farsi toccare dalla sua straordinaria umanità e non “mollarla” più.
“Dovresti leggere Etty, secondo me ti piacerebbe”.
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