Revisionismo linguistico: ne abbiamo veramente bisogno?
Nel vasto panorama della comunicazione umana, la lingua gioca un ruolo centrale e dinamico. Non è un semplice strumento di comunicazione: riflette la cultura, la storia e le aspirazioni di un popolo. Proprio come le società evolvono nel tempo, così fanno le lingue, adattandosi a nuove realtà e cambiamenti socio-culturali. Uno degli aspetti più contestati e dibattuti di questa evoluzione linguistica è il “revisionismo linguistico”. Ma cos’è esattamente?
Revisionismo linguistico e storico
Il revisionismo linguistico si riferisce alla pratica di rivedere e, in molti casi, modificare termini o espressioni ritenuti obsoleti, offensivi o inappropriati al giorno d’oggi. Questo può riguardare termini legati al genere, alla razza, alla disabilità, all’orientamento sessuale o ad altri ambiti della diversità umana. Ora, per quanto sia una cosa lodevole siamo proprio sicuri di dover cambiare proprio tutto tutto?
Mi spiego meglio: dietro il revisionismo linguistico ci sono molteplici ragioni. La sensibilità sociale ad esempio: alcuni termini possono essere percepiti come offensivi o peggiorativi. Cambiandoli si cerca di promuovere un linguaggi più inclusivo. C’è accuratezza, ovvero alcune parole ad esempio scientifiche sono superate e possono essere aggiornate. E poi c’è l’eterna battaglia che un determinato linguaggio sia pieno di stereotipi o pregiudizi e quindi ritenuto offensivo. Tutto molto bello, ma siamo sicuri che sia la strada giusta?
Revisionismo storico alla Disney
Il dubbio mi è venuto partendo dai cartoni animati della Disney. Il colosso, che da tempo si è impegnato in una sorta di personalissimo revisionismo storico, ha deciso di eliminare dalla sezione della sua piattaforma Disney+ dedicata ai più piccoli tre film: Peter Pan, Dumbo e Gli Aristogatti, colpevoli di diffondere «stereotipi dannosi». Le pellicole, oggi sono precedute da avvertenza e rimangono disponibili nella sezione dedicata agli adulti. Gli Aristogatti, secondo la Disney, avrebbero offeso gravemente gli asiatici, offrendo una caricatura sgradevole di Shun Gon, il siamese con denti spioventi, gli occhi a mandorla e che suona la batteria nell’ormai famosa canzone ” Tutti vogliono suonare il jazz”. Peter Pan avrebbe tradito i nativi americani, definendo Giglio Tigrato e la sua tribù «pellerossa» ( che poi allora bisognerebbe andare a rivedere tutti i film di Sergio Leone) mentre Dumbo avrebbe riso degli schiavi afroamericani, e i corvi, nel loro cinguettare, avrebbero fatto loro il verso.
La Fabbrica di cioccolato
Passando alla letteratura, ha fatto molto discutere il revisionismo linguistico che si è abbattuto sui libri di Roald Dahl, morto del 1990 e autore tra gli altri de “La Fabbrica di cioccolato”. La casa editrice inglese, che dal 2021 appartiene alla società statunitense Netflix, in accordo con gli eredi, è intervenuta sul testo di vari romanzi eliminando parole o frasi ritenute offensive o non inclusive rispetto ai canoni del mondo attuale. E’ così che “grasso” affibbiata a un personaggio, è ritenuta offensiva perché potrebbero risentirsi tutti coloro che hanno il problema di essere grassi e spesso sono presi in giro per questo motivo. Così uno dei bambini protagonisti de La fabbrica del cioccolato, descritto dal suo autore-creatore come “sproporzionatamente grasso” con grossi rotoli di grasso flaccidi che gli pendevano da ogni parte del corpo (il simbolo della golosità irrefrenabile, tanto che durante la visita alla fabbrica vuole bere da un condotto di cioccolato fuso finendo risucchiato), diventa semplicemente “enorme”. In altri casi anche l’aggettivo “nano” non va bene. Ricordate gli UmpaLUmpa? “Padre e madre” diventano “genitori”. “Piccoli uomini” diventano “piccole persone”.
Ne abbiamo veramente bisogno?
Come ho scritto qualche riga più su, è tutto molto bello ma personalmente non è necessario. Io non credo che gli autori dei classici della letteratura e delle favole da cui hanno preso ispirazione alla Disney, volessero offendere volutamente qualcuno o discriminare. Semplicemente, le parole utilizzate erano lo specchio dei tempi. Dei loro tempi. E non mi risulta che qualcuno all’epoca della loro uscita si sia sentito offeso. Cambiare la lingua può portare ad una riscrittura o addirittura all’oblio della storia, mascherando realtà del passato. Inoltre, tra le critiche che si muovono a questa moda del revisionismo linguistico, c’è la preoccupazione che il linguaggio diventi un campo di battaglia politico, con cambiamenti spinti da agende specifiche piuttosto che da una vera necessità linguistica.
Il punto è proprio questo: esiste una vera necessità linguistica?
È innegabile che la lingua sia in continua evoluzione. Il revisionismo linguistico, in quanto tentativo di rendere il linguaggio più equo e inclusivo, ha meriti indiscutibili. Tuttavia, come con ogni cambiamento, è fondamentale procedere con riflessione, cercando di bilanciare la necessità di rispettare ogni individuo con la chiarezza e la funzionalità della comunicazione. Senza dimenticare che un classico rimane tale, che non si può cancellare la storia o quello che siamo stati e le parole, gli atteggiamenti che siamo stati. Comprendere questo e farlo comprendere alle nuove generazioni è forse l’unico lavoro che dovremmo esercitare.
Segui DmU Magazine! Sulle nostre pagine social Facebook, Instagram e Telegram. E iscriviti alla nostra newsletter.
#ostinatamenteEclettica