Lidia Poët. La lotta di una donna coraggiosa
Una giovane donna dalla determinazione incrollabile. La vivace città di Torino. L’anno, il 1879. Un solo obiettivo in mente. Diventare avvocato. Era un traguardo audace per una donna in quel tempo, ma Lidia Poët non era una donna comune. Era straordinaria.
Nata in un tranquillo paesino, immersa nelle Alpi. Fin da piccola Lidia mostrò un’intelligenza fuori dal comune. Amava la giustizia, difendere i più deboli. Suo padre, modesto avvocato di provincia, le trasmise la passione. Studiò, si laureò, affrontò un mondo ostile.
Una donna avvocato? Follia! Minaccia all’ordine sociale.
Però Lidia non cedette.
Non si piegò alle aspettative.
Determinata a dimostrare che il suo genere non era un limite.
L’avventura di Lidia nel mondo forense iniziò con la pratica presso uno studio legale di Torino.
La sua intelligenza, le sue capacità sempre messe in discussione.
Ostacoli ovunque.
Una donna non poteva aspirare all’avvocatura. Il suo posto era in casa.
Lidia non si arrese. Superò tutto.
Nonostante la sua eccellenza nel campo legale, si trovò ad affrontare una dura opposizione, uno scoglio difficilmente arginabile. Quando chiese l’iscrizione all’Albo degli avvocati.
Infatti, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torino votò contro la sua iscrizione, sostenendo che la professione legale fosse riservata agli uomini solamente.
Lidia continuò a lottare.
Con il sostegno di alcuni colleghi e dei movimenti femministi dell’epoca, iniziò una battaglia legale per difendere il suo diritto di praticare come avvocato.
La sua disputa arrivò fino alla Corte di Cassazione, ma purtroppo, malgrado il suo impegno e la sua competenza, la Corte confermò la decisione del Consiglio dell’Ordine.
Lidia fu costretta a lasciare l’Albo degli avvocati. Non rinunciando mai comunque al suo sogno.
A dispetto dell’ingiustizia subita, Lidia infatti seguitò a studiare e a difendere le cause in cui credeva, anche se informalmente. Si specializzò nella tutela dei diritti delle donne, dei minori e degli emarginati, dedicando la sua vita alla parità di genere e a una giustizia più equa.
Una vita dedicata alla lotta insomma.
Dopo anni di sacrifici e dedizione, arrivò la svolta. Quel “ne valeva la pena”.
E la novità per lei e per tutte le donne che, come lei, aspiravano a diventare avvocato giunse nel 1919, con l’approvazione della Legge Sacchi.
Finalmente alle donne veniva consentito di entrare a far parte dei pubblici uffici.
In questo modo si aprirono le porte all’ingresso del mondo femminile nel campo legale.
E Lidia poté finalmente riprendere il suo posto come avvocato!
Senza tener conto di anni di scontri e sacrifici, Lidia Poët non si fermò mai.
Andò avanti a praticare la professione legale fino alla sua morte, avvenuta il 25 febbraio 1949, all’età di novantaquattro anni.
Oggi, Lidia Poët è ricordata come una delle prime donne avvocato in Italia, una pioniera che ha spalancato portoni per le generazioni future. La sua storia si è snodata come un monito per tutti coloro che si battono per l’uguaglianza di genere e per una società più equa.
Animata dalla passione per il proprio lavoro e dalla determinazione nel raggiungere i propri obiettivi, ha saputo sfidare un mondo come quello dell’avvocatura che, all’epoca, era esclusivamente maschile. Ha aperto la strada al riconoscimento di norme e benefici, in un tempo neanche troppo remoto, da cui le donne erano escluse in quanto donne.
La sua determinazione e il suo coraggio rimarranno per sempre un faro di speranza e di ispirazione per tutte coloro che lottano per i propri sogni e per i propri diritti.
Furono esattamente la sua passione per la giustizia e la sua perseveranza a indicare la via a molte altre donne che seguirono le sue orme.
Ad onor di cronaca e riconoscendo i giusti meriti… Molto tempo prima di Lidia, un’altra donna italiana, aveva sfidato le convenzioni e aveva segnato la storia come icona di coraggio e determinazione.
Se infatti Lidia Poët è stata la prima donna iscritta all’ordine degli avvocati di Torino, e su questo primato non si discute, che dire della sua antenata quattrocentesca?
Il suo nome era Giustina Rocca. E la sua storia risale al XV secolo.
Nata a Trani, appunto nel mezzo del XV secolo, Giustina Rocca entrò nella verità dei fatti come primo avvocato donna del mondo.
Giustina era una donna eccezionale.
Sposata con il Capitano Regio Giovanni Antonio Palagano.
Madre di quattro figli.
Fu la sua abilità e la sua competenza nel campo legale a renderla celebre.
Operò nel foro di Trani, una città vivace e fiorente. E si distinse per il suo coinvolgimento in delicate questioni diplomatiche tra le città di Trani e Venezia.
La sua viva intelligenza e la sua eloquenza attirarono l’attenzione del governatore veneziano di Trani, Ludovico Contarini.
Si dice anche che la sua figura abbia ispirato il personaggio di Porzia di Belmonte nel famoso lavoro teatrale di Sir William Shakespeare, “Il mercante di Venezia”.
La fama di Giustina Rocca raggiunse il suo culmine quando pronunciò una sentenza arbitrale in lingua volgare, e non in latino come si usava, per far meglio comprendere a tutti ciò di cui si discuteva.
Era l’8 aprile 1500, di fronte a tutti i suoi concittadini e al governatore veneziano.
Un evento che fu un vero trionfo. E allo stesso tempo un segno tangibile del talento e della competenza di Giustina.
Le sue capacità non passarono inosservate.
E la sua figura fu celebrata nel “De Iure Patronatus” del giureconsulto Cesare Lambertini, pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1533.
La sua reputazione si diffuse in tutta Europa, con le successive edizioni stampate a Francoforte e Lione.
Purtroppo, la vita di Giustina Rocca fu segnata anche da una tragica perdita. La sua unica figlia, Cornelia, morì prematuramente nel 1492, prima che potesse compiere vent’anni. Giustina la commemorò componendo un epitaffio che descriveva il dolore straziante per la perdita improvvisa.
Qui giace la nobile Cornelia Palagano insigne per nascita e per fede. Niente di più illustre i genitori generarono, unica speranza dei fratelli e luce anche della madre. L’età sua non aveva ancora sorriso ai vent’anni quando con rapido morso la morte violenta la rapì. Per cui sarà ragione da rimpiangere per tutta la città, sebbene coi celesti dimori nei regni Beati. L’anno del Signore 1492, 27 gennaio.
Figlia tanto adorata che nelle sue ultime volontà, dettate al notaio il 10 giugno del 1501, Giustina Rocca, chiese di essere sepolta nella cattedrale di Trani accanto alla tomba della figlia.
A Giustina, nel 2022, è stata dedicata una delle tre torri della Corte di Giustizia Europea. La torre più alta che si affianca ai nomi di Erasmo da Rotterdam, Tommaso Moro, Comenius e Montesquieu in rappresentanza dei valori comuni, enunciati nell’articolo 2 del Trattato di Lisbona.
Questa dedica è un omaggio alla tradizione giuridica italiana, alla nostra Avvocatura, alle nostre donne che, sin da tempi remoti, hanno voluto essere trattate al pari degli uomini.
La vita di Giustina Rocca è stata un esempio di sfida alle convenzioni e di perseguimento delle proprie aspirazioni. Lasciando un segno indelebile nella storia, di donna risoluta e talentuosa.
Quando Lidia Poët prese la sua decisione di diventare avvocato, si trovò a camminare sulle orme di una pioniera come Giustina Rocca.
La storia di queste due donne straordinarie dimostra che il coraggio e la determinazione possono superare ogni ostacolo, aprendo la strada per un futuro più inclusivo e paritario.
E se prima possono aver provato a far finta di ignorarle, dopo tutti… le hanno viste arrivare. E vincere!