Ci chiamavano farfalle: quando il sogno diventa incubo
Leggere, come farfalle.
Eleganza, armonia. Dei corpi e dei movimenti.
Sudore, sacrificio, allenamento. Vittorie.
Il sogno che si trasforma in un incubo. Le ali spezzate. Libertà e passione che diventano catene e ossessione.
Amore e odio. Per la bilancia. E per il proprio fisico.
Notti insonni. Adrenalina che non fa dormire. Fatica che attanaglia i muscoli. E poi il punto di rottura.
È il 30 ottobre 2022. Nella redazione del quotidiano La Repubblica arriva una mail inattesa e sorprendente. È di Nina Corradini, ex campionessa della ginnastica ritmica italiana.
Nina lancia una pesante accusa: “in Nazionale”, denuncia, “subivamo umiliazioni dalle nostre istruttrici, per non farci mangiare”.
Il vaso di Pandora è scoperchiato.
Il podcast
Ci chiamavano farfalle è il podcast di Laura Bastianetto nato dall’inchiesta curata dal giornalista Riccardo Caponetti sullo scandalo che ha sconvolto il mondo della ginnastica ritmica italiana.
Un viaggio in cinque puntate nella mente delle giovanissime ginnaste coinvolte nella vicenda. Un racconto che a tratti sembra la trama di un film, un thriller. Salvo accorgersi ben presto che si stanno ascoltando testimonianze, lacrime, sussulti che di cinematografico hanno ben poco. E di reale, troppo.
“Se la persona fosse costretta ad uscire dalla caverna e venisse esposta alla luce diretta del sole, rimarrebbe accecata e non riuscirebbe a vedere alcunché, si troverebbe sicuramente a disagio. Volendo abituarsi alla nuova situazione, la persona, solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi”
Platone. La Repubblica
“Io stavo malissimo” confida Nina nella puntata del podcast intitolata Quando il corpo cambia, “ma non riuscivo a lasciare quella cosa che mi faceva male. Quando ho trovato finalmente il coraggio di dire basta è stata quasi una liberazione, mi sentivo proprio libera per la prima volta”.
Anna, Nina, Sophia, Sara. Tra mille difficoltà e paure iniziano ad alzare la testa, a guardarsi intorno, a desiderare il gusto dolce della normalità.
“Resasi conto della situazione la persona vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà”
Platone. La Repubblica
Il riferimento al mito della caverna di Platone, descritto nel suo dialogo filosofico chiamato “La Repubblica”, é esaustivo. Un gruppo di prigionieri rinchiusi all’interno di una caverna che credono che le ombre proiettate sulle pareti siano realtà. Un mito che viene utilizzato dal filosofo per illustrare il concetto di conoscenza e la transizione dalla percezione limitata alla visione più ampia della realtà.
Così come accaduto a tutte coloro che hanno trovato il coraggio di guardare fuori dalla caverna senza farsi accecare dalla luce del mondo esterno, senza più tornare indietro.
L’oro non luccica più. Il buio non fa più paura.
Dalla passione travolgente, dai trionfi medagliati all’abisso degli abusi, agli incubi più profondi.
Uno dopo l’altro cadono i birilli.
A metà novembre dello scorso anno (2022), mi spiega Laura Bastianetto, autrice del podcast Ci chiamavano farfalle, abbiamo avuto la sensazione che il fenomeno potesse essere molto più esteso di quanto emerso fino a quel momento. Perché sin da subito, fin dalla prima denuncia dell’ex farfalla Nina Corradini, sono arrivate decine e decine di messaggi, lettere, email di ragazze, a ogni livello, che denunciavano gli stessi abusi. Il fenomeno esisteva, quindi, e andava approfondito, raccontato. Bisognava far sentire le voci di chi denunciava. Occorreva un racconto che entrasse in quelle palestre al solo scopo di capire, comprendere e offrire un contributo per il cambiamento reale e non solo di facciata.
8 ore di allenamento in palestra per un minuto e mezzo di esibizione in pedana, in cui giocarsi il tutto per tutto e dimostrare il frutto del proprio lavoro, il proprio valore.
Il sogno di una medaglia, di una chiamata in Nazionale. Si alza la posta in gioco. E può accadere che quel sogno cullato con determinazione e leggerezza, diventi incubo, persecuzione, notti insonni, paura.
Un amore che si trasforma in catene. Non più farfalle, leggere e felici, ma vittime, spente ed esauste.
L’intento, spero riuscito, era quello di entrare nella parte più intima delle storie delle protagoniste ripercorrendo le loro vicende fin dall’inizio di una passione che comporta sacrifici, rinunce ma anche titoli e felicità incondizionata fino allo scontro con una realtà dura e a volte spietata.
Avevamo due possibilità, mi spiega Laura: ripercorrere semplicemente l’inchiesta attraverso le voci di alcuni dei protagonisti della vicenda; oppure cercare una cifra, appunto, che permettesse all’ascoltatore di immedesimarsi in alcune situazioni, viverle, sentirle nel più profondo per evitare inutili tifoserie che non portano mai a un cambiamento. Abbiamo cercato di offrire un punto di vista terzo, una possibilità per leggere le cose sotto un’altra luce, per cercare di fare davvero qualcosa per cambiare la prospettiva. Lungo tutto il podcast emerge la questione del “metodo”, di un “modus operandi” accettato incondizionatamente perché “è quello vincente“ e perché “è quello che è stato sempre usato”. In ballo, però, ci sono bambine, ragazze, persone, ognuna con la propria sensibilità e le proprie fragilità. Questo è il pensiero che mi ha guidato per tutto il tempo.
Ad essere investito dallo scandalo è l’intero mondo della ginnastica italiana. Ma sotto accusa é soprattutto il modus operandi di Emanuela Maccaroni, direttore tecnico della Nazionale, (insieme alla sua assistente Olga Tishina), sul cui capo pende un procedimento della giustizia ordinaria e sportiva per presunti maltrattamenti psicologici subiti dalle ex allieve dell’Accademia di Desio che l’hanno denunciata. “Non ho mai offeso nessuno”, si è sempre difesa. “Ci sono semmai metodiche di allenamento, ci sono correzioni o atteggiamenti che pero‘ sono stati sempre rivolti al gesto tecnico non certo all’offesa della persona o tantomeno al corpo di un’atleta”.
Nel mio podcast, ci tiene a precisare Laura Bastianetto, ho cercato di rimanere il più obiettiva possibile proprio perché non spetta a me giudicare. C’è una giustizia sportiva e anche un’ordinaria che stanno facendo il loro lavoro. Per questo motivo l’intento non è mai stato quello di dire “questi sono i giusti e questi gli sbagliati”. Nella mia ricostruzione ho cercato, con uno sforzo infinito, lo ammetto, di guardare le cose dalle due prospettive con un punto però chiaro e certo: se c’è un malessere, va ascoltato e non condannato o sottovalutato ed etichettato come “debolezza”.
Tutte le protagoniste di questa storia hanno affermato che non va messo in discussione il concetto di peso forma per un’atleta, né quello di disciplina rigorosa. Occorre verificare però che il metodo per raggiungere la finalità agonistica non sia incompatibile con il benessere psicofisico dell’atleta stesso.
Stigmatizzato da più parti anche il ruolo dei genitori delle ragazze coinvolte, ritenuti responsabili, a torto o a ragione, di non essersi accorti di ciò che stava accadendo alle loro figlie.
I genitori sono i grandi accusati. Ma anche in questo caso è troppo facile dire “colpa tua che non te ne sei accorto”, “colpa tua che hai affidato tua figlia così piccola a un’estranea”. In fondo, non è ciò che facciamo sempre, ognuno di noi, ogni singolo giorno? Quando lasciamo a scuola i nostri bambini, non li stiamo lasciando alle cure di altri? O quando li mandiamo ai campi scuola, o a praticare qualsiasi tipo di attività. Ci fidiamo, dobbiamo farlo per permettere a quella figlia o figlio di crescere, di scoprirsi, di seguire le proprie passioni. E, per questo motivo, ci affidiamo a delle altre persone adulte che riteniamo all’altezza del difficile compito.
I genitori che ho ascoltato, non solo stanno vivendo il grande senso di colpa di non aver capito subito il dolore delle proprie figlie e gli abusi di cui hanno parlato solo dopo essere uscite dal mondo della ginnastica. Sono costretti anche a sentirsi giudicati da persone che non hanno mai vissuto le stesse vicende. Come si può pensare che un genitore possa volere il male per i propri figli? Magari va aiutato, va sostenuto, va consigliato. Come hanno fatto i genitori che ho intervistato e che oggi chiaramente suggeriscono di continuare ad assecondare le passioni dei propri figli, ma cercando di essere molto vigili e attenti.
La passione, l’amore incondizionato per uno sport su cui sin da piccolissime si decide di investire tutto.
Si salutano mamma, papà, fratelli, amici, si lascia la comodità e la sicurezza della propria cameretta, il calore delle pareti della propria casa, per inseguire un obiettivo che ha il vestito di un sogno che luccica.
Da bruchi a farfalle. Bambine e adolescenti con una valigia carica di aspettative e di poche certezze, catapultate in una realtà che non ammette le fragilità tipiche di quell’età. Una realtà che le fa continuamente sentire “sbagliate”, ma che a loro sembra l’unica possibile.
Le rinunce, i sacrifici, che diventano pane quotidiano più, molto di più, del cibo stesso che anzi diventa demonio, causa di umiliazione. Il terrore di guardare la propria immagine riflessa allo specchio, la presa di coscienza che, no, quel sogno non può essere davvero diventato un incubo. E la consapevolezza finale: quella “sbagliata” non sono io.
Ognuna di loro ha fatto un percorso. È proprio quello che ha dato loro la forza di parlare, denunciare e testimoniare la loro sofferenza affinché altre bambine non si trovino nella stessa condizione. La cicatrice ovviamente resta e il trauma non si riassorbe così facilmente. C’è chi ha ferite più vecchie e che sta ancora lavorando su se stessa. E chi ha fatto di quel dolore un grande punto di forza e di rinascita completa. Tra di loro qualcuna non è stata in grado di riascoltarsi nel podcast perché fa ancora troppo male. Infine c’è chi sta riprendendo in mano la sua vita e sta usando quell’esperienza proprio per cercare di cambiare un sistema.
L‘Era delle Farfalle è tramontata
Hanno un nome, un volto. Un corpo.
Ci sono loro, le farfalle ormai libere. C’è chi è tornata a gareggiare, chi è diventata influencer, chi si è iscritta all’università. Chi è riuscita a tornare in palestra, chi, invece, a malapena riesce a seguire qualche gara delle ex colleghe in tv.
E poi ci sono le farfalle che non vogliono più essere definite tali: le giovani atlete della nazionale di ginnastica ritmica che dopo la scandalo/inchiesta desiderano non essere più collegate in alcun modo a quel soprannome.
L‘Era delle farfalle nata giornalisticamente ad agosto del 2004, muore dopo 18 anni a novembre del 2022. Lo annunciano a gennaio 2023 la capitana Alessia Maurelli e Martina Centofanti, esponente di spicco della nazionale bronzo a Tokyo 2020. Una rottura dolorosa e irreversibile, scrivono le due atlete. Ma necessaria.
Il peso dello scandalo ha spezzato l‘incantesimo. Il sogno ora è tutto da ricostruire. Senza dimenticare il passato. Per tornare a volare, si spera, con ali più forti.
#CaparbiamenteSognatrice
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