Assange libero. Ex diplomatici italiani a difesa

Assange libero. Ex diplomatici italiani a difesa

Rinchiuso per otto anni nella sede dell’Ecuador a Londra, per sfuggire a una poco credibile accusa di stupro. Ad aprile è scattato il suo quarto anno di reclusione a Belmarsh, la Guantanamo Britannica. In attesa di essere estradato negli Stati Uniti e scontare una condanna a 175 anni di carcere. Per aver svelato la verità sui crimini di guerra degli Stati Uniti. Tutto il mondo si è mobilitato per chiedere la sua non estradizione. Il nome di Julian Assange non ha mai smesso di fare rumore. E ultimamente anche un gruppo di ex-diplomatici italiani ha deciso di far sentire la propria voce a difesa del giornalista australiano.

Unendosi al crescente coro di proteste che da tempo domandano al Governo britannico di non concedere l’estradizione del giornalista australiano. E chiedendo che l’Amministrazione USA annulli ogni azione contro Assange, seguendo la linea di condotta tenuta dall’allora Presidente Obama. 27 ex diplomatici italiani hanno sollecitato il Governo affinché si unisca a tutti coloro che chiedono al presidente Biden di fare marcia indietro.

Premessa 1: Assange rischia la prigione a vita, o peggio, perché accusato di aver rivelato la verità sui crimini di guerra USA. Washington lo accusa di aver diffuso migliaia di dossier riservati, reato per cui rischia una reclusione fino a 175 anni. Però è proprio grazie alla pubblicazione di quei documenti che il mondo ha aperto gli occhi sull’orrore delle guerre in Iraq e Afghanistan.

Premessa 2: L’Amministrazione Obama si era espressa non incriminando Assange e anzi graziando pure il militare Chelsea Manning. Lui che aveva passato i documenti al giornalista australiano e che era stato condannato per questo a 35 anni di carcere.

Premessa 3: L’Amministrazione Trump, invece, ha incriminato il cofondatore e caporedattore di WikiLeaks. Riesumando una legge del 1917, emessa per limitare la stampa durante la Prima Guerra Mondiale.

Conseguenza: L’Amministrazione Biden non ha cambiato la linea Trump.

Della vicenda umana e processuale di Julian Assange ne avevo già parlato qui su DmU Magazine, circa un anno fa. Cercando di dimostrare quanto assurda e pericolosa fosse la situazione, dal punto di vista dei diritti umani e per un caposaldo come la libertà di stampa.

Sono passati giorni, settimane, mesi.

Il fondatore di WikiLeaks è ancora in attesa. Con il cappio che pende. Dietro le sbarre. Assange aspetta l’esito del ricorso contro l’estradizione negli Stati Uniti. Decisione approvata a dicembre 2021 dall’Alta Corte britannica e firmata sei mesi dopo dall’allora ministro degli Interni Priti Patel.

L’esito dell’appello era atteso all’inizio dell’anno ma ancora tutto tace. 

Senza contare che in questi dodici mesi che sono trascorsi dal mio precedente articolo su Assange, le sue condizioni di salute si sono ulteriormente aggravate. A causa probabilmente anche dello stato in cui versano i prigionieri di Belmarsh, dove è rinchiuso, e che il fondatore di WikiLeaks ha descritto a Re Carlo prima della sua incoronazione invitandolo a visitare il luogo dove è recluso da più di quattro anni. E’ il primo documento che Assange scrive e pubblica da quando è nella prigione di Londra.

Per questi motivi, cittadini di tutto il mondo e decine di parlamentari australiani, britannici e americani, oltre ad Amnesty International e Reporter Sans Frontières, hanno rivolto petizioni all’Attorney General degli Usa. E chiesto alla Corte Suprema del Regno Unito di negare l’estradizione. E a questa campagna internazionale si sono uniti anche i 27 ex diplomatici italiani, chiedendo direttamente al Governo di prendere posizione in merito. 

Si può davvero conoscere la misura di una società da come tratta i suoi prigionieri

(Julian Assange, lettera a re carlo per l’incoronazione)

Facendo le dovute riflessioni, è apparso ormai chiaro a ognuno che la chiave che potrebbe portare il caso a una svolta sia di natura politica e diplomatica.

E dunque veniamo al punto. Con la petizione, che sta ribalzando sui media. A sostegno della libertà di stampa e per la liberazione del reporter perseguito dagli Usa e ora in carcere in Gran Bretagna.

Gli ex diplomatici italiani dicono stop al crimine del silenzio. E sottolineano la pericolosità di una pena detentiva a carico di chi fa della verità, il proprio lavoro e la propria missione. Perché “le democrazie prosperano solo se hanno il coraggio di guardarsi allo specchio”.

E’ sotto gli occhi di tutti come una condanna a 175 anni di carcere, ossia la pena che Assange rischia in caso di estradizione negli USA, costituirebbe una grave intimidazione nei confronti di tutti i giornalisti del mondo. 

A sostegno del controsenso e della minaccia alla libertà della situazione, nel testo della petizione dei 27 ex diplomatici si legge inoltre, il riferimento a una precedente dichiarazione. Era del novembre scorso e proveniva dai giornali che avevano pubblicato gli estratti dei documenti rintracciati da Assange, sui crimini commessi in particolare in occasione delle guerre in Iraq e Afghanistan.

The Guardian, The New York Times, Le Monde, Der Spiegel e El País, avevano difatti dichiarato che “chiamare i governi a rispondere dei propri atti fa parte della missione basilare di una stampa libera in una democrazia. Ottenere e rivelare informazioni sensibili,  quando necessario nel pubblico interesse, è una parte fondamentale del lavoro quotidiano dei giornalisti. Se tale lavoro viene criminalizzato, il nostro dibattito pubblico e le nostre democrazie vengono rese molto più deboli”.

Assange

L’istanza presentata al Governo italiano tocca punti salienti ed episodi reali che devono essere ricordati e sottolineati per capire un po’ di più del caso Assange.

Consiglio quindi di leggerla tutta e con attenzione. La riporto qui di seguito.

La malaugurata invasione dell’ Iraq del 2003 ha provocato una serie di conseguenze negative e di gravi violazioni dei diritti umani di immediata percezione: iracheni torturati nelle celle di Abu Ghraib, rinchiusi illegalmente a Guantánamo, un Paese distrutto a tutto vantaggio dell’Iran. Ma anche episodi rimasti ignoti a lungo. Uno per tutti. Il 12 luglio 2007 un elicottero Apache in sorvolo su Baghdad scorge nella strada sottostante alcuni civili, tra cui un fotografo munito di telecamera; dall’elicottero la scambiano per un lanciarazzi e sparano a raffica su di loro. Giunge in soccorso un furgone e viene centrato anche quello: 11 morti tra cui due bimbi. Questo fatto sarebbe rimasto sepolto assieme alle sue vittime, se non l’avesse rivelato nel 2010 un giornalista australiano, Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, coadiuvato da Chelsea Manning, un soldatino transgender. Furono loro a impedire il “crimine del silenzio” sugli orrori delle tragedie irachena e afghana.

Solo le dittature silenziano i media. Le vere democrazie trovano il coraggio di svelare “di che lagrime gronda e di che sangue” il Potere. E porvi rimedio. L’ha fatto il presidente Obama graziando Chelsea Manning, che era un militare con 35 anni di carcere da scontare. Perché non Biden per Assange, che è un giornalista? Eppure, da vice-presidente Biden aveva riconosciuto che le rivelazioni di WikiLeaks non avevano provocato “alcun danno sostanziale”. Ciò nonostante, Washington incriminò Assange con 17 capi d’accusa, basati su una legge antiquata – l’Espionage Act del 1917 – che poneva limiti alla stampa durante la Grande Guerra.

Rinchiuso per otto anni nella sede dell’Ecuador a Londra (per sfuggire oltretutto a una poco credibile accusa di stupro), ad aprile è scattato il suo quarto anno di reclusione a Belmarsh, carcere inglese di massima sicurezza, in attesa di esser estradato negli UsaLe condizioni in cui vive ne hanno gravemente minato la salute. Perciò decine di parlamentari australiani, britannici e americani – oltre ad Amnesty International e Reporter Senza Frontiere – hanno rivolto petizioni all’Attorney General degli Usa e chiesto alla Corte Suprema del Regno Unito di negare l’estradizione.

I diplomatici sono tra i primi a riconoscere quanto può nuocere la fuga di rapporti e altri documenti riservati. Ma se la “riservatezza” serve a celare crimini di guerra, prevale il dovere del funzionario di denunciarli e il diritto del giornalista di renderli pubblici, si tratti o no di scoop. Va ricordato che nel 2004, durante l’invasione dell’Iraq, 52 ex-diplomatici britannici e 27 ex-ambasciatori e generali americani di alto rango uscirono dal loro riserbo con due durissime lettere di critica a Blair e a Bush.

Ora, noi ex-diplomatici ci uniamo ai parlamentari e alle organizzazioni umanitarie che hanno firmato appelli per la liberazione del giornalista, essendo convinti che le democrazie prosperano solo se hanno il coraggio di guardarsi allo specchio. A tal fine ci appelliamo al nostro governo affinché si unisca a tutti coloro che chiedono al presidente Biden di rinunciare ad ogni azione contro Julian Assange, in coerenza con quanto fatto da Obama.

Firmatari del documento sono: Marco Baccin, Francesco Bascone, Mario Boffo, Rocco Cangelosi, Torquato Cardilli, Giuseppe Cassini, Fabio Cristiani, Antonio D’Andria, Anna Della Croce, Enrico De Maio, Roberto di Leo, Patrizio Fondi, Paolo Foresti, Giovanni Germano, Elisabetta Kelescian, Maurizio Lo Re, Luigi Maccotta, Roberto Mazzotta, Enrico Nardi, Angelo Persiani, Alessandro Pietromarchi, Michelangelo Pipan, Giancarlo Riccio, Antonio Tarelli, Maurizio Teucci, Paolo Trabalza, Bernardo Uguccioni.

Assange

Chiedere la liberazione di Julian Assange significa difendere non solo una persona per motivi umanitari, ma anche anche uno dei più importanti diritti delle società democratiche. Quella libertà di stampa tanto ostacolata e intralciata dai regimi di tutte le latitudini del globo. 

Assange è oggi un simbolo. Di ciò che siamo e ciò che vogliamo essere. Di ciò in cui crediamo e per cui combattiamo. E’ la linea di demarcazione. E’ essere dentro o fuori dal coro.

Personalmente posso solo dire grazie a chi ha lottato e lotta per la mia libertà. Ad ogni latitudine e in ogni epoca. Con la penna o con un microfono. Permettendo a me e a ognuno di parlare, riflettere, accrescere il pensiero critico. Molti di questi coraggiosi di ogni epoca erano e sono giornalisti.

#IrriducibilmenteLibera

Consiglio di rileggere il mio articolo di maggio 2022 per un riassunto della storia di Julian Assange

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Sabrina Villa

Per Vasco “Cambiare il mondo è quasi impossibile -Si può cambiare solo se stessi - Sembra poco ma se ci riuscissi - Faresti la rivoluzione” . Ecco, in questo lungo periodo di quarantena, molti di noi hanno dovuto imparare nuovi modi, di stare in casa, di comunicare, di esternare i propri sentimenti. Cambiare noi stessi per modificare quello che ci circonda. Tutto si è fermato, in attesa del pronti via, per riallacciare i fili, lì dove si erano interrotti. I pensieri hanno corso liberamente a sogni e desideri, riflessioni e immagini e, con la mente libera, hanno elaborato anche nuovi modi di esternazione e rappresentazione dell’attualità. Questa è la mia rubrica e io sono Sabrina Villa. Nata a Roma e innamorata della mia città. Sono un'eclettica per definizione: architettura, pittura, teatro, cucina, sport, calcio, libri. Mi appassiona tutto. E' stato così anche nel giornalismo, non c'è ambito che non abbia toccato. Ogni settore ha la sua attrattiva. Mi sono cimentata in tv, radio, carta stampata. Oggi, come al solito, mi occupo di tante cose insieme: eventi, comunicazione, organizzazione. La mente è sempre in un irriducibile movimento.

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