Milgram: la spiegazione scientifica all’odio Social
In rete c’è un video molto famoso.
Ritrae Tiziano Ferro, immobile di fronte a un microfono: è intento a recitare un elenco.
“Grasso, putt*na, nano, disadattato, fr*cio, criminale, neo, vecchia, terrone, raccomandato, pezzente, ritardato, tr*ia…”
E avanti così, per secondi che sembrano interminabili.
“Le parole hanno un peso, ma non lo ricordiamo – continua Ferro – ed è questo il dramma che si nasconde dietro i messaggi di bullismo”.
Era il novembre del 2019 e il cantante originario di Latina era ospite di Fabio Fazio “A che tempo che fa” in occasione dell’uscita del suo nuovo album “Accetto Miracoli”.
Quattro anni, dunque. Questo il tempo trascorso dal monologo del Tiziano nazionale. Quattro anni sconvolgenti, a tratti incredibili. Fatti di pandemie, morti, crisi climatiche ed economiche, guerre, perdita di valori, nascite di intelligenze artificiali e cambi di establishment a tutte le latitudini.
Quattro anni dai quali abbiamo imparato poco o addirittura niente. Questo almeno, tenendo conto di quello che è accaduto nell’ultimo weekend.
“Figlt adda murì”
Theo Hernandez, Ciro Immobile e Melissa Satta. No, non sto raccontando una barzelletta di dubbio gusto, né disquisendo su articoli e interviste dedicati a tre personaggi dello sport e del mondo dello spettacolo. Ho fatto, invece, i nomi degli incolpevoli protagonisti di uno tsunami social che ha riempito le pagine di giornali e siti d’informazione durante il fine settimana appena trascorso.
Ciro Immobile è stato perculato per un gravissimo incidente con un tram, in centro a Roma, per fortuna senza conseguenze. Né per l’autista del mezzo, per il centravanti della Lazio in auto con le sue bambine.
A Melissa Satta, invece, vengono rimproverate le scarse prestazioni tennistiche di Matteo Berrettini, sua nuova fiamma. E’ la stessa showgirl a raccontarlo, affidando il suo sfogo proprio a un video con il quale più che lamentarsi, invita le persone meno strutturate psicologicamente e magari vittima del suo stesso attacco, a non mollare.
Le ore più brutte deve averle passate, però, Hernandez: il calciatore del Milan, infatti, dopo aver postato una foto con il figlio per festeggiare il suo primo compleanno, si è visto il profilo instagram riempito di insulti gravissimi. Tra i quali fa rabbrividire figlt adda murì (tuo figlio deve morire) scritto da un tifoso del Napoli, prossimo avversario Champions dei rossoneri.
Ma perché ci si comporta così? Perché padri di famiglia o simpatiche signore ormai prossime alla pensione si macchiano di queste infamie? Cosa spinge persone all’apparenza normalissime e sono certo più che inserite in società, a riversare sotto i profili social di persone che neanche si conoscono, insulti di ogni sorta? Probabilmente la distanza. O almeno questo dice la Scienza…
“Esperimento Milgram”
Nel 1961 lo psicologo statunitense Stanley Milgram inscena un test di psicologia sociale, attraverso il quale capire come si reagisce a ordini autoritari, completamente in contrasto con i comuni valori etici e morali. Erano gli anni dei processi ai gerarchi nazisti, in particolare di quello di Gerusalemme che aveva come compito giudicare i crimini di guerra di Adolf Eichmann. La domanda alla quale cercava risposta Milgram era molto banale: possibile che i generali tedeschi eseguissero solo degli ordini?
Lo svolgimento del test era piuttosto semplice: di fronte a un campione di persone comprese tra i 20 e i 50 anni, veniva posto un quadro di controllo di un generatore di corrente elettrica. Guidato da alcuni “insegnanti”, il gruppo sperimentale aveva il compito di schiacciare alcuni testi che avrebbe dato una scossa e quindi causato dolore ad altri essere umani posti in una stanza attigua. E quindi del tutto invisibili alla vista ma udibili attraverso le mura. Senza entrare troppo nello specifico, nonostante le urla sempre più strazianti (ovviamente false), provenienti dalle camere vicine, una percentuale molto considerevole del campione concluse l’esperimento: dando scosse elettriche sempre più forti a degli emeriti sconosciuti.
Tutto questo perché? La distanza, soprattutto visiva, tra i soggetti inibiva l’empatia, rendendo possibile anche il gesto più maligno e doloroso. Distanza che nel caso di Milgram era costituita da pareti, nel nostro mondo da schermi. Se di uno smartphone o di un computer poco cambia.
Come combattere tutto questo? Probabilmente con il dialogo e l’educazione. E se le vecchie o attuali generazioni sono ormai perdute è sulle future che occorre lavorare. Partendo dalla scuola: istituendo corsi sul cyberbullissimo, il linguaggio e il pericolo dei Social. Ma anche puntando sulle famiglie che hanno il compito, primario, di far capire ai propri figli quanto ogni loro azione abbia una conseguenza. Sempre.
Gabriele Ziantoni #DisperatamenteMalinconico
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