I padri tornano a casa stanchi

I padri tornano a casa stanchi

I padri tornano a casa stanchi.

La gola secca, graffiata da infinite ore di utilizzo. Le tasche gonfie di promesse a sessanta giorni, la testa piena di grida, canzonette e unicorni. L’anima ricurva su se stessa: piegata da umiliazioni, treni passati nonostante la fermata prevista, un riconoscimento cercato tutta la vita e che infine arriva. Quando meno te lo aspetti, quando non ti serve più. Quando fa più male.

I padri tornano a casa stanchi.

E parcheggiano lontano. Per nascondersi ancora un po’. Per dare tempo al freddo serale di asciugare loro, gli occhi e le guance. Perché sì: i padri piangono. E spesso. Magari in macchina mentre, braccati nel traffico, subiscono l’aggressione di una canzone troppo vicina per resisterle. Oppure la mattina presto, in casa. Nascosti dal viscoso odore di chiuso, dalla fretta del caos organizzativo, dall’inseguirsi di invadenti whatsapp. Mandàti di cattura a tempo, mostri a cui è impossibile sfuggire, calici amari da bere fino in fondo senza nemmeno il conforto di qualcuno da pregare affinché ci permetta di passare…

I padri tornano a casa stanchi.

E confidano nel rombo dell’aspirapolvere: più farà rumore, più sarà semplice piangere sfuggendo al controllo familiare. Ché il problema della tristezza è che quasi mai riesce a spurgare per intero. Il nostro cuore non ha più la forza di sputarla via come faceva un tempo: qualche reflusso resiste e si accumula lungo le pareti ventricolari, trasformandosi in rabbia. Che, poi, scivolando, finisce per gonfiarsi nello stomaco. I succhi gastrici chiamati a sciogliere questa palla di merda non sono abbastanza efficaci. La rabbia resiste, cambia forma e torna tristezza. Un processo alchemico di cui si parla a lungo negli studi di psicologi e psichiatri. In fondo “Sangue che scorre senza fantasia, porta tumori di malinconia“.

I padri tornano a casa stanchi.

E conoscono perfettamente il tempo di percorrenza di ogni tragitto ascensoriale. Non importa se quel moderno Caronte abbia il compito di condurli a lavoro, dagli amici o dai propri figli. I padri sanno perfettamente quanto impiegheranno a raggiungere l’appartamento desiderato. Ogni secondo è prezioso: gli necessita per indossare la maschera, per fissarla bene al volto, senza il pericolo di vedersela scivolare dal naso nei momenti meno opportuni.

I padri sono supereroi ma al contrario: si proteggono dentro casa. Perché è proprio lì che servono i loro poteri. I papà, come tutti gli impavidi, sono uomini soli. Impossibile confidare le proprie paure: quello che gli viene richiesto è di essere granitici, imbattili, privi di rete di sicurezza. Gli specialisti non aiutano, i Social ti ignorano, le famiglie non ti ascoltano. Contano solo la mamma e il bambino. Che spesso ti vengono messi anche contro: perché le influencers della maternità, alle quali interessa solo fatturare, non fanno altro che convincere il mondo di quanto essere uomo sia una fortuna. Impieghi migliori, salari più alti, ruoli pronunciati correttamente, posizioni privilegiate. Come quella che ti rende spettatore del rapporto che tuo figlio ha con tua moglie. Qualcuno in sala saprebbe spiegarmi l’utilità di tutti questi profili che mettono contro madri e padri?

Non resta che rivolgersi agli amici già papà: che ti accolgono col sorriso, aprendoti squarci disperanti sul futuro, trattando ogni argomento un tanto al chilo come solo i maschi sanno fare. Come scegliere un mattatoio per un intervento di chirurgia plastica.  

I padri tornano a casa stanchi.

Almeno il 19 marzo, almeno oggi quando, in teoria, bisognerebbe festeggiarli, fategli un regalo: lasciategli togliere la maschera per qualche ora. Magari avrete modo di osservarne le occhiaie e i segni degli elastici. Magari, per una volta, vi faranno tenerezza.

Auguri a tutti i papà come me: alla ricerca di una dimensione. Di uno scopo nella vita. Chi siamo noi? Quale sarà il nostro destino? Forse siamo nati per fare i genitori? Oppure ci consoliamo con l’educazione dei nostri figli, per non pensare ai fallimenti? Ai sogni marciti nel cassetto? Ai talenti con i quali abbiamo un debito?

Gabriele Ziantoni #DisperatamenteMalinconico

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Gabriele Ziantoni

Giornalista per hobby, polemico per professione, speaker per necessità. Gabriele Ziantoni nasce a Marino, un piccolo paese in provincia di Roma, il 12 dicembre 1983. Solitario, testardo e vagamente intollerante, vive con una penna in mano e un foglio bianco davanti agli occhi fin da quando ne ha memoria. Dopo varie esperienze nel campo del giornalismo, soprattutto sportivo, dal 2011 affronta in maniera ondivaga il rapporto con il suo secondo amore dopo la scrittura: quello con la radio. Direttore Artistico di New Sound Level 90 FM, ha all’attivo tre libri: “Un secondo dopo l’altro” (L’Erudita, 2017), “Nonostante tutto” (L’Erudita, 2019) e “Rudi Voller. Il Tedesco Volante” (Perrone, 2020).

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