La missione di Romina. In Turchia tra i bimbi spezzati da guerra e sisma

La missione di Romina. In Turchia tra i bimbi spezzati da guerra e sisma

Bella fuori e dentro. Romina Rapisarda, 31 anni, il suo sorriso lo ha portato in missione nella martoriata Turchia lì dove tra guerra e sisma, la gioia negli occhi è pura utopia e un sospiro di libertà costa a caro prezzo. Nessun sorriso taglia le facce innocenti degli oltre 800mila bambini bloccati al confine turco-siriano dal 2012, colpevoli di essere nati nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

E’ così che lei, laureata in Scienze politiche e dipendente full time di un’azienda di che si occupa di relazioni istituzionali, zaino in spalla lascia l’Italia e in 4 ore di volo arriva a Gaziandep, al confine tra Siria e Turchia, lì dove il destino beffardo ha voluto scagliarsi contro una popolazione già povera, messa in ginocchio prima da un conflitto armato, ora da un terremoto di magnitudo 7 che ha causato oltre 50mila morti. Missione-sorriso.

Il viaggio dall’Italia
“A Bruxelles conobbi dei ragazzi della ONG Time 4 life International. Mi parlarono delle loro attività e iniziai a seguirli sui social network. Agli inizi di dicembre scorso, lessi un post dove si cercavano volontari per una missione in Turchia dal 6 al 12 dicembre. Pochi giorni dopo, decisi di partire. Con pochissimo preavviso”, spiega.

Romina rinuncia alle ferie natalizie, le anticipa. Acquista il biglietto aereo di tasca sua: 250 euro Roma-Istanbul e poi volo interno per Gaziandep. Nel piccolo bagaglio a mano inserisce gli effetti personali e qualche ricambio, nella valigia da stiva solo doni: vestiti e scarpe di ogni taglia per uomini, donne e bambini, come gli era stato chiesto. Quel bagaglio non sarebbe mai tornato in Italia. Anche i trolley in quel posto sono “beni di lusso” perchè, tagliati in due, vengono utilizzati come culle e lettini per i profughi.

Atterrata, in aeroporto incontra altri volontari provenienti da Modena e conosce Mimmo, referente turco che vive lì. “Ormai era sera e raggiungemmo un’abitazione. Avremmo dormito lì per le successive 7 notti, in 8 arrangiati nel salotto di Mimmo”.
Col senno di poi, si dice fortunata ad avere ricevuto un tetto sicuro sopra la testa, un pasto pronto la sera e il calore di un termosifone.

Il terribile arrivo a Kilis
La missione di Romina inizia. “Il giorno dopo ci svegliammo alle 7 e a bordo di un furgoncino raggiungemmo Kilis, piccola cittadina turca dove si nascondono i profughi apolidi”, spiega. Il confine tra la Repubblica araba siriana e la Repubblica di Turchia è lungo circa 909 km ma è minato. Romina racconta di come molti, dal 2012 ad oggi, sono sopravvissuti alla guerra in Siria oltrepassando il confine minato seguendo passo dopo passo le orme esperte degli scafisti, pagati profumatamente come traghettatori di esseri umani. Secondo una recente stima, sarebbero oltre 150mila i profughi siriani che vivono nella cittadina di Kilis. Alcuni nei campi, in piccole tende, altri nei sobborghi della città in alloggi di fortuna: cantine, sottoscala, stalle, stanze interrate.

La ONG sa dove sono e li raggiunge nei nascondigli più disparati per portare loro viveri, carbone, coperte, vestiti e farmaci. Non hanno niente. Romina oggi è una di loro.

Bimbi soli nel sottoscala: morsi di ratto sulle guance tenere

“Ci fermammo davanti a un palazzo e iniziammo a strisciare per terra per raggiungere una stanza minuscola. Lì c’erano 5 o 6 bambini seduti per terra. Nessun adulto, erano tutti fratelli e sorelle, avranno avuto 7 anni al massimo e vivevano in condizioni igienico sanitarie terribili. Una bimba aveva un’infezione all’occhio diffusa su tutto il volto, un altro bimbo il faccino ricoperto di morsi di ratto”, spiega Romina che aggiunge: “Aspettano che passi la giornata, rinchiusi in gabbia. Non giocano, non parlano, non ridono. Sembrano quasi senza sentimenti”.

I segni dei morsi di ratto inflitti sulle guance tenere e immacolate di baci materni mai ricevuti; gli occhi gonfi, malati e arrossati, ormai prosciugati di lacrime. Romina e gli altri volontari li soccorrono e li medicano: “Abbiamo somministrato alla bimba un collirio antibiotico ma non sapevamo come spiegarle di prenderlo due volte al giorno, dopotutto era solo una bimba e la mancanza di un genitore era scioccante. Non possono andare in ospedale perchè non hanno documenti e rischiano di essere catturati e successivamente uccisi. Non volevamo andare via, ma il nostro giro doveva continuare quindi abbiamo lasciato vestiti, coperte, viveri e li abbiamo salutati. Saremmo tornati qualche giorno dopo per controllare la situazione”, spiega Romina.

La stalla della disperazione: 14 figli e una mamma che vuole disfarsene
La prossima fermata della missione di Romina è in una stalla di 10 metri quadrati. “Mi spiegarono che lì viveva una mamma sola con 14 figli. Ero allibita, ci trovavamo in un luogo minuscolo, sporco, con bambini in fasce che dormivano vicino a vacche e cavalli come bestie, ammassati sul terreno umido. Le bimbe “grandi” di 7 anni tenevano in braccio i neonati”, spiega Romina con la voce rotta dall’emozione.
In foto come bambole di porcellana, ma nella realtà più adulte di quanto sembrano. Cresciute in fretta per sopravvivere al dolore. Le manine sporche di terra, i volti scavati e gli sguardi spenti, incattiviti dalla precoce urgenza di imparare a reagire alle sfide della vita. Troppo in fretta. L’odore pungente di escrementi di vacche e cavalli intriso nelle narici di un’intera famiglia. Mai un profumo, mai un odore diverso, mai nulla di nuovo. Se non un’infezione, una malattia, la morte precoce di un fratello di stenti o gelo.

“Portatelo via, subito e lontano da qua!” 
“Abbiamo iniziato a cambiare i bimbi, a provare nuovi vestiti della loro taglia più caldi e avvolgenti. Abbiamo aperto insieme il pacco di provviste, sistemato le coperte. Una bimba mi diede il suo fratellino in braccio e scappò via quasi a volersi liberare da quel peso così oneroso di badare a lui tutto il giorno. lo presi e lo tenni tra le mie braccia”, racconta Romina commossa.
“Trascorremo un paio d’ore con loro. Mi colpì la loro reticenza e mancanza di fiducia. Offrimmo cioccolata ai più piccoli ma non la accettavano quasi mai, non si fidavano. Chiesi al responsabile dove fosse la mamma di quei bambini e mi indicò una ragazza che avrà avuto 20/25 anni al massimo. E’ stata anche vittima di violenza sessuale, mi dissero. Le resi il piccolo in fasce che mi aveva dato la bambina poco prima ma lei non volle prenderlo. A gesti chiaramente mi fece capire: “portatelo via, subito e lontano da qua!” 

Romina non può credere ai suoi occhi: “Vidi la disperazione nel suo sguardo. Come può una mamma volersi separare dal proprio figlio con tanta leggerezza, non voleva riprenderselo”, spiega attonita. Il gesto estremo di una donna rassegnata. Il fallimento materno che trasforma l’amore in apatia, la paura in odio e l’amara certezza che ogni posto per crescere quel figlio è migliore di quello dove si trova ora. Una bocca da sfamare in meno, una vergogna in meno, una vita (forse) in salvo.

Tendopoli e freddo: dove la morte arriva prima
I giorni successivi la missione di Romina prosegue nel campo profughi di Kilis. Le famiglie incontrate il giorno prima sono “fortunate”, le spiegano, perchè hanno un tetto sopra la testa e si trovano in luoghi chiusi. Mentre chi sta peggio vive all’aperto nelle baraccopoli in grandi campi abitati. Qui è di fondamentale importanza consegnare alle famiglie i sacchi con 50kg di carbone cosicchè possano attivare le stufe per tenersi caldi. 

“Arrivati al campo, raggiungemmo una prima famiglia che Mimmo conosceva bene. Una donna con 7 figli, tra cui una bimba molto piccola. Ma una volta sul posto, non trovavamo la neonata. “Dov’è la piccolina?”, le chiese Mimmo in arabo. “Morta congelata proprio ieri”, le rispose la mamma facendo spallucce. “Quella donna rispose che era morta la figlia come se non fosse successo niente”, racconta la volontaria. Non c’è il tempo di elaborare il lutto, la lotta alla sopravvivenza continua per chi è rimasto.

Nel pomeriggio al campo, Romina conosce un bambino dal sorriso contagioso che voleva giocare a nascondino con lei ma disponeva solo della sua piccola tenda per nascondersi. “Mi ha fatto tenerezza, assistere al suo tentativo di nascondersi dietro le varie parti della tenda, unico strumento di gioco in suo possesso. Mi raccontarono che qualche mese prima, proprio vicino alla suo giaciglio, un altro bimbo compagno di giochi era tragicamente morto nella notte per una scintilla della stufa che aveva innescato un incendio improvviso sulla coperta sotto il quale stava dormendo. Gelo o fiamme, così si muore al campo di Kilis. Non da ieri, ma da 10 anni.

Profughi nascosti, volontari nascosti
Le storie sono tante, le vite spezzate pure. La missione di Romina è ricca di incontri e ha l’opportunità di conoscere molti altri piccoli profughi, alcuni visibilmente ustionati in volto dalle bombe. “Conobbi un bambino che indossava le scarpette al contrario, invertite la destra con la sinistra, ma al mio tentativo di fargliele indossare correttamente scappava via, quasi col timore che gliele volessi sottrarre”, spiega. Non ci sono scuole, non si possono raggiungere ospedali, non ci sono bagni. Nessuna attività si svolge se non quella di aspettare che passi il tempo e che arrivi il giorno seguente.

Camionette, armi e controlli a tappeto

Rientrando a casa, verso Gaziantep i volontari vengono fermati dalle camionette di soldati per verificare i documenti. “Noi non possiamo dire che siamo ONG e che aiutiamo i profughi siriani nascosti in Turchia, diciamo che siamo ospiti. Anche la beneficenza a queste persone non è permessa. C’è un odio molto profondo tra le due popolazioni”, spiega Romina. “Una sera sentii degli spari e pensai: c’è una festa o magari fuochi d’artificio”. Purtroppo non era così e a Kilis, così come a Gaziandep le guerriglie tra bande sono all’ordine del giorno con colpi di mortaio e camionette nere (Isis).

Il rientro in Italia
La missione di Romina termina e lei torna in Italia, festeggia il Natale con i suoi ma a febbraio accende la tv e apprende del devastante terremoto con epicentro Gaziandep, proprio dove era stata lei qualche mese prima. Ad oggi è a quota 50mila il bilancio delle vittime del terremoto che ha colpito il confine turco-siriano mentre si continua a scavare per trovare sopravvissuti tra le macerie. Ancora oggi lo sciame sismico non si arresta: quasi 3.500 le scosse di assestamento, 48 delle quali di magnitudo compresa tra il grado 5 e 6. La terra viene a mancare sotto i piedi e si apre per inghiottire tutto ciò che trova. 
“La mattina del terremoto alcuni volontari hanno rassicurato tutti sul gruppo whatsapp che stavano bene. Delle famiglie che seguiamo, chi vive nelle tende è sopravvissuto, molti sono scappati in tempo ma alcuni palazzi sono a rischio crollo quindi i nascondigli di molte famiglie sono a rischio”. Una situazione drammatica già al limite, peggiorata incredibilmente dopo il sisma. 

Partecipazione è vita: gli aiuti non bastano
“La paura per loro è tanta, stiamo portando aiuti ma serve la partecipazione di molta più gente”, afferma. Romina spiega come oggi sopraggiunge la rabbia in lei quando sente parlare di guerre e di invio di armi: “Questi bambini sono segnati dalle bombe, hanno cicatrici in faccia e sul corpo. Come facciamo noi dai nostri salottini a dire se è giusto o sbagliato fornire armi?”, si domanda Romina che aggiunge: “La guerra è ripugnante e non si tratta di cartine geografiche ma di giocare sulla pelle della persone.

Può succedere anche a noi e al nostro paese di perdere tutto da un giorno all’altro a causa di una guerra. Quando ero in Turchia un ragazzo di vent’anni mi vide scattare foto e postarle su Facebook e mi disse che prima della guerra in Siria anche lui aveva un suo profilo su quel social network. Erano famiglie come le altre, i bimbi andavano a scuola, possedevano case, usavano social ma a causa della guerra ora si ritrovano senza nulla. Nemmeno la propria identità più”.

Time4life: obiettivo portare speranza

Romina invita tutti a dare una mano: “con 30 euro al mese Time4life garantisce la sopravvivenza a questi profughi seguendo oltre 150 famiglie”. Alcuni bambini ora ricevono istruzione ed è solo grazie a associazioni come questa che partono ogni due settimane dall’Italia per raggiungere il confine turco-siriano.  Una volta sul posto si smistano i vestiti arrivati dall’Italia e si acquistano pacchi alimentari con i soldi delle donazioni: olio, zucchero, pasta, latte e tanto altro. Con soli 30 euro si garantiscono 3 pasti, 2 sacchi di carbone da 50kg e medicine, oltre a coperte e vestiti.
https://www.time4life.it/siria/

“Piuttosto che andare in settimana bianca, consiglio vivamente questa esperienza”, conclude Romina. “Portare anche solo un sorriso può dare speranza a chi è rimasto solo, senza niente, colpevole di essere nato nella parte sbagliata del mondo. Se non lo sei, domandati perchè stai ancora lì senza far nulla”.

Il conflitto siriano è iniziato nel marzo 2011 nel contesto della Primavera Araba ed è sfociato in una guerra civile violentissima che vede contrapposte le forze governative di Bashar al-Assad e il fronte di opposizione siriana riunita nella Coalizione nazionale siriana.

Ad oggi è impossibile stabilire il numero delle vittime: la Siria al momento è territorio impenetrabile nonostante i ripetuti interventi diplomatici internazionali.

Time4Life International è oggi impegnata a Kilis, in territorio turco, nelle immediate vicinanze del confine siriano. E’ qui che convergono i profughi in fuga dalla guerra. Kilis ha decuplicato la propria popolazione dall’inizio della guerra, accogliendo profughi in ogni spazio disponibile: garage, cantine, tende, edifici abbandonati. Time4Life International opera qui dall’inizio del conflitto per sostenere i bambini e le famiglie in fuga. Per maggiori info: https://www.time4life.it/

Cristina Autore

Giornalista. Nei miei sogni da bambina, quando giocavo a fare le interviste con il Cantatù. Nella testa e nel cuore, quando a 14 anni denunciavo quello che non andava a scuola sul giornale d’istituto. Sulla carta quando, a 21 anni, ho superato l’esame da Giornalista professionista all’ordine. Oggi, da 30enne, vivo di questo mestiere consumando le suole delle scarpe, l’inchiostro delle penne e facendo domande scomode a chiunque. Napoletana trapiantata a Roma da 10 anni. Ho svolto la mia gavetta in oltre 15 testate giornalistiche come Sky, Mediaset e Retesole e, negli ultimi 6 anni, ho lavorato full time a Montecitorio in qualità di addetta stampa per oltre 200 deputati. La mia passione più grande? Confezionare reportage e inchieste televisive. Sono #Naturalmentedeterminata e stacanovista, non per scelta, ma per istinto di felicità. Ho raggiunto alcuni dei miei obiettivi ma i sogni nel mio cassetto sono tanti e sgomitano tra di loro per uscire allo scoperto. Coltivo le mie amicizie con aperitivi e cenette improvvisate. Mi piace ballare da sola in casa con Alexa al massimo volume e nei corsi di gruppo in palestra. Organizzo tanti viaggi e, quando non posso partire, mi rifugio nei documentari Netflix immaginando di stare dall’altra parte del mondo. Amo la cucina e il cibo. Sono campionessa di comfort food, eternamente a dieta. Mi piace conoscermi e migliorarmi. Mi definisco ottimista, caparbia, buona d’animo e folle quanto basta per non arrendermi mai alle insidie della vita. “Ce la posso fare” è il mio mantra. Se fossi un oggetto sarei un martello pneumatico. Un animale, un picchio battente e tenace che scava a fondo la corteccia finché non scopre cosa c’è sotto.

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