E se tira Sinisa e se tira Sinisa… è gol!
Ha unito. Nel rimpianto, nell’ammirazione, nel dolore e nel rispetto. E ha diviso. Nelle idee, nella durezza e negli stadi. Tutti da giorni parlano di lui. I suoi tifosi, gli avversari e chi il calcio nemmeno lo segue. Cantanti, attori e politici. Ognuno ha un ricordo e in molti hanno lacrime. Per tutti c’è commozione. E’ andato oltre il tempo, oltre le barriere geografiche. Si è imposto con la sua personalità, il suo essere diretto, leale e onesto. Talmente onesto, da non fare segreto della sua fede calcistica pur mentre allenava altre squadre. Talmente rispettoso da essere rispettato. Trasversalmente. Anche nel momento dell’ultimo ciao. Salutato da un coro che non conosce più rivalità. Un canto che riempiva l’Olimpico e che ora risuonerà in Cielo. E se tira Sinisa e se tira Sinisa… è gol!
Siniša Mihajlović è morto il 16 dicembre scorso, all’età di 53 anni, dopo una lunga battaglia con la leucemia.
Nato a Vukovar, allora Jugoslavia, da mamma croata e padre serbo, è stato uno dei calciatori slavi più vincenti di sempre, oltre che tra i più famosi qui in Italia.
Giocatore della Stella Rossa campione d’Europa e del mondo nel 1991. Vujadin Boskov che lo porta in Italia. Prima la Roma, poi la Sampdoria, quindi la Lazio. Campione d’Italia e vincitore di una Coppa delle Coppe con la Lazio tra il 1998 e il 2000. Quattro volte vincitore della Coppa Italia, due con la Lazio e due con l’Inter, squadra con la quale ha chiuso la carriera da calciatore nel 2006.
Dell’Inter fu anche vice allenatore di Roberto Mancini. Poi iniziò ad allenare. A Bologna, Catania e Firenze. Nel 2012 fu allenatore della Nazionale serba e l’anno successivo tornò in Italia, alla Sampdoria e poi al Milan. E ancora Torino e dopo Bologna.
Tre le Nazionali rappresentate. La Jugoslavia, e dal 1994, la Repubblica Federale di Jugoslavia, infine la Rappresentativa di Serbia e Montenegro.
Due i record che ha scritto nel calcio italiano. E’ con Andrea Pirlo il giocatore che dal 1987 ha segnato più goal in Serie A da calcio di punizione, ben 28, nonché, assieme a Beppe Signori, quello col maggior numero di goal realizzati su calcio di punizione in una singola partita di Serie A, ovvero 3.
Del calciatore e dell’allenatore c’è poco da dire. I suoi risultati sportivi sono scritti e indelebili.
Però non è per questo, non solo almeno, che Sinisa ha ricevuto e sta ricevendo così tanto affetto.
Come ha detto il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è il suo grande cuore a farlo sentire così vicino. E’ per la sua forza umana, che l’Italia intera ha tifato per lui. Per quella fragilità, che appartiene a tutti noi.
Ha vinto con spavalderia anche la malattia. Perché lui è andato oltre la morte.
Ha sconfitto gli insulti e le incomprensioni, che si erano formati negli anni. In chi non lo conosceva.
Perché lui non era uomo da rinnegare. Niente e nessuno. Anche se persone e situazioni potevano essere scomode. Questa era la sua statura morale. Quella di un uomo vero, senza maschere.
Poi, parliamoci chiaramente, rinnegare cosa?
Chi lo accusava di qualcosa, aveva vissuto la sua vita? Aveva conosciuto la guerra oppure l’aveva vista solo nei film?
Sinisa la conosceva. Lui purtroppo quell’orrore ce l’aveva negli occhi, nella mente e nel cuore.
Ha vissuto una guerra fratricida. Con la sua città, Vukovar, rasa al suolo.
La sua casa distrutta da un amico d’infanzia. E per fortuna! perché quel gesto salvò la vita ai genitori in quel momento.
Lo zio, fratello di sua madre croata, che minacciava di scannare il padre di Sinisa “come un porco” perché serbo.
Il padre morente, irraggiungibile a causa delle macerie.
Quanti di coloro che lo accusavano hanno vissuto tutto questo?
Sinisa si era forgiato alla scuola della vita. Conosceva il sacrificio. Non aveva dimenticato le sue origini.
Era un papà adorato, un nonno, un marito innamorato.
Un Uomo. Sincero, coraggioso e sensibile.
Per la sua umanità, perché era “uno di famiglia”, domenica ha ricevuto l’abbraccio commosso di migliaia di persone in Campidoglio, dove era stata allestita la camera ardente.
Un abbraccio arrivato da familiari, amici, rappresentanti del mondo sportivo e politico. E da tantissimi tifosi e non.
Migliaia di persone hanno raggiunto il Campidoglio. Con gli occhi lucidi davanti al feretro.
Donne e uomini di ogni generazione, per un dolore che, come lo sport, non ha età.
Una fila silenziosa per salutare un leone, esempio di come si viva con onore. Una processione piena d’affetto.
E chi non è andato alla camera ardente si è riversato lunedì alla Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, a Roma, per il funerale.
Il lungo applauso al termine della funzione, all’interno e all’esterno della Chiesa, dove c’erano oltre duemila persone. Per salutare il guerriero dal cuore grande. Per non lasciare soli Arianna, Viktorija, Virginia, Miroslav , Dušan e Nicholas.
E per intonare ancora una volta quel coro, creato per lui. Un ringraziamento al Cielo per aver donato una splendida persona al calcio, allo sport, all’esistenza di tutti coloro che lo hanno incrociato, pure se solo da lontano.
Hai fatto gol Sinisa. Anche stavolta.
Segui DmU Magazine!
Sulle nostre pagine social Facebook, Instagram e Telegram.
E iscriviti alla nostra newsletter. Ti aspettiamo!