Storie da raccontare/23 – Il pupazzo di neve
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Canzone consigliata: Ivano Fossati – Di tanto amore
Sono un pupazzo di neve. Una dicotomia vivente.
Se gli altri piangono, a me viene da ridere. Se tutti sono euforici, io voglio essere triste. E’ una questione di principio: mi impegno per scoppiare in lacrime.
E sento freddo. Sempre.
Non solo quando la stagione lo richiede, non solo quando la temperatura precipita verticalmente, non solo quando è la natura da intimarlo. Io sento sempre freddo: anche ora, steso su questo letto, nudo, con l’anticiclone alle spalle.
Una brezza troia mi sculetta accanto: cerca perle di sudore da stuzzicare e con le quali accoppiarsi. Non ne troverà. La mia pelle è ricoperta di brina ma non è il caldo, né lo sforzo: sono io.
Niente paura: è solo un po’ di me che se ne va. Finalmente, aggiungerei. E ne sorriderei pure se solo riuscissi a muovere questi bottoni neri che ho al posto della bocca.
Il vento rinuncia. Il caldo no. Anzi. Si diverte a sciogliere i colori di questo affresco. E poi ti rende antiestetica, bollente, appiccicosa. Insopportabile. O sono le tue parole, il tuo racconto, a fare tutto questo?
Io, intanto, continuo a sentire freddo. Come se nelle vene mi scorresse ghiaccio liquido invece che sangue. E se fosse così? In fondo non sono altro che un pupazzo di neve. Riuscite a immaginare il dramma? Non posso abbracciare nessuno: corro il pericolo di congelarlo. Non posso stringere mani: la neve è fresca, rimarrebbe nel palmo del mio dirimpettaio, in compagnia dell’imbarazzo di entrambi.
Posso muovere il mio cilindro magico, però. Pare sia proprio questo strano indumento a darmi la vita. Io lo tolgo e faccio riverenze. Ti saluto. Ma nulla di più. Ho paura anche del mio stesso naso-carota…
E tu, sapendo tutto questo, cosa hai deciso di fare?
In piena estate, mi hai accesso un camino in casa. Peggio: me lo hai acceso dentro.
Ci ha messo niente ad eccitarsi, a scoppiettare felice. Le braci che ho al centro del mio essere non si spengono mai: si auto-alimentano. Delle mie turbe, delle mie fisime, dei cattivi pensieri. Di tutto il veleno di cui sono fatto. Basta un niente a trasformarle in un incendio di proporzioni tragiche.
E quindi io aspetto.
Aspetto di sciogliermi completamente. Di sparire finalmente. E mentre tu, nuda accanto a me, mi dici: è stato solo uno stupido bacio, io continuo ad aspettare. Voglio andarmene nel Sole come un moderno Icaro. Solo meno eroico ed euforico. Non ho nemmeno le ali…
Io continuo ad aspettare. E non provo nulla. Credo sia nel mio destino tornare ad essere una misera pozza d’acqua, alta non più di un centimetro, quando mi sono sempre vantato della mia profondità.
Io aspetto.
Tu parli, chiedi scusa, mi spieghi le ragioni di questo stupido bacio. E pensa: sembra che sia io la causa principale. La mia natura. Il mio essere freddo. Distante.
Come fai a non capire che è una forma di premura nei tuoi confronti? Vuoi morire congelata? Vuoi ustionarti e lasciare la vita tra atroci dolori, circondata solo da brandelli di pelle che si staccano piano e dai bip dei macchinari che ti circondano come vecchi servitori che piangono la tua dipartita?
Parla. Tanto io non ti ascolto. Sono impegnato ad aspettare. E a morire.
Non ho nemmeno paura. Mi lacera solo un interrogativo: bastardo, mi impedisce di abbandonarmi con serenità.
Quando la neve si scioglie, il bianco dove va?
Gabriele Ziantoni #DisperatamenteMalinconico
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