La sindrome di Medea
Medea, figlia di Eeta re della Colchide, la madre infaticida del mito, che dá il nome in psicanalisi al complesso che induce una donna a uccidere i propri figli per odio nei confronti del loro padre. Dotata di poteri magici, la Medea della mitologia aiutò Giasone, giunto in Colchide alla guida degli Argonauti, a conquistare il vello d’oro facendosi promettere in cambio il matrimonio. Compiuta l’impresa, le nozze vennero celebrate sull’isola dei Feaci. Ma l’unione si ruppe quando la coppia si stabilì a Corinto. Creonte bandì Medea per dare in sposa sua figlia Glauce a Giasone. E Medea si vendicò facendo morire nel fuoco Glauce e Creonte e uccidendo i figli che aveva avuto da Giasone.
Non sempre però i figli vengono uccisi per vendicarsi del padre. Nella società in cui viviamo oggi, non c’è solo la rabbia o il risentimento che guidano le mani di madri assassine. C’è anche quella voglia di libertà che un figlio sembra togliere. Ci sono quei “futili motivi” come dice la legge, che non sono poi così futili per la donna che compie l’omicidio. Anzi. Sono “vita”. Assurdo, vero? Perché la propria vita cambia nel momento in cui si ha un figlio ma non tutte le madri vedono l’enorme dono di questo cambiamento e rimpiangono la vita di prima.
In questa estate torrida, anche se siamo in vacanza è difficile stare lontano da ciò che accade nel mondo. Dalla crisi di governo alla guerra in Ucraina a cui sembra abbiamo fatto l’abitudine, ma è la cronaca quella più nera, che ci fa rimanere incollati ad ascoltare notizie che mai avremmo solo immaginato di ascoltare.
Medea è stata la prima
La vicenda della donna che ha lasciato la figlia di un anno e mezzo per sei giorni da sola a Milano in casa mentre lei si trastullava con il compagno a Bergamo, ha lasciato senza parole noi comuni mortali. E non solo chi è genitore ma anche chi i figli non li ha. Non hanno alcun fondamento le motivazioni date dalla donna così come appare assurdo che una persona con queste difficoltà, non abbia mai insospettito nessuno: dai familiari ai vicini di casa.
Lei, questa donna, è esattamente come le madri che uccidono. L’ha abbandonata sapendo che sarebbe potuta morire. È anche lei una Medea. Secondo quanto riportato dall’agenzia ANSA, in vent’anni sono oltre 480 i bimbi morti in Italia per mano dei genitori: sei su dieci sono commessi dalla madre, mentre i figli maschi sono le vittime prevalenti sia delle mamme che dei padri assassini. E il delitto, già insopportabile e apparentemente inspiegabile, diventa ancora più atroce se ad uccidere è la madre che con i figli ha il legame indissolubile per eccellenza, come nella tragedia di Medea.
Anche se non esiste una banca dati sul fenomeno dei figlicidi, nel 2019 l’Eures – società di ricerche economiche e sociali – ha fornito un suo rapporto secondo cui dal 2002 al 2019 erano stati 473 i figlicidi, un dato a cui negli ultimi tre anni si aggiungono almeno un’altra decina di omicidi di questo tipo. Tra le cause ci sono la conflittualità tra genitori, la depressione spesso ben nascosta delle neo madri, fino alla mancata accettazione del ruolo di genitore. Probabilmente ciò che è accaduto a Milano. Non solo. Spesso – secondo una tesi della criminologia sugli infanticidi – chi uccide lo fa perché non riesce a sopportare il bambino che è in se stesso.
Io non so quanto c’è di vero in queste teorie. Non sono psicoterapeuta o criminologa. Ma come ogni persona, non necessariamente donna e mamma, mi sento svuotata, incredula e anche impaurita quando ascolto le dinamiche di questi omicidi.
Come può una madre uccidere il proprio figlio?
Non c’è una sola risposta plausibile a questa domanda. Che continueremo a farci, perché capiterà ancora, con dinamiche diverse, più cruente o uguali. Continueremo a chiedercelo senza mai darci risposta.
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