Figli della guerra. Dalla parte dei bambini
Proiettili, bombe, razzi e distruzione. Uomini, donne e bambini. Morte e sangue. Non è un gioco, non è un derby calcistico in cui doversi necessariamente schierare. E’ la vita che finisce. E la paura che diventa compagna, nelle lunghe notti al buio, dove non risuona nemmeno più la sirena dell’allarme. Fame, freddo, ansia e dolore. Un tragedia, in cui i contorni umani diventano ogni giorno meno visibili. Famiglie che si separano. Fucili che vengono imbracciati. Nonni, padri e madri. E figli, che piangono e che nascono. Vittime e carnefici. Tutti ugualmente figli della guerra.
Le notizie che arrivano dall’Ucraina stanno scatenando un tifo quasi da stadio. Sembra che necessariamente ci si debba schierare da una parte o dall’altra.
Di guerra si parla ovunque. Sui social, al lavoro, nei tg. E’ il fenomeno del momento. Crea ansie e paure, viene ridotta a un videogioco da mostrare sui mezzi d’informazione, a etichetta da appiccicare oppure a mero pretesto di propaganda politica.
In tutto questo parlare e tifare ci si scorda di chi la guerra la sta subendo. Della popolazione che fugge, senza sapere dove andare, abbandonando città, case, cose, animali e persone.
Ecco, per rispetto di ognuno di loro, si dovrebbe quantomeno avere il coraggio di non emettere giudizi augurando, a loro e a noi, solo la buona riuscita dei negoziati.
Per diventare pacifista dicono che sia sufficiente visitare un ospedale da campo, nel bel mezzo di una battaglia. Oppure guardare negli occhi di un soldato, rimasto gravemente ferito. O ancora, un terzo movente, il più straziante e detestabile, pare sia vedere i più piccoli al centro delle ostilità.
Perché qualsiasi conflitto armato è spietato per i bambini.
Le immagini, che li ritraggono circondati da morte e orrore, sono quanto di più mostruoso possa esistere.
I bambini muoiono e vengono mutilati. Per colpa degli adulti.
Per colpa nostra.
A causa di chi provoca il conflitto e di chi lo alimenta. E anche di chi tifa affinché vinca uno o l’altro, invece di pretendere l’unica cosa necessaria. Che smettano di parlare bombe e fucili.
La foto di copertina di questo articolo è una di quelle che fa il giro del mondo. L’impatto che provoca è altissimo. E’ un bambino sopravvissuto alla distruzione del suo asilo. Gli si legge lo smarrimento negli occhi. La voglia di corrergli incontro ed abbracciarlo è alta.
Però non è uno scatto di questi giorni. La Terra è sempre quella ma l’anno è il 2014, nel Donbass bombardato da aerei di Kiev.
Sì, perché la guerra è guerra. E’ brutta, sporca e malvagia. Da qualsiasi parte la si guardi. E le mattanze in quel territorio vanno avanti da quasi un decennio.
Da otto lunghi anni le popolazioni russofane vivono i continui assalti delle truppe dichiaratamente neonaziste ucraine.
Nel 2019 i dati, sottostimati, dell’ONU erano raggelanti.
1.750 milioni i profughi. Anche a rileggere la cifra si fa fatica a visualizzarla.
Oltre 10mila le vittime, 25mila i feriti.
Oltre 4 milioni e mezzo di abitanti colpiti dal conflitto.
25mila abitazioni civili bombardate, distrutte o gravemente danneggiate, oltre 100 le strutture medico-ospedaliere distrutte, 600 scuole, asili, istituti d’istruzione e orfanotrofi non più agibili.
223 bambini uccisi, centinaia i feriti, gli invalidi ed i mutilati.
E 200mila persone presenti nella “zona grigia di contatto”, una delle zone più minate del mondo.
Ebbene, a proposito di quest’ultimo dato, sempre stando alle statistiche delle Nazioni Unite, dal 2014 all’agosto 2019, sono stati almeno 38 i bambini morti a causa di mine e altri oggetti esplosivi nel Donbass.
Il 6 aprile del 2021 nella Repubblica popolare di Luhansk (LPR) nella città di Slavyanoserbsk, due ragazzini sono saltati in aria a causa di un ordigno esplosivo sconosciuto. Uno dei due è morto.
La mortalità infantile della zona era ormai diventata una terribile routine quotidiana.
E purtroppo non è finita.
Magari il mondo fosse dei bambini. Magari appartenesse loro.
E invece di questo nostro mondo i bambini ne sono ostaggio. Intrappolati, troppe volte, in guerre che non sono mai affari loro. Costretti a diventare, di colpo, adulti.
La guerra è violenza, distruzione totale, che c’entrano i bambini con la guerra? Nulla ovviamente.
Ehi, bambino
Armato e disarmato in una foto
Senza felicità
Bambini – Paola Turci
La prossima volta che vi chiederanno di schierarvi e incitare per la vittoria o la sconfitta di uno dei contendenti bellici, rispondete ricordando che mentre si perde tempo in questo inutile gioco, lì la gente continua a morire. E che il prezzo di ogni battaglia viene pagato in vite umane.
E soprattutto sottolineate che sui due fronti di ogni guerra non ci sono soltanto popoli e governi che si odiano a vicenda. Ragioni e torti che si rincorrono, come un cane che si morde la coda.
Ci sono anche, e sempre, gli adulti da una parte e i bambini dall’altra.
E non so voi, ma io sto dalla parte dei bambini.
Per cui, non mi sento in colpa se analizzo le ragioni del conflitto. Non è un modo di tifare a favore di uno e contro l’altro.
Se mi informo, approfondisco e riferisco è perché chiedo solo di comprendere, di non gettare benzina sul fuoco.
In difesa dei diritti umani.
In difesa di quei bambini che resistono e nascono in mezzo alle bombe, come fiori nel fango.
Splendenti e luminosi.
Come lei, che ha emesso il suo primo vagito sotto la metropolitana di Kiev.
Mia o, secondo alcuni media locali, Mir. Che in ucraino vuol dire “pace”.
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