Storie da raccontare/6: Grazie Umberto
Umberto eco
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Canzone consigliata: Luglio e Milano – Daniele De Gregori
Ho 16 anni e sento caldo. E’ l’estate del 1999, il mese di Luglio per essere precisi. In casa si soffoca ma la temperatura non c’entra nulla. Sono le cose che ascolto e che non vorrei ascoltare, i pensieri che faccio e che non vorrei fare, il malessere che provo e che non vorrei provare. La soluzione per respirare mi pare così chiara.
Ancora non lo so, ma sarà una strategia che metterò in atto altre volte nella vita.
La più semplice: scappare.
Lasciando mio fratello, sul divano, a giocare alla Playstation. Vorrei, ma non ce la faccio a sedermi accanto a lui: Winnig Eleven mi risucchia il cervello e mi porta in uno stato in cui pensare pare l’unica cosa sensata da fare. Io, però, non voglio farlo. Soprattutto non voglio essere “qui”. Per cui afferro il libro con la copertina rosa poggiato sulla tavola da stiro aperta in salone e mi precipito in giardino.
Mentre mi avvicino al dondolo sotto gli alberi di cachi sento salire forte un senso di pace. Di liberazione. Lo sprigiona l’odore di vecchio di quelle pagine, misto all’afa estiva che mi comincia a mangiare: sembra aria fresca rispetto a quello che, bloccandomi la faccia con una mascherina, mi fanno respirare tutti i giorni. Scosto la foto del ragazzo in maglia grigia che festeggia sotto la Curva che uso come segnalibro e mi tuffo nelle righe. Come fossero una fonte miracolosa capace di esaudire ogni mia preghiera. Mi basterebbe ne venisse esaudita una sola: sprofondare nel blu della storia che sto leggendo e non riemergere mai più. Chiaramente sarà l’ennesima richiesta non ascoltata.
E chiaramente dalle scale vedo scendere un uomo.
Il cuore si ferma e divento di ghiaccio.
Il caldo sparisce.
L’uomo ha un libro in mano. Anche lui. Ma non se lo para davanti a mo’ di scudo come faccio io. Non è la sua arma per difendersi, è il suo cavallo di Troia: la trappola che usa per entrare nel mio silenzio. Conosco il trucco, ma so che funzionerà anche stavolta. Semplicemente perché non so sbarrargli le porte della mia fortezza. In qualche modo sento che glielo devo.
E allora chiudo gli occhi e sogno di essere Adso, l’allievo di Guglielmo da Baskerville. Mi lascio spaventare da Salvatore che mi grida alle spalle Penitenziagite mentre ammiro le incisioni sulla porta dell’abbazia. Mi sorprendo a scoprire, di notte, la sensazione di avere tra le braccia il corpo nudo di una donna bello e terribile come un esercito schierato in battaglia, una ragazza che non ho mai visto prima e che amerò per sempre pur non conoscendone mai il nome. Poi mi perdo nei corridoi della biblioteca inseguendo Malachia, un libro e tutti i suoi segreti.
Funziona: le parole dell’uomo non fanno male, almeno non subito. Si depositano sul fondo dell’anima come un metallo dotato di un peso specifico maggiore. Le rimescolerò un giorno e forse le berrò fin all’ultima goccia. Per ritrovarmi, capire e perdonare. Ma lo farò tra una quindicina d’anni. Non oggi. Non ora. In questo momento sono impegnato a lasciare la fortezza a cavallo, seguendo le tracce del mio maestro.
Anche per questo, grazie Umberto.
Gabriele Ziantoni #DisperatamenteMalinconico
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