Take Away: il manifesto dell’Antidoping
Debolezza e coraggio. Smarrimento e rinascita. Cadute rovinose e salite faticose. Il buio. E poi la luce in fondo al tunnel. Un tabù svelato. La paura di non farcela. La forza di denunciare. Di dare un nome, una forma a quel fantasma chiamato doping.
Ha debuttato nelle sale cinematografiche lo scorso 20 gennaio Take away, il lungometraggio di Renzo Carbonera che vede protagonisti Libero De Rienzo e Carlotta Antonelli.
Un film vero, senza finzione. Che, in modo reale, fa vedere cos’è e come ti può uccidere, dentro e fuori, il doping.
A descriverlo così è Giuliana Salce. Romana, classe 1955, ha portato l’Italia sul tetto del mondo nell’Atletica Leggera, specialità “marcia”. Medaglia d’Oro ai Campionati del Mondo di Parigi nel 1985. Argento ad Indianapolis e Liévin nel 1987. Detentrice di oltre 12 titoli italiani assoluti.
E’ attraverso i suoi occhi che ho scelto di raccontare una pellicola che, per stessa ammissione dell’ex campionessa, rappresenta in maniera “diretta ma delicata” le sue vicende, personali e sportive.
Anche se non mi sono mai dopata nella mia carriera da marciatrice, mi ci rivedo tanto. Perché l’ho fatto, per 4 mesi, nella mia parentesi da ciclista. Ho rivissuto tante sensazioni, sopite ma mai dimenticate: il sentirsi male dopo aver iniettato le prime dosi, la bramosia nel dover prendere quelle successive, la paura, la dipendenza. Pensare di morire durante una gara. La voglia di liberarsi da un peso enorme. Di denunciare. Di autodenunciarsi.
Perché è cosi che Giuliana ha intravisto la luce in fondo al tunnel. Ha preso il coraggio a due mani e ha trovato la forza di rialzarsi mettendosi a nudo, davanti a un giudice, ma soprattutto davanti a se stessa e a suo figlio. Un raro atto di accettazione dei propri errori.
Protagonista di Take Away, nel ruolo di una marciatrice, Carlotta Antonelli.
Nella straordinaria interpretazione dell’attrice ho rivisto me stessa, la mia storia, la voglia di emergere a tutti i costi, anche con scorciatoie non legali, autodistruttive per la salute ed il fisico di chi le assume. Appena l’ho conosciuta ci siamo abbracciate. Mi ha detto che era felice. Che si sentiva più sicura con la mia presenza lì. Tra noi c’è stato un feeling immediato. Mi sono aperta con lei anche intimamente. Ci siamo incontrate prima che iniziasse a girare il film e le ho suggerito un paio di trucchi. Poi sono stata a Rieti con lei per le riprese in pista e quando ha dovuto mettere in scena il malore. E’ straordinario come sia stata capace di smettere i panni dell’attrice per diventare atleta. Bravissima!
Giuliana è stata coinvolta dal regista e dalla produttrice dell’opera cinematografica. I suoi consigli, la sua visione d’insieme, il suo punto di vista, la sua esperienza personale, sono stati preziosi sul set, e non solo.
Un brivido dall’inizio alla fine, mi spiega l’ex marciatrice. Un film di una realtà pazzesca. Che mi ha fatto emozionare. In tanti momenti. Quando la protagonista sta male dopo la prima dose, quando accusa il malore durante una gara, quando dà fondo a tutta la sua volontà e determinazione in allenamento. Quando accetta di sottostare alla volontà del suo compagno per dimostrare di essere forte. E quando, alla fine, decide di denunciare.
La trama
Il film, ambientato nel 2008, racconta la storia di Maria (Carlotta Antonelli), marciatrice che sogna, come tanti altri atleti, successo e vittorie. Un desiderio condiviso dal padre (Paolo Calabresi) che, a differenza della madre (Anna Ferruzzo) è sicuro che un giorno la figlia coronerà il suo desiderio. Il compagno della giovane, Johnny (Libero De Rienzo) è un uomo adulto, molto più grande di lei, e un tempo era un preparatore atletico. Per questo motivo ha in casa diverse sostanze illegali, che in passato ha somministrato ai giovani atleti come “aiuto”…
Una storia di doping, ma non solo. Take Away mette in scena la crisi, la decadenza. Umana e sportiva. Un vicolo cieco imboccato da cui è difficilissimo uscire. Un racconto ruvido, diretto, di estremo realismo. Il cui messaggio è inequivocabile.
Prima era quasi un tabù. Oggi, mi confida Giuliana Salce, si parla di doping con più leggerezza. Troppa forse. Lo sport è rispetto per noi stessi e per le regole. Ogni scorciatoia deve essere contrastata. Andrebbe spiegato, raccontato ai giovani. Senza giri di parole. Non credo, però, che sarà mai sconfitto.
Giuliana è così. Sincera. Senza filtri. Va dritta al punto. Senza paura di far saltare qualcuno dalla sedia. Non ha avuto paura allora. Non ha paura adesso. Ha vissuto il dolore con intensità, le sue cicatrici con orgoglio. Non si è mai nascosta dietro il ruolo di vittima. Ha messo in piazza i suoi errori, esponendosi alla gogna mediatica. E oggi è una donna, prima ancora che un ex atleta, che merita rispetto.
Il doping è anche una metafora del nostro modo di essere e dell’umanità che fa di tutto per ottenere un risultato senza pensarci su troppo.
Renzo Carbonera
Il doping è simbolo di abbandono. A se stessi. Alla voglia smodata di stare davanti a tutti. Ad ogni costo.
Come dice Giuliana, forse non verrà mai sconfitto. Ma sognare è l’unica sostanza che è lecito assumere.
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