Che stress il Natale!
Non so se è una cosa che capita a tutti, ma l’avvicinarsi del Natale non mi porta solo allegria, bontà d’animo e spensieratezza. Il Natale mi ha sempre portato anche molto stress e confusione in testa.
Appena inizio a vedere le prime lucine sulle vetrine dei negozi mi parte la variante polemica che mi porta a inveire interiormente contro i commercianti che si ostinano ad anticipare quella fase di gioia collettiva (per certi aspetti immotivata) solo per sollevare l’umore ai passanti e sperare che decidano di spendere perché pervasi da un prematuro spirito di Natale. Praticamente i consumatori sono degli psicolabili che non hanno una lira, ma se illumini la porta d’ingresso si comprano pure lo zerbino.
Vedere le cose con questa vena scorbutica, non mi piace, ma è più forte di me. Non vorrei pensare a tutti gli aspetti negativi della festività più famosa al mondo, ma è così. I pensieri da Grinch arrivano da soli e anche se provo a contrastarli quelli si annidano tra gli altri e mi portano a una chiusura quasi totale nei confronti del Natale, almeno nella fase iniziale.
Sintetizzando, accade questo: a fine novembre (ma anche prima) si iniziano a vedere i primi addobbi e io mi inizio a stranire. L’8 dicembre (ma anche prima) tutti fanno l’albero e a me solo l’idea di andare in cantina a prendere quell’ammasso di rami in plastica verde tutto impolverato mi fa orrore. Acquistarne uno vero mi fa sentire un’ignorante borghese senza coscienza ecologica. Sceglierne uno nuovo in plastica sarebbe demodè. Provare ad addobbarlo con pallette, stelline, cervi e slittini per renderlo più carino mi stressa. Crearne uno con la fantasia mi innervosisce perché non ho il tempo manco per elaborare mentalmente la forma. E poi dove prendi il materiale che ti occorre? Il legno, la colla, le corde… No, troppa fatica per un oggetto che devi tenere un mese in casa e poi rimetterlo nel ripostiglio. E poi tanto questi alberi alternativi non vengono mai bene come ti fanno vedere sui tutorial.
Una volta c’ho provato, ma…
A volte ho avuto anch’io degli slanci di partecipazione attiva alla fase pre natalizia, ma per un motivo o per l’altro si sono sempre rivelati poco incisivi nei confronti di quello stress di cui parlavo prima. Voglio dire: nulla è mai riuscito a farmi passare questo fastidioso approccio negativo nei confronti dell’arrivo del Natale. L’anno scorso, ad esempio, pensavo di aver trovato il modo per entrare anch’io nello spirito giusto fin dal principio. Raccolsi un vecchio ramo secco caduto da una vecchia quercia e me lo portai a casa. “Eccolo, questo sarà il mio Albero di Natale” pensai ad alta voce. E così fu. Finalmente avevo trovato il modo di non assecondare abitudini consumistiche che evidentemente mi trovano in disaccordo e di partecipare al contempo al gioco elettrizzante dei preparativi. Il ceppo più grande si biforcava in due e da lì partivano tante altre ramificazioni intorno alle quali feci passare i fili di luci colorate. Alle estremità appesi alcuni simbolici oggetti che rappresentavano il Natale per me: un cuore, una calza della befana, un pupazzo di neve, una pigna.
Come si spense l’euforia, però, iniziai a vedere tutti i difetti di quell’accrocco chiamato Albero di Natale, soprattutto se paragonato a tutti gli altri Alberi che mi capitava di vedere nelle foto degli amici. E quindi niente, neanche l’estro dello scorso anno portò risultati. Senza considerare che alla fine è stato deciso di tenerlo a oltranza pure senza addobbi e ora è qui che mi guarda e mi chiede che ne sarà di lui dopo aver trascorso quattro stagioni in questo angolo. È uno di noi, non c’è dubbio, ma io non lo sopporto più e lo vorrei solo lanciare dal balcone. Devo trovare il modo di dirglielo. Ma poi penso, per metterci chi? E torniamo a bomba.
Capitolo regali
Superato, si fa per dire, lo stress dell’Albero di Natale, inizia quello causato dai regali. Li faccio o non li faccio? Cosa è peggio, farli e non ricevere nulla o non farli e trovarsi a mani vuote nel caso dovessimo riceverne? Questo è il dilemma che mi coglie da metà dicembre in poi, con la conclusione che mi ritrovo sempre il 24 mattina (ma anche pomeriggio) in uno di quei luoghi simbolo del consumismo che tanto odio, ma che ti evitano una figuraccia annunciata alla quale ti ostinavi a non voler porre rimedio: presentarti a mani vuote.
Per non parlare di dove andare, da chi fare la Vigilia, a chi dire di sì, a chi dire di no. Cosa cucinare, come trasportare le pietanze. Insomma, uno stress assurdo per ogni cosa. Questo è il Natale per me durante la fase di attesa.
E poi…
Poi succede una cosa. Sempre. La notte della Vigilia.
Succede che il tempo si ferma, le mie narici respirano il freddo di dicembre, quello buono, quello che ti ricorda che sei stato bambino e hai pensato davvero di vedere Babbo Natale da quel balcone di casa di tua zia.
Succede che ti basta guardare due persone che si abbracciano in strada per commuoverti e intuire tutto il potenziale che si nasconde in questa nostra stramba specie.
Poi succede che si apre la porta della casa in cui trascorrerai le festività, che sia la tua o quella di qualche parente poco importa. Ci si saluta con affetto, ci si contagia di felicità, ci si ubriaca di allegria e bontà e la tua mente si annebbia così tanto da non permetterti neanche di pensare: “Ma perché siamo così felici?”. E forse è un bene.
Succede sempre, ogni anno. Dopo aver polemizzato su tutto ed evitato come la peste i mercatini, arriva Natale e io mi sento felice. Felice e basta.
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