Puttana!
Quando è competitiva, strafottente, cattiva o antipatica. Se accusata di omicidio volontario oppure se indossa una camicetta trasparente. Se appartiene a uno schieramento politico che non piace, oppure ritenuta una bugiarda. Se sorpassa in coda al supermercato o ha una storia con un uomo sposato. Quando è bella e fa carriera, quando non è bella e fa carriera. Se tifa la squadra di calcio opposta o ha tagliato la strada nel traffico. Se ha fatto un sorriso di troppo o non lo ha fatto per nulla. Se è donna! L’insulto universale e trasversale, l’accusa che le verrà rivolta, sarà sempre lo stesso. Puttana!
Sgradevole e perverso. Sessista e offensivo. Un termine che è un modo di denigrare. Un malcostume dialettico, acquisito anche dalle stesse donne. Un insulto, figlio di una cultura che non accenna a crollare. Quasi un vanto per chi lo urla contro la donna di turno, che viene etichettata come “puttana”. O ancora con l’ampio inventario di sinonimi regionali e parolacce in aggiunta. “Figlio di p.”, “p. madre”, “boc….ara”, “tr..ia e via discorrendo.
Se leggerli non è gratificante, figuriamoci riceverli.
Parto da un presupposto.
Scrivo questo articolo perché capita a me, come a tutti credo, di sentirlo ripetere in mille occasioni differenti questo insulto. E poco c’entra che l’oggetto dell’offesa sia disinibita sessualmente o colpevole di qualcosa.
No. Puttana è unicamente un modo di offendere una donna. Da parte di tutti.
E’ uno stereotipo in cui cadono in molti, troppi.
Anche gli stessi che parlano accoratamente di 8 marzo e 25 novembre. Anche quelli che si battono per le desinenze femminili delle parole. E anche le donne stesse, alle quali vorrei consigliare, almeno loro, di essere più creative nel linguaggio!
Siamo nel 2021 alla vigilia di un ennesimo 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999.
Siamo nel 2021 con 103 donne uccise, solo quest’anno in Italia.
Centotre. Non caramelle. Persone, morte, uccise in quanto donne. Il 40% di tutti gli omicidi commessi in Italia. A certificarlo è stato l’ultimo report della Direzione centrale della Polizia criminale, pubblicato in questi giorni sul sito del Viminale. Sessanta le donne uccise dal partner o dall’ex. Ottantasette quelle assassinate in ambito familiare-affettivo.
Non sono numeri. Sono persone.
Siamo nel 2021. E non accennano a frenare stupri, stalking, catcalling, discriminazioni e disparità di genere. La violenza contro le donne corre veloce e crea nuovi modi per esprimersi, o forse siamo noi che diamo nuovi nomi a fenomeni che già esistevano.
Per gli italiani, la violenza di genere, è tra le priorità urgenti dell’agenda politica. Una criticità primaria da risolvere. Sia se si parla di violenza fisica con il 60.8%, sia se si parla di quella psicologica con il 57.8%. Un’urgenza, un’affermazione di principio che poi però si scontra con atteggiamenti di discriminazione, radicati nella società.
Una questione culturale, di cui è figlio anche quel “puttana!”, usato per sfregiare l’anima della donna.
Puttana!
Sembra un semplice modo di dire. Un intercalare comune. Eppure quanto male fa. Danneggia la crescita di una civiltà.
Ogni volta che quel termine viene usato con leggerezza, un pezzetto di quel processo culturale evolutivo, che dura da decenni, si blocca.
E qui mi rivolgo soprattutto alle donne.
Smettiamo di spostare l’attenzione verso il genere maschile e femminile dei vocaboli della lingua italiana. Per capirci, discutere ad esempio se il ruolo del “Direttore d’Orchestra” debba o meno declinarsi al femminile fa sorridere e piangere allo stesso tempo. La vera battaglia non può essere questa. Il campo di combattimento è ancora e sempre il cambio di cultura. Un processo che viene boicottato, non ricevendo gli input giusti.
E tiriamo fuori la voce invece, quando sentiamo dare della puttana a destra e a manca. Perché la trasformazione e la metamorfosi passano proprio da qui. Quando non ci sarà più questa violenza verbale, allora davvero avremo messo un altro mattoncino nella costruzione di quei rapporti sani, improntati all’equità sociale.
In quel viaggio verso la meta che si chiama rispetto. Alla scoperta del senso di tutte le lotte affrontate dal genere femminile da Eva ad oggi.
Voglio trovare un senso a tante cose
Anche se tante cose un senso non ce l’ha.
Vasco Rossi – L’altra metà del cielo, Un senso
E per concludere chiarisco.
Non è che non si possa discutere, pure pesantemente, con una donna. Anzi.
Rivendico solo correttezza. Per cui se qualcuna si comporta male la parola più corretta da usare sarà “stronza”.
E non puttana.
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