Noi e quella linea tratteggiata da Strappare lungo i bordi
Strappare lungo i bordi è una delle serie d’animazione più belle degli ultimi anni, oltre che un’altra grande poesia di Zerocalcare, dopo Dimentica il mio nome, La profezia dell’Armadillo e Kobane Calling. Noi millennial di vecchia data, ma non solo, l’abbiamo visto più o meno tutti e ognuno ha detto la sua, come si fa con i grandi avvenimenti contemporanei tipo le morti dei personaggi illustri o il Nobel a Bob Dylan.
Gli effetti di Strappare lungo i bordi sulla gente e su di me…
Ai più appassionati tornano in mente durante il giorno le perle di comicità e profondità che anche stavolta il fumettista di Rebibbia ci ha saputo regalare. Le frasi di Calcare diventano vignette che spopolano sulle bacheche social, e tutti siamo già in attesa della seconda stagione.
Io però questa volta mi sono incastrata su un punto è non vado avanti. Sono giorni che penso a cosa volesse intendere esattamente Calcare con la metafora della linea tratteggiata. Ora, non avendo ancora del tutto terminato il passaggio dall’essere una persona mediamente intelligente ad una analfabeta funzionale, deve esserci un’altra spiegazione al fatto che io non abbia colto limpidamente il concetto chiave di tutta la serie.
Provo a buttare giù delle ipotesi:
- La linea tratteggiata può essere il percorso da seguire per diventare quello che si vuole diventare. In questo caso, quando si devia dal percorso è perchè si fanno scelte sbagliate o si viene ostacolati o semplicemente succede che qualcosa va storto.
- Oppure quel tratteggio indica la sagoma di quello che crediamo di dover diventare ma che in realtà non corrisponde a quello che realmente sogniamo e quindi deviamo dalla linea perchè non era per noi quello che stavamo facendo.
- Infine, potrebbe essere che non sogniamo neanche più così tanto e ci rassegniamo a seguire senza convinzione strade già tracciate, lasciandoci trasportare dalla corrente senza un progetto ben definito, rischiando di naufragare per ritrovarci poi senza più punti di riferimento per tornare a riva.
Ecco, il significato ‘ntrinseco dell’atto di strappare lungo i bordi potrebbe essere uno di questi tre, ma anche tutti e tre allo stesso tempo. E forse è proprio questo che rende grandioso il lavoro di Zerocalcare: qualsiasi sia il motivo per cui si arriva a sentirsi privi di una forma definita e senza più una strada da seguire, si viene pervasi dalla stessa identica sensazione di sconforto.
Ma da dove viene questo senso di smarrimento?
Si tratta di uno sconforto generalizzato e generazionale che dipende principalmente da una cosa: ci avevano fatto credere che potevamo diventare qualunque cosa volevamo. Ma non era vero.
Noi millennials non siamo più sfortunati delle altre generazioni di giovani, siamo solo stati illusi più di loro, lodati e coccolati finché si è potuto, poi Sbam! la realtà in faccia tutta insieme. Perché intanto erano cambiate le cose, il boom degli anni ’80 era finito da un pezzo, insieme ai soldi e allo spessore culturale che proprio in quegli anni era stato corroso. Tutto a un tratto sognare era diventato ridicolo, infantile. Meglio un impiego sicuro che coltivare una passione.
Siamo cresciuti immaginando il nostro futuro quasi senza limiti, ma poi siamo dovuti diventare grandi accettando gli stage non retribuiti, i call center, i compromessi. Perché di meglio non c’era niente. Non ce n’era più. Puf, volatilizzati tutti i posti di lavoro che al liceo ti immaginavi avresti trovato una volta finita l’università. Ma più andavi avanti e più ti facevano capire che non bastava la laurea, serviva anche il master.
Poi però, ancora con la corona d’alloro in testa, ti rendevi conto che per occupare quei posti, che pian piano diminuivano, serviva un’esperienza di almeno tre anni e così via, fino a che non ci si è resi conto che il tempo è passato e che l’unica cosa che servirebbe ora è qualche anno in meno d’età. In sintesi c’hanno fregato, lo sappiamo.
Però anche questa fregatura, vista con la chiave poetica di Zerocalcare appare più dolce, ci restituisce quantomeno un’identità: quella dei fregati dal sistema, sì, ma almeno è una forma, una base collettiva da cui ripartire.
Il momento dello strappo
Quando la linea devia dalla striscia tratteggiata e si allontana da quello che pensavi, speravi o che ti avevano inculcato di dover essere, ti ritrovi nel caos.
Non sei già più la persona di prima, ma non sei ancora arrivato ad avere una forma definita. Sei qualcosa di nuovo, diverso, a volte terrificante e spesso confusionario. Decisamente transitorio. Ed è nel transitorio che nascono le nostre paure. Lì non c’è più nessuno che ci obbliga, ma neanche qualcuno che ci prenda per mano.
Siamo in preda alla confusione perchè non sappiamo se sia stato meglio o peggio allontanarsi dal tracciato: da un lato ci sentiamo liberati da una costrizione, ma dall’altra temiamo di aver perso la strada. Il punto è che forse è sbagliato anche solo pensare di seguire un disegno prestabilito su cui costruire la propria vita. Almeno in questo mondo.
Voglio dire: se il mondo fosse un posto in cui ti basta scegliere la tua strada e seguirla, allora sarebbe un piano perfetto. Ma visto che non è così, che tra te e il tuo obiettivo si frappongono variabili che dipendono da un sacco di cose, allora tanto vale non avere contorni troppo definiti per potersi salvare.
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