Le leggende della scherma
Una pedana. Un affondo, una stoccata.
Il fascino di uno sport ricco di eleganza e tradizione. Agilità, velocità, riflessi pronti.
La scherma è una delle discipline sportive più antiche. Un secolo e più di orgoglio nazionale. Tra record assoluti, medaglie, imprese individuali e collettive.
A mettere nero su bianco questi oltre cento anni di storia ci ha pensato il giornalista del Corriere dello Sport Fabio Massimo Splendore, autore del libro Le leggende della scherma, edito da Diarkos.
Questa avventura è figlia di due spinte emotive: evasione e passione. Evasione non per fuggire, ma come moto di curiosità verso qualcosa di diverso dal calcio, che frequento da trent’anni. E passione. Ereditata dai miei figli, Davide e Maya, schermidori, meglio, sciabolatori quindicenni nel Gruppo Sportivo delle Fiamme Oro. In qualche modo ho voluto svelare anche a loro, oltre che a me stesso, quanti trionfi contenesse il loro sport.
La parte più affascinante del lavoro è stata quella di ricerca sui campioni e le campionesse della prima metà del Novecento. Ho parlato di tutto questo con Diarkos, la casa editrice, mi sono fatto un po’ “spingere” da colleghi e colleghe dai quali ho preso il coraggio nel mettermi a scrivere un libro, qualcosa che mi aveva stuzzicato ma mai tanto dal cominciare davvero.
Sai quando ti dicono “ma dai, ma perché no? ma invece è perfetto per te, su che ce la fai”… Bene, ce l’ho fatta.
E allora eccolo Fabio intraprendere un viaggio approfondito e articolato attraverso le glorie della scherma, armato della sua penna, anzi del suo computer. A caccia di aneddoti, curiosità, ma soprattutto emozioni.
Mi hanno colpito le storie e mi hanno colpito i personaggi, non solo i campioni e le campionesse, ma anche alcuni familiari delle stelle della prima metà del Novecento.
Da Stefano Gaudini, il terzo figlio di Giulio, campione olimpico romano, incontrato nella sua macchina a Monterosi, un paesino vicino Roma, e i suoi ricordi da figlio che il papà lo aveva “conosciuto” dopo, attraverso foto e ricordi (Giulio morì poco dopo la sua nascita).
Carola Mangiarotti, anche lei schermitrice, ma in questo caso intervistata da figlia di Edoardo, il campione olimpico più medagliato di sempre. Con la sua disponibilità e l’affetto con cui mi ha ringraziato quando ha letto il ritratto del papà.
E poi le “Leggende”: Irene Camber, per esempio. Un’emozione straordinaria parlarle via skype. Lei novantacinquenne, ma con due occhi vispi capaci di comunicare tanto.
Mi è piaciuto raccontare anche Valentina Vezzali, soprattutto attraverso le vittorie arrivate dopo momenti dolorosi, perché sono quelle che valgono di più.
Scelgo però una storia su tutte da segnalarvi: quella di Andrea Pellegrini, star paralimpica. Lui che a 19 anni perde una gamba scivolando da un treno. E che da quel dramma, dopo il buio, trova la luce attraverso la scherma in carrozzina. E dà il suo messaggio di speranza con una potenza straordinaria.
In questa foto in alto ci sono anche io. In mezzo a due campioni. E, al di là dell’apparenza, non pratico scherma. Ma sono una grande appassionata e tifosa. Subisco il fascino di questa disciplina antica eppure dallo charme sempre attuale.
Ho avuto la fortuna di conoscere da vicino alcuni degli atleti più forti delle attuali nazionali azzurre. Ho avuto il privilegio di salire in pedana con loro per scoprire tecniche e segreti delle loro arme.
Sciabola, fioretto, spada. Movimenti, sguardi, posizioni. Fatica e sudore. Preparazione fisica e mentale. Concentrazione e determinazione.
Lo scherma è uno sport che si alimenta e si coltiva in palestre che trasudano passione ed entusiasmo. Ogni giorno dell’anno. Questo è un libro che appartiene a loro così come a tutti coloro, appassionati della prima o dell’ultima ora, che hanno voglia di saperne di più su quello che è considerato, numeri alla mano, lo sport olimpico italiano per eccellenza.
Il libro vuole essere uno spazio aperto in cui ci si può inoltrare per conoscere la storia di questo sport. Ma con tutte quelle medaglie che contiene può ardire anche ad essere uno spot per la scherma, che è il primo sport olimpico con le sue 130 medaglie.
Per spiegare bene a chi è rivolto il libro racconto questo aneddoto: mi scrive un tecnico e mi dice che “la copertina non è ineccepibile, non è scolastica”. Se andiamo a vedere nel dettaglio è davvero così, ma è in quelle imperfezioni che io ci ho letto proprio il senso che volevo avesse il libro: una scherma per tutti, dove magari non hai addosso l’elettrico, non c’è una pedana.
Per una regola di Diarkos, la copertina la sceglie l’editore e non vi nascondo che sentirsi così in sintonia sul messaggio da dare, anche a distanza, mi ha dato una carica ulteriore. Il messaggio è: “fate scherma come capita, iniziate anche in strada”. É un po’ un sogno, lo so. Ma questo sport insegna a scegliere, a non sottrarsi. “La pedana è la vita” non è una frase fatta. Dentro questo messaggio c’è il perché ho chiesto a Irene Vecchi di scrivere la prefazione. Perché è un esempio di ragazza, atleta olimpica, che avvicina la gente alla scherma con la sua semplicità e i suoi successi. Sono stato felicissimo di avere Irene con me in questa avventura e la disponibilità, in fase preolimpica, non la dimenticherò mai.
Gli aneddoti nel libro si rincorrono. Personaggi, storie, che si intrecciano per ricamare un tessuto narrativo affascinante, che travalica i risultati per concentrarsi sugli aspetti emotivi ed umani. E su quei piccoli grandi episodi che nella vita possono fare la differenza, indicare strade, tratteggiare destini che non ti aspetti.
Da Mauro Numa, che i genitori mandano a fare scherma su consiglio dei vicini, per evitare che continui a spaccare le finestre di casa con i sassi. Alla mamma di Irene Camber che scopre la scherma infilando la porta “sbagliata” della palestra. Passando per il tendine di Diana Bianchedi che salta ad Atlanta e lei che guarda i medici attoniti e dice “Fasciatemelo, continuo a tirare”, per finire quell’assalto da 7-7 a 15-10 contro la stordita Wang. E leggetevi che personaggio era il romano Giulio Gaudini: colorito nelle espressioni, guascone nei modi e fortissimo, un Totti della scherma dei primi Novecento.
La lettura di questo libro: “Le leggende della scherma” è il modo migliore per dimenticare le delusioni (parziali) e le polemiche seguite alle ultime Olimpiadi.
Di fondo c’è una grande verità: quando vinci sempre, quando sei abituato a stare in vetta, sul gradino più alto del podio, il mondo ti guarda carico di aspettative. Così è capitato al movimento della scherma italiana, reduce da un’edizione dei giochi, quella di Tokyo, il cui bottino non è stato ricco come al solito.
Cinque medaglie, nessun oro. Non accadeva da oltre 40 anni.
E via con le critiche, i dubbi, le rivoluzioni…
Quando vinci sempre sei condannato a vincere. La scherma non mancava l’oro dal 1980, ha dominato con il Dream Team femminile per più di 20 anni. Io credo un po’ al calo fisiologico, ma la ristrutturazione che è in atto in questi mesi ci dice che qualcosa è giusto cambiare. E ribadisco che le 5 medaglie restano, seppure questa sia stata una edizione ricca di chance, perché ha visto per esempio arrivare alle fasi finali tutte le gare a squadre. Bisogna ripartire da lì e le critiche le farei all’interno, non tirandosi gli stracci.
Ripartire. Una parola che conosce bene una delle protagoniste assolute della scherma paralimpica: Bebe Vio. Ad inizio aprile, a pochi mesi dai Giochi Olimpici, un’infezione da stafilococco ed una prognosi che lascia senza fiato: amputazione dell’arto sinistro e morte. Ma Beatrice ribalta il suo destino ancora una volta. Si rimette in carreggiata, sbanca nella prova individuale di fioretto e trascina le sue compagne nel torneo a squadre, fino alla conquista dell’argento.
Io credo che la forza di Bebe sia essere come la vedi. Sa essere in un modo solo: spontanea, coinvolgente, i suoi occhi dicono tutto. Pensa al suo libro. “Se sembra impossibile allora si può fare”. In un titolo ci sono la sua vita, la sua malattia, le sue battaglie, le sue vittorie, le sue ambizioni. E’ una ragazza che non si ferma all’obiettivo prefissato, ma lo raggiunge e punta quello dopo. Quante volte ci lamentiamo? Ecco, guardiamo Bebe e smettiamola.
Se mai ce ne fosse bisogno, in Giappone le Paralimpiadi si sono confermate e dimostrate un evento sportivo di eccellenza. Basti pensare alla spedizione azzurra che si è distinta con un bottino di 14 ori, 29 argenti, 26 bronzi. Simbolo di un movimento che vuole essere guardato per quello che è: sport, allo stato puro.
Rimanendo nell’ambito della scherma, una delle grandi lezioni, scontate ma mai troppo, me l’ha data Marco Ciari, ct della sciabola paralimpica e maestro dei miei figli alla Palestra Santoro sulla via Tiburtina: quello che azzera le distanze è la parola atleti, che non concede spazio a distinzioni.
L’esperienza che fanno i miei figli, allenandosi con gli atleti in carrozzina nel centro della Polizia di Stato a Tor di Quinto, credo sia una esperienza di vita magnifica, istruttiva. Non la dimenticheranno mai.
Nonostante i riflettori delle Olimpiadi si siano ormai spenti, sfogliare le pagine del libro di Fabio Massimo Splendore ci aiuterà a scoprire la storia di una disciplina storica e di successo, consapevoli che il meglio deve sempre ancora venire. Lo sanno bene gli atleti le cui luci rimangono sempre accese. Intenti come sono ad allenarsi in vista delle prossime competizioni, che siano nazionali, europee o mondiali. Nelle grandi palestre delle città così come in quelle di provincia.
Lì dove si coltivano sogni e ambizioni. Dove si costruisce il successo, stoccata dopo stoccata.
Lì dove nascono le leggende.
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