Gli Hikikomori: al confine della solitudine
“Hikikomori” è un termine giapponese che letteralmente significa “stare in disparte”. Si utilizza per descrivere quelle persone che decidono di ritirarsi dalla vita sociale per un lungo periodo. Gli Hikikomori sono soggetti che si chiudono letteralmente nella loro abitazione. Evitando così il contatto con il mondo esterno. E’ un fenomeno che colpisce principalmente la fascia d’età tra i 14 e i 30 anni.
Nel sito internet “Hikikomori Italia” troviamo dei dati riguardanti la popolazione hikikomori in Giappone. Ebbene il governo giapponese ha stimato oltre 1 milione di casi, specialmente nella fascia d’età over 40. La condizione hikikomori insorge principalmente durante l’adolescenza. Spesso cronicizza nell’età adulta e può durare tutta la vita.
L’Hikikomori è un disagio adattivo sociale proprio di tutti i paesi economicamente sviluppati.
Si parla di almeno 100 mila casi stimati in Italia.
Le cause possono essere molteplici. Caratteriali, familiari, scolastiche, sociali.
Gli Hikikomori sono ragazzi sensibili.
Giovani che non sempre riescono a creare una rete sociale soddisfacente. Spesso rifiutano l’aiuto da parte dei genitori. Si sentono forti, sicuri di non avere alcun tipo di problema. Solitamente sono stati vittime di bullismo nell’ambito scolastico. E cercano in tutti i modi di sfuggire alle pressioni di realizzazione sociale.
Tutto questo li porterà verso un vero e proprio rifiuto della vita comunitaria stessa.
La pandemia globale da Covid-19 ha avuto un grande impatto su questo fenomeno. Però l’isolamento forzato che ci è stato imposto non rende l’idea della situazione che vivono queste persone.
Infatti c’è differenza tra un isolamento forzato e un isolamento volontario.
Gli Hikikomori scelgono di chiudersi in casa. Ed evitare ogni contatto sociale.
Si tratta di solitudine psicologica.
Non si sentono riconosciuti, benvoluti e accettati dagli altri.
Al contrario si sentono soli anche se circondati da persone.
Si può aiutare un Hikikomori? La risposta è complessa.
Perché un aspetto fondamentale è la volontarietà dell’atto. L’hikikomori deve scegliere di farsi aiutare. In particolare è la scelta consapevole e volontaria a rendere il cambiamento duraturo nel tempo.
Vien da sé che costringere un ragazzo Hikikomori ad uscire dalla sua zona di comfort non porterà alcun beneficio.
Se costringere non è una soluzione, cosa si può fare?
In Giappone ci sono le cosiddette “rental sister”, letteralmente “sorelle in prestito”.
Le sister sono volontarie che si offrono di ricoprire il ruolo di “facilitatori”. Vanno a casa degli Hikikomori e cercano di creare una relazione con loro.
Cominciano parlando da dietro la porta. Provano a convincerli a trasferirsi in una comunità per un breve periodo.
In altre parole è necessario non far sentire giudicati i ragazzi. Invece bisogna costruire con loro un legame basato sull’empatia.
La comunità è fondamentale. Qui saranno seguiti da un team specializzato di psicologi, psichiatri, educatori. Inoltre le numerose attività, messe a disposizione, li aiuteranno nel reinserimento sociale.
Reinserimento che passa anche attraverso anche le sedute di discussione di gruppo, le gite fuori porta e i laboratori creativi.
Il fenomeno dell’hikikomori è una vera e propria condizione psicologica di solitudine dunque. Da non sottovalutare.
È possibile uscirne grazie all’aiuto e all’appoggio della giusta rete di supporto.
Sara Di Siena
#IrrefrenabilmenteAriete
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