Lune che brillano sui tetti
Kabul è in mano ai talebani. Settimane di violenza. Spari per le strade. Mesi di scontri sanguinosi. Un Paese devastato dalla guerra. Eserciti che si ritirano. L’Afghanistan. Un emirato islamico. Chiuse le ambasciate, evacuati i diplomatici. La paura, la frenesia e l’esigenza della fuga. Una folla impressionante di persone sulle piste dell’aeroporto, che tentano di imbarcarsi sui voli internazionali. Donne che rivolgono appelli. Lacrime che rigano il volto. Mille splendidi soli e innumerevoli lune che brillano sui tetti non bastano. Si è riavvolto il nastro, il tempo si è ripiegato su se stesso.
Quasi senza opposizione i talebani si sono fatti strada nella nazione, fino ad arrivare nella capitale.
Da quel momento il panico. Da quell’istante il mondo si è svegliato e ricordato di loro.
Gli Afgani intanto restano incatenati alle loro preoccupazioni. Terrorizzati tanto da non opporsi.
Kabul è in mano ai talebani.
E mentre il pensiero corre veloce alla situazione femminile, Suhail Shaheen, uno dei portavoce dei talebani, ha dichiarato che le donne afghane dovranno indossare l’hijab ma non saranno obbligate a portare il burqa. Ha aggiunto che potranno anche accedere all’istruzione, compresa l’Università.
Grandi concessioni, eh?!
Inutile sottolineare che sarebbe però quantomeno confortante una situazione di questo tipo.
Eppure è un dubbio potente che quelle di Shaheen siano solo parole. Che sia solo propaganda politica. Un mera illusione. Soprattutto se, con uno sforzo di memoria, si ricorda di come gli ‘studenti islamici’ abbiano inflitto alle donne lapidazioni, mutilazioni e esecuzioni in piazza.
Dichiarare “l’Emirato Islamico non vuole che le donne siano vittime. Dovrebbero far parte del governo, secondo i dettami della Sharia”, è una frase che non dice nulla.
E sono affermazioni queste che vengono accolte a dir poco con scetticismo.
Nutrono enormi sospetti le stesse donne afgane.
Un livello di disperazione espresso perfettamente dal video diffuso, e diventato virale, dalla giornalista e blogger iraniana Masih Alinejad, in cui appare una ragazza in lacrime. Nemmeno un minuto in cui viene denunciato lo sgomento di queste ore.
“Noi non contiamo perché siamo nati in Afghanistan, moriremo lentamente nella storia. Non è divertente?”.
Quarantacinque secondi, per esprimere al mondo le proprie paure nei confronti di un futuro che si sta sgretolando sempre più velocemente.
Uno sguardo triste e turbato, che riuscirebbe a parlare anche senza pronunciare una sillaba.
Occhi che commuovono. Che ricordano altri occhi, per la stessa capacità di esprimere e gridare le emozioni.
E’ il 1984 e ha dodici anni. Porta il velo e un mantello color ruggine. Orfana, ospite di uno dei campi di profughi sulla frontiera afgano-pakistana. Sharbat Gula, questo il suo nome, ha un’espressione intensa. I suoi occhi verde ghiaccio sono spalancati, capaci di piantarsi nel cuore di chi guarda.
La celebre “ragazza afgana” immortalata dall’obiettivo del fotografo Steve McCurry è stata pubblicata sul numero di giugno 1985 del National Geographic.
Un’immagine che perfora la mente. Da un lato si avverte la rabbia di un popolo dilaniato dalla guerra, dall’altra traspare forza, coraggio e voglia di riscatto.
Forse le stesse sensazioni che staranno provando in questi giorni in Afghanistan.
Il medesimo coraggio delle donne, destinato a doversi perpetuare in quelle terre. Ancora. E ancora.
Donne con occhi profondi, nostalgici e che raccontano una verità che fa male.
Gli occhi malinconici non mentono mai
Gli occhi malinconici non mentono ma
Sad Eyes – Bruce Springsteen
Si può parlare di eroismo quando hai sopportato dolore dopo dolore, oltre la soglia del sopportabile. Quando i soprusi e le restrizioni sono già stati inammissibili. Quando non sai che tipo di futuro ti aspetta. E se esisterai per il mondo esterno. Se potrai studiare, sentire il sole sul viso e mostrare il tuo sorriso a tutti.
Storie di un universo femminile raccapricciante.
Chi ha letto il meraviglioso e drammatico Mille Splendidi Soli, di Khaled Hosseini, si è già immerso in quella cultura. Ha attraversato insieme alle due protagoniste cinquanta anni di regimi che si sono succeduti a Kabul. Ha scoperto le tante etnie e le numerose lingue che compongono l’Afghanistan. Ha visto come in un film i conflitti infiniti tra i gruppi etnici, le devastazioni, la povertà, le violenze. E attraverso le storie di Mariam e Laila, ha sentito Hosseini raccontare il destino particolarmente duro delle donne afghane e il loro faticoso percorso di emancipazione.
Una emancipazione sempre in bilico.
Come oggi.
Saib-e-Tabrizi, poeta persiano del ’600, descriveva con versi incantevoli la città di Kabul.
Chissà come la descriverebbe oggi.
Kabul è in mano ai talebani.
Il tempo si è ripiegato su se stesso.