Mai una gioia è il nuovo “languishing”

Mai una gioia è il nuovo “languishing”

Avete presente la frase “Mai una gioia”? Ecco, a me capita di dirla spesso. Un po’ per scaramanzia, un po’ perché a Roma è forse più popolare di altri modi di dire. Insomma, riassume molto bene l’idea di come passiamo un determinato momento, fase della vita.

Nell’ultimo anno e mezzo il “mai una gioia” per me è diventato un must. Inutile negarlo: la pandemia ci ha cambiato. Un qualcosa di totalmente inaspettato ha rivoluzionato le nostre vite e per quanto ci sforziamo di tornare alla normalità, nel mio piccolo penso che quella normalità non tornerà più. Sia chiaro, ce ne sarà una diversa ma comunque differente da quella di prima. Si perché, il Covid non ha portato solo “la malattia” ma anche delle conseguenze che non tutti siamo in grado di riconoscere.

Non è burnout, non è depressione, non è una mancanza di speranza. Semplicemente è l’assenza di gioia e di uno scopo. Ne parla Adam Grant giornalista del New York Times in un suo recente articolo. L’emozione post pandemia che ci accompagnerà per molto tempo si chiama “languishing”, che tradotto in italiano è tipo languire.

“È un senso di stagnazione e di vuoto. Ti senti come se ti stessi confondendo tra i giorni, come se guardassi la tua vita da un finestrino appannato”, scrive l’autore,  psicologo alla University of Pennsylvania e autore del libro “Think Again: The Power of Knowing What You Don’t Know”. ”È l’assenza di benessere. Non hai sintomi di disagi psichici, ma non neanche sei il ritratto della salute mentale. Non funzioni al massimo delle tue capacità. Il ‘languishing’ spegne la tua motivazione e distrugge la tua capacità di concentrarti”.

Tra solitudine e depressione

Secondo lo psicologo, la sensazione principale è “ non riuscire a percepire se stessi, e scivolare lentamente nella solitudine. Sei indifferente alla tua indifferenza” che è un po’ quando no si vuole ammettere di avere un problema. Ma questa volta è più difficile da diagnosticare.

Molto stanno facendo scienziati e medici per curare i sintomi fisici del post pandemia da Covid. Nel frattempo però, molte persone si trovano a fare i conti con le ripercussioni psicologiche. “All’inizio non ho riconosciuto tutti i sintomi che avevamo in comune – scrive l’autore -. Amici che mi dicevano di avere problemi a concentrarsi. Colleghi che, anche col vaccino all’orizzonte, non erano affatto eccitati per l’arrivo del 2021. E io che invece di balzare giù dal letto ogni mattina mi metto a giocare un’ora a Words with Friends”.

Un antidoto al “languishing” però c’è. Per prima cosa bisogna riconoscerlo. Fare un’onesta analisi di noi stessi e anche se la vita sta riprendendo più o meno in maniera “normale”, la verità è che la paura del contagio, la paura di tornare “chiusi”, le restrizioni, i divieti e anche solo la mascherina, ci ricordano che la fine di tutto, ma proprio tutto, non è poi così vicina.

Mai una gioia, non solo un modo di dire

Arrivati a questo punto l’unica domanda da porsi è: come si combatte questo languore? Di certo non mangiando! Ma con qualcosa che ci fa bene. …che, detto tra noi, anche sgarrare male non fa! Una volta riconosciuto il problema, dobbiamo concentrarci su qualcosa che ci fa stare bene: può essere lo shopping (per le donne è terapeutico, almeno per me), o trovare il tempo per fare quell’esperienza, quella cosa lì che abbiamo sempre voluto fare. Riprendere in mano quel progetto lasciato nel cassetto. Qualcosa che riesce a trasportarci al di fuori della nostra realtà e farci allontanare i pensieri negativi.

Adam Grant nel suo articolo ci ricorda che il tempo dedicato a noi stessi non deve essere frammentato ma continuo. La pandemia ci ha costretti a cambiare mansione ogni dieci minuti, diventando multitasking ma non tutti hanno la propensione a diventarlo. Ed è importante ricordarsi che non esistono solo le malattie fisiche ma anche quelle mentali, che ognuno di noi può essere colpito. Soprattutto dopo un a pandemia.

Grant ricorda che: “Se non hai la depressione, non vuol dire che tu non stia soffrendo. Se non hai il burn out non vuol dire che tu non sia esaurito – conclude Grant -. Sapendo che molti di noi stanno ‘languendo’, possiamo finalmente iniziare a dare una voce a questa sommessa disperazione”.

#ostinatamenteEclettica

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Paola Proietti

Classe '77, giornalista professionista dal 2008. Ho lavorato in radio, televisione e, vista l'età, anche per la vecchia carta stampata. Orgogliosamente romana, nel 2015 mi trasferisco, per amore, in Svizzera, a Ginevra, dove rivoluziono la mia vita e il mio lavoro. Mamma di due bambine, lotto costantemente con l'accento francese e scopro ogni giorno un pezzo di me, da vera multitasking expat.

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