Sentimenti Covid free
Il Covid ha messo a dura prova la nostra salute, i nostri nervi, persino anche i nostri sentimenti.
Mano sul cuore, cenno della testa, tocco dei gomiti? No, grazie. A noi mancano le strette di mano, i baci sulle guance, gli abbracci. Il calore umano. Fisico.
Eppure è grazie a quella realtà “virtuale” di cui ci siamo cibati in questi mesi che siamo rimasti “in contatto”, che abbiamo continuato a dare un volto alle voci dei nostri familiari e dei nostri amici. Abituandoci a mise imperfette, tute d’ordinanza, improbabili code a mascherare messe in piega inesistenti, e occhiaie mal celate dal trucco casalingo.
In quel “peggio di noi”, che abbiamo reso pubblico, quando fino ad allora lo tenevamo gelosamente privato, ci siamo incredibilmente trovati a sentirci a nostro agio. Ci siamo abituati a quelle immagini sgranate riflesse nei nostri smartphone. Senza maschere, sì. Ma con qualche filtro, giusto per darci un tono.
La batteria del telefono perennemente scarica, il computer attaccato h24 alla presa elettrica. Lo schermo come vetrina sul mondo.
E poi i sorrisi nascosti dietro la mascherina, il respiro a mezzo servizio, l’ossessione del disinfettante per le mani, la fobia delle folle. Quelle in cui amavamo perderci durante passeggiate nel centro città, concerti, manifestazioni, eventi di piazza.
Per chi, come me, ha vissuto questi mesi lontano centinaia di chilometri dal proprio tradizionale posto di lavoro o dalla residenza abituale di amici e familiari, le distanze sono apparse come una barriera innalzata tra noi e loro. Un muro di limitazioni e disposizioni governative in perenne evoluzione.
Spesso ho pensato e rivissuto nella mia mente l’ultimo appuntamento sociale in una condizione di semi normalità. Risaliva al 24 settembre del 2020. Giorno del mio compleanno e, per un caso fortunato e fortuito, anche della presentazione del mio libro Vite da Campioni nel Salone d’Onore del Coni. Una full immersion di emozioni, una ricarica di energia. La sensazione di toccare quasi con mano quella libertà di cui eravamo stati privati durante il primo lockdown. Un fuoco di paglia, in realtà. Perché, dopo quel giorno, lentamente ma inesorabilmente la pressione di chiusure, divieti, distanziamento, privazioni è aumentata invece che diminuita. E allora ecco uno strano Natale lontano dall’Italia, e poi ancora un’altra Pasqua.
Lo sguardo sempre più distratto ai colori delle regioni, alle regole per gli spostamenti, all’altalena dei giorni di quarantena. Quella voglia di sapere, ma non sapere troppo. Di sperare, ma con la paura dell’ennesima delusione dietro l’angolo.
Prenotazioni aeree annullate. Modifiche di orari. Mail di cancellazioni. Anticipi, rimborsi, esibizione di documenti, tamponi. E poi finalmente l’adrenalina.
Percorrere i corridoi dell’aeroporto, salire le scalette dell’aereo, sistemare il bagaglio in cabina, allacciare le cinture. Gesti prima automatici. Ora consapevoli.
E vabbè che per arrivare in Calabria ho dovuto fare scalo persino a Catania (volo diretto annullato all’ultimo momento) e che mi sono presentata ai miei non con la cioccolata svizzera ma con un vassoio di cannoli siciliani. Dettagli. Il resto è un’emozione che non si può spiegare. Come premere di nuovo play dopo che il tasto “pause” si era incastrato per un tempo indefinito. L’esplosione dell’audio e dei pixels che ricominciano a scorrere ti inebria e ti stordisce allo stesso tempo.
Ricongiungimenti
Mi sono immaginata il “ricongiungimento” con la mia famiglia di origine più e più volte. Soprattutto, mi chiedevo quale sarebbe stata la reazione di mia figlia, (3 anni e 4 mesi appena compiuti), nel rivedere i suoi nonni e suo zio dopo il periodo prolungato di mediazione virtuale. Lei che si era stancamente abituata alle videochiamate, accettandole per lo più con ritrosia e fastidio. Eppure, grazie a quel tipo di comunicazione, ha continuato ad assorbire per tutto questo tempo i profili dei volti e il suono delle voci, tanto da riconoscerli come se li avesse sempre vissuti da vicino.
Com’è andata? Come nelle migliori sceneggiature dei film romantici. Lei che gli corre incontro, che urla i loro nomi e si stringe nel loro abbraccio esibendo il suo miglior sorriso. Senza esitazione o dubbio alcuno.
Perché i sentimenti, quelli sì, sono rimasti Covid free.
Il resto è un patrimonio di ricordi personali. Di colori, odori, profumi ritrovati. Una voglia sfrenata di socialità, di contatto fisico, di sorrisi senza “mask”. Una settimana intensa di emozioni forti, anche destabilizzanti se vogliamo. Rispetto a quella routine familiare che si era creata inevitabilmente negli ultimi mesi. Mi sono sentita a volte sopraffatta. Confusa.
In questa che abbiamo ribattezzato insieme a mia figlia una “grande avventura”, abbiamo preso anche un treno. Ho visto il mare dietro a un finestrino. E mi è sembrato bellissimo.
Sono ritornata a Roma. Otto mesi dopo l’ultima volta. In quella città in cui ho vissuto la metà della mia vita. In cui ho amato perdermi e ritrovarmi. In mezzo ad una folla che mi rassicurava e che oggi, invece, mi è parsa quasi soffocante. Quelle lunghe passeggiate tra i vicoli della città eterna, che prima erano leggere e confortevoli, mi sono sembrate a tratti impegnative e sfiancanti (complice il passeggino! Provateci e poi ne riparliamo). E non perché non le abbia apprezzate. Ma perché davvero non ci ero più abituata.
C’è un prima, e c’è un dopo.
Il Covid ci ha cambiati. Ci ha reso più consapevoli del valore di ciò che avevamo. Forse a volte più fragili e insicuri. Orfani di quell’intermediario virtuale, che sia telefono o computer, ci ritroviamo ora più vulnerabili ed esposti.
Al periodo che, forse, ci stiamo lasciando alle spalle, va l’indiscusso merito di aver avuto la funzione di “filtro”. Una selezione naturale di ciò che è davvero importante. Una cosiddetta lista di priorità aggiornata e rivisitata in cui i sentimenti sono balzati al primo posto. I rapporti umani, quelli veri, puri, genuini, sono sopravvissuti e anzi si sono rafforzati, prendendo linfa vitale proprio da quella privazione imposta dalla lontananza. Quelli di circostanza, finti, o di facciata, sono invece crollati. Altri ancora, di cui pensavamo di poter fare a meno, sono addirittura rinati. Riscoperti per caso scorrendo magari il nome sul telefono oppure capitando sul profilo social. Relazioni riallacciate che sembravano perdute e che invece si sono dimostrate più vive che mai.
A ben pensare questo è il regalo più grande ricevuto, nostro malgrado, dalla pandemia. Ne avremmo fatto volentieri a meno. Ma finalmente abbiamo iniziato ad apprezzare ciò che prima davamo per scontato. Abbiamo capito che è meglio la qualità che la quantità. In termini di tempo e persone.
E così quell’aperitivo al bar, consumato in fretta in attesa dell’appuntamento successivo, è divenuto un momento conviviale “speciale” da gustare a piccoli sorsi. Respirando a pieni polmoni un’aria di ritrovata libertà. Fotografando con gli occhi ogni sorriso (anche quello nascosto dietro la mascherina mentre ti ritrovi a fare inutilmente “cheese”). Per ricordare la gioia di quel momento. Serbarlo nel cuore. Farne tesoro.
In attesa che tutto intorno a noi, oltre ai sentimenti, diventi Covid free.
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