Rula Jebreal: limiti e baluardi della battaglia contro il sessismo
Il gesto di Rula Jebreal di declinare l’invito della trasmissione Propaganda Live di venerdì scorso ha aperto un caso che sta facendo vacillare anche l’integrità di un programma cardine della lotta alle disuguaglianze come quello di Diego Bianchi, in arte Zoro.
Cosa è successo?
Per chi non avesse seguito la vicenda, la questione si può riassumere così: Jebreal, giornalista impegnata da sempre nella lotta contro il sessismo, sta portando avanti in prima persona una battaglia per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della scarsa rappresentanza femminile nella politica e nei programmi televisivi in qualità di “esperti”. Lo strumento che la giornalista palestinese ha scelto per perorare la causa è non presenziare ad eventi e talk show in cui non sia garantita la parità numerica tra uomini e donne. Per questo motivo, quando Jebreal ha visto che nella trasmissione di La7 a cui era stata invitata ci sarebbero stati altri sette ospiti uomini ha dovuto, per coerenza, declinare l’invito. (Ad onor del vero, c’è da dire che probabilmente ad aprile 2020 Rula Jebreal non aveva ancora intrapreso questa battaglia vista la sua presenza al programma Piazza Pulita come unica donna)
La reazione di Diego Bianchi e il tweet di Jebreal
Chiaramente Zoro non l’ha presa bene. Effettivamente se ci avessero detto una settimana fa che Diego Bianchi e Propaganda Live sarebbero stati in qualche modo, seppur lato, accusati di sessismo, non ci avremmo creduto.
E invece, non solo è successo, ma si stanno sollevando molte voci in favore della scelta di Rula e contro il programma di La7, che additano gli autori e lo stesso conduttore come una sorta di inconsapevoli sessisti di sinistra.
Per contro, c’è da dire che in molti si stanno schierando dalla parte di Propaganda sostenendo la battaglia di Rula Jebreal esagerata e fuori contesto.
Nel controbattere le motivazioni del rifiuto di Jebreal, Diego Bianchi, durante la trasmissione di venerdì scorso, ha sottolineato che il programma di La7 è uno dei pochi ad essersi sempre schierato contro ogni tipo di disuguaglianza ed ha precisato che per questo motivo ha anche vinto il premio “Diversity awards”. Infine, Zoro ha aggiunto che gli ospiti del programma non vengono scelti per genere ma per merito.
Proprio su quest’ultimo punto si è concentrata la risposta della giornalista che ha ribattuto su twitter: “Un programma che dichiara di invitare solo i migliori, (quality not quantity) e i migliori ieri erano casualmente quasi tutti uomini. Questo è esattamente il motivo per cui ho deciso di non partecipare”.
Come ne escono le due parti
Le conseguenze della questione sono molteplici, ma qui riportiamo le due più significative:
– Iniziano a venire dubbi per la prima volta sulla credibilità di Diego Bianchi che si considera e viene considerato sostenitore della parità di genere ma, in effetti, è circondato da autori maschi, compresi regista e ideatore. La presenza fissa di Francesca Schianchi e Constanze Reuscher come opinioniste nel programma alleggerisce il sospetto, ma il dubbio resta. (C’avete tolto pure Zoro, ndr)
– Iniziano a venire i dubbi sull’efficacia delle battaglie drastiche come quella di Rula Jebreal visto che l’effetto che si ottiene è quasi sempre quello di venir considerate inutilmente puntigliose (per usare un eufemismo) pure da chi, in teoria, starebbe dalla tua parte.
Insomma, l’unica cosa certa tra tutti i dubbi sollevati dalla questione è che il fatto non è passato inosservato. E forse tanto basta. Chissà, magari era proprio questo l’intento di Jebreal. E magari, facendosi prendere la mano dal vento complottista che soffia in questo periodo, si potrebbe anche ipotizzare che le due parti avversarie abbiano ordito un piano congiuntamente per portare l’attenzione sul tema. Ma anche no.
Chi ha ragione?
La sensazione è che la verità sia un concetto sempre più inconsistente. Che il giusto non stia mai solo da una parte. Il problema è che neanche lo puoi dire perchè rischi di essere additato come un “colpocerchista” (Da “un colpo al cerchio e uno alla botte”. Parola letta oggi per la prima volta tra i commenti a un post di Mentana su Istraele).
Ecco, a proposito, Rula Jebreal era stata chiamata in quanto giornalista israelo-palestinese per discutere del conflitto che affligge la sua stessa terra d’origine. Sotto quest’ottica, non andare a Propaganda è stata un’occasione persa senza dubbio. Un grosso limite. Io l’avrei ascoltata con attenzione, l’avrei apprezzata sicuramente e quasi certamente non avrei badato al sesso di chi l’aveva preceduta o di chi sarebbe intervenuto dopo di lei.
Ora, invece, se da un lato non ho potuto avere una versione sicuramente illuminante su quello che sta accadendo a Gerusalemme in queste ore drammatiche, dall’altro ho avuto un nuovo spunto di riflessione su quanto in effetti il sessismo sia di fatto radicato nella colonna vertebrale della nostra società.
Limiti e baluardi della battaglia contro il sessismo
Perchè è vero che conta il merito e non il genere. Ma è altrettanto vero che per raggiungere il traguardo del merito in maniera meritocratica, appunto, si deve partire dalla stessa linea di start, si devono superare lo stesso numero di ostacoli. E ad oggi la “gara” è ancora impari. Forse di poco, ma lo è. Ancora.
Quindi è giusto combattere, fosse anche sulle declinazioni di genere o attraverso rigide prese di posizione, ma affinchè siano valide queste battaglie è bene che siano condivise dagli alleati.
Bisogna combattere insieme. Bisogna strizzarsi l’occhio a vicenda e dirsi da un lato: “Lo so che non è fondamentale come mi chiami o in quante ne siamo, ma finchè non la penseranno tutti come te continuerò a tenere il punto”.
E dall’altro: “Hai ragione, forse sembra una battaglia inutile, ma ho capito perchè la stai facendo e sono dalla tua parte”.
Perchè se poi ci si perde tra il principio e le polemiche, pur stando dalla stessa parte, si disperdono energie e si spiana la strada al “nemico”. E non ci si evolve mai davvero.
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