Mamma coraggio, prerogativa femminile
La prima volta che ho sentito la parola “mamma coraggio” era negli anni ’80. Cesare Casella era un ragazzo di 17 anni, rapito dall’anonima sequestri e liberato dopo due anni di prigionia. La madre, Angela Casella, fece l’impossibile in quei 730 giorni. S’incatenò nelle piazze, davanti al palazzo di Giustizia, dormì nelle tende, chiese la solidarietà delle mamme calabresi. E quando non aveva più la voce per gridare, lanciava il suo messaggio esponendo cartelli. La compostezza di questa donna andava a braccetto con il suo grido di giustizia e dolore. E’ passata alla storia. Angela Casella ha ispirato il termine “mamma coraggio”. E’ stato coniato per lei.
Mi è tornato in mente questa settimana il termine “mamma coraggio”, ascoltando la voce di Marina Conte fuori dal palazzo della Cassazione di Roma. Marina Conte è la mamma di Marco Vannini. Per il suo omicidio, ancora con tante ombre, è stata condannata un’intera famiglia, i Ciontoli: padre, madre, figlia (la fidanzata di Marco) e figlio. Tutti e quattro in galera. Marina, con le lacrime agli occhi, ha dichiarato che finalmente ora potrà portare un mazzo di fiori sulla tomba del figlio. Finora, in sei anni, non l’ha mai fatto perché non riusciva a farlo riposare in pace.
Come se fosse compito suo e non della giustizia, condannare i colpevoli. Ma sentiva suo il compito di assicurarsi che avrebbero pagato anche se nessuna pena è giusta per quanto successo. Si è arrabbiata Marina, quando dopo la sentenza di primo grado erano solo 5 gli anni di prigione dati. Ha urlato con tutte le sue forze e anche di più, perché no, non era giusto. Solo 5 anni. Ed ha combattuto, insistito, smosso mari e monti, e alla fine ha pianto e con lei hanno pianto le mamme d’Italia.
Perché le mamme hanno questa presa sulle altre mamme.
Come la mamma di Marco Vannini anche Clementina Ianniello porta avanti la sua battaglia da 13 anni. Ma qui la giustizia ha già fatto il suo corso. Ma lei continua a non trovare pace. Sua figlia Valentina è stata uccisa dal fidanzato. Lei, come tante altre mamme, non si rassegna a una cultura che non accetta l’autonomia di una donna, alla violenza degli uomini che uccidono le donne che avevano promesso di amare. Va nelle scuole a raccontare ed è un modo per indicare ai giovani la via del rispetto ma anche per mettere un po’ di balsamo ad una ferita che mai si rimarginerà.
Lo stesso balsamo che Graziella Viviano ha trovato in una bomboletta spray. Con quella ha segnalato le buche sull’asfalto della via Del Mare che da Roma porta sul litorale. Perché è per colpa di una buca che sua figlia Elena è morta. La sua vita è finita in pochi istanti e lei, mamma Graziella non vuole più che vi siano vite perse in quel modo assurdo.
Le “mamme coraggio” sono anche donne contro corrente. Per forza. Donne che vanno contro le proprie famiglie, come Piera Aiello, a 18 anni costretta a sposare un boss della mafia. Lui sarà ucciso pochi anni dopo, lei diventerà la prima donna pentita di mafia in Italia perché “non volevo che i miei figli crescessero mafiosi“. Oggi, deputata in Parlamento, Piera è stata indicata dalla Bbc tra le 100 donne più influenti nel mondo e ha dimostrato di non aver perso il suo coraggio e la sua determinazione, mostrando di nuovo il suo volte dopo anni passati in regime di protezione insieme ai figli.
Le mamme sono uniche. Le mamme trovano forze che neanche loro credevano di avere e amano in modo incondizionato. E non è da tutti, non è scontato. In realtà sono tutte coraggiose, ma ce ne sono alcune, come quelle che ho citato che dimostrano l’eccezionalità di essere mamme. Mamme coraggio, appunto. Le mamme, nel girono della loro festa, dovrebbero loro stesse a salire sul podio e festeggiarsi. Perché sono donne e già sono eccezionali per questo. Perché essere mamma è una prerogativa femminile. Le mamme coraggio aiutano tutte le mamme a ricordarlo. Ogni santo giorno.