Il dono di Bambinella
Empatia e Fede. Ironia e filosofia. Napoletano, romanesco, pugliese, toscano e siciliano. Poliedrico e ricco di talento. Emozione e Poesia. Clown, trampoliere, sputafuoco, equilibrista su sfera e giocoliere. L’arte e la vita. Troisi, Eduardo, De Crescenzo, Totò e Charlie Chaplin. Saggezza e presa in giro. Baritono-tenore, chitarra, pianoforte e armonica. Lino Guanciale e Antonio Milo. Cinema, teatro e televisione. Il Liceo artistisco e l’Accademia d’arte drammatica, del Teatro Bellini di Napoli. Immedesimazione e mimica facciale. Maliconico, tenero, gioioso, simpatico, comico e triste. Maurizio De Giovanni e Alessandro D’Alatri. Pura gioia e profondità. Bambinella, Ricciardi, William Shakespeare e il Premio Charlot. Personaggio e figura mistica… Quando essere artista è Il dono che alberga nell’animo umano e che, con gioia, si offre agli altri.
Innumerevoli aggettivi e sostantivi per dipingere una sola persona. Un uomo altruista e un attore delicato. Adriano Falivene.
Adriano è il magnifico interprete di Bambinella. Il personaggio buono e sensibile, femminello e informatore del brigadiere Raffaele Maione, Antonio Milo. Nella serie televisiva, andata in onda su Rai1, Il Commissario Ricciardi, diretta da Alessandro D’Alatri, ambientata nella Napoli degli anni ’30. E basata sui romanzi di Maurizio De Giovanni, che hanno per protagonista il commissario di polizia Luigi Alfredo Ricciardi, reso sullo schermo da Lino Guanciale.
Non è stato semplice calarsi nei panni di Bambinella ma la scrittura di Maurizio (De Giovanni n.d.r.) è eccezionale e mi ha permesso di avere già nella lettura la suggestione di determinati momenti. Come di quando sta arrivando il brigadiere e si avverte già l’aleggiare di un qualcosa di straordinario e ultraterreno che sta per accadere. Bambinella è un personaggio mistico e la difficoltà è stata riportare nella carne e nelle ossa tutto quel sentimento prodigioso e sensibile di cui è sostanza.
Adriano Falivene nelle vesti di Bambinella si trasfigura. L’artista diventa un oracolo. Tra buffe espressioni facciali e battibecchi col brigadiere Maione,
Con Antonio Milo ci siamo conosciuti direttamente da personaggi. Però è stato un immediato riconoscersi, quasi come se attraverso gli occhi dell’altro potevamo avere la conferma che quel fantasma stava esistendo veramente in quel momento. E’ un tipo di rapporto, questo guardarsi negli occhi e comprendersi, che ci siamo portati anche fuori dal set. Perché ci sentiamo spesso e c’è uno spirito di protezione da parte di Antonio, che io apprezzo moltissimo. Mi lascio guidare dalla sua esperienza.
“Pure io ve voglio bene brigadie’…”
Bambinella commuove attraverso il sorriso. E’ un clown alla Chaplin. Un’analogia particolare per chi, come Adriano, i panni del clown li veste da molti anni sulla scena. Vincendo anche nel 2009 il Premio Charlot.
Eravamo un trio di clown che giocavano sull’incomunicabilità. E essere stato lì, davanti a 5000 persone adesso mi sembra surreale, per il periodo che stiamo attraversando. E poi ricevere un premio dedicato a chi per me è fonte inesauribile d’ispirazione e di valori, è stato indescrivibile.
Chaplin si è dimostrato un grande maestro. Come Eduardo e Massimo Troisi, che rappresentano due amori grandissimi. Quel tipo di maestro che Troisi definiva “quelli che li guardi e impari”. Loro sono la poesia capace contemporaneamente di far sorridere e commuovere. Qualità tipica dei grandi. E in questo momento mancano terribilmente.
Già leggendo i raconti di De Giovanni risulta naturale affezionarsi a quel qualcosa di molto irrazionale che c’è in Bambinella.
Con D’Alatri e Adriano Falivene quella figura esce fuori dalla carta. E le parole prendono forma e suono. Diventa tridimensionale e sorprendente. Un personaggio adorabile e umano, teso alla ricerca di verità e giustizia. Il che, insieme al paranormale, lo accumuna proprio a Ricciardi.
Un cast speciale per raccontare una storia eccezionale. Attori e artisti di estrazione ed età diverse. Tutti però con una coscienza declinata al recitare per dare.
E’ un merito di D’Alatri aver creato una squadra particolare. Scelta con un obbiettivo che andasse verso un bene comune. Un punto che ci ha accomunato tutti. Io molti degli attori non li ho visti sul set, anche perché Bambinella ha la caratteristica di restare praticamente quasi sempre chiusa in casa con il Brigadiere. Molti colleghi li ho incontrati al trucco oppure alla prova costume. E, tra una chiacchiera e un sorriso, mi sono reso conto di quanto dietro alla scelta di Alessandro D’Alatri ci sia stata la stessa tiologia di persone. Generosissime e di grande cultura. Senza il peso e la saccenza di doverla ostentare. A partire da Lino Guanciale stesso, ma nche Massimo De Matteo, alias Giulio Colombo (padre di Enrica n.d.r.), oppure Mario Pirrello, ossia il Questore capo Garzo.
I racconti di Adriano, su Bambinella e il set, proseguono tra sorrisi e aneddoti. Come quando a colazione fece scappare i passanti.
Una mattina ero andato a fare colazione. incappucciato e senza sopracciglia, rasato. Sembravo Silas dell’Opus Dei, de Il codice Da Vinci. Le persone che mi vedevano si spaventavano e cambiavano marciapiede.
Adriano Falivene, classe 1988, è nato a Napoli. E nel capoluogo partenopeo vive e lavora.
Caratterialmente di Napoli ho quello spirito di adattamento che in questo periodo ci serve tanto per sopravvivere. E’ una città ribelle, che agisce per moti inconsci. E’ dicotomica. C’è tanta gente che sta a casa come me, agli arresti domiciliari quasi, e poi ti affacci e dalla finestra vedi che il mondo sta andando avanti. In modo ancora più surreale. Perché se prima era assurdo vedere tre persone sul motorino senza casco, figuriamoci adesso. Quella di Napoli è una ribellione, un’anarchia peculiare. Da una parte la tolleranza, dall’altra una rigidità dogmatica. C’è la luce e l’ombra. Rigore assurdo verso le regole e libertà sfrenata.
Molti lasciano, abbandonano, Napoli. Lo stesso Eduardo andò via. Io invece covo ancora l’utopia di salvaguardare le persone che, come me, resistono e cercano di cambiare le cose. Ho lo spirito di proteggere e aiutare, come recita Totò nella Preghiera del Clown.
Adriano parla, racconta, ti spiazza per simpatia e conoscenza. Non ostenta ma menziona filosi e Maestri. Dalla religione alla storia. Dal teatro alla poesia. Una mente vulcanica e sfaccettata.
Adoro Napoli con la sua cultura che resiste malgrado tutto. Cambiano epoche e politica, ogni cosa si trasforma. Ciò che resta è dentro le persone. Un inconscio buono o cattivo che qualcosa o qualcuno di Superiore sceglie di instillare dentro. E noi possiamo solo cercare di non tradire cosa c’è stato dato e che è dentro di noi. Però, c’è il però. Perché esiste il libero arbitrio. E in tutto questo marasma, da marzo 2020, c’è una percezione costante di libero arbitrio e scelta a Napoli.
Questa è la città del dubbio, che non è una cosa negativa. Perché i dubbi e le domande creano storia e vita. Come diceva Cartesio “Dubito di tutto, meno che dell’esistere: cogito, ergo sum”. Oppure per dirla alla De Crescenzo “il Punto interrogativo è il simbolo del bene, così come quello esclamativo è il simbolo del male”. Dobbiamo metterci paura dei punti esclamativi.
Tra passato, presente e futuro, Adriano elabora concetti e richiama alla mente situazioni e momenti. E aspetta. Di poter tornare presto a recitare in teatro e di trovarsi nuovamente sul set, per la seconda stagione del Commissario Ricciardi perché manca anche a me Bambinella.
Così mi racconta del ruolo della scuola e degli insegnanti. Passando dalla delusione all’ammirazione. Dal liceo artistico all’Accademia d’arte drammatica.
Il problema non è la scuola ma i maestri e la loro mancanza di passione nell’insegnamento. Se non viene trasmesso l’entusiasmo, se non c’è il desiderio di voler restare dentro gli altri, allora è tutto inutile. Io personalmente al liceo non ho trovato quella voglia di regalare qualcosa di se stessi a qualcuno, mentre fortunamente l’ho incontrata in Accademia.
E quel che dai di te mai niente te lo porterà più via.
Grand’Uomo – C. Baglioni
L’animus di Adriano è di quelli che non si fermano a contemplare il proprio orticello. E’ una grande persona e mentre ascolto il trasporto con cui mi parla, ne percepisco la portata. Così tra una citazione di Claudio Baglioni e una di Samuel Beckett, il discorso cade sulla religione e la Fede, su San Francesco e la Chiesa Stato.
Cresciamo in modo bipolare. Al Liceo mi dicevano di non suggerire e non aiutare e lo sentivo un dettame in netta contraddizione con “aiuta il tuo prossimo”. Siamo portati sin da piccoli a dare tolleranza a più etiche.
E forse sono Credente e non cattolico. Perché non posso non vedere le incoerenze con la vita di San Francesco e la Chiesa come Stato. Non ho fede nell’uomo, ho fede in Chi è sopra di noi, in quel Dubbio, in quell’Essere soprannaturale. D’altronde anche Chaplin, nel Grande Dittatore, richiama il Vangelo di Luca per dire che “il regno di Dio è nell’uomo: non in un uomo o in un gruppo di uomini ma in tutti gli uomini!“. Ecco per me Dio è quella coscienza che ci anima e che è in ognuno di noi.
Discorsi importanti, che accennano anche ai progetti rimasti bloccati dal Covid e ai desideri da realizzare.
Mi piacerebbe un giorno poter realizzare un film, raccontare una storia. Non so se dietro o davanti la macchina da presa. Mi piacerebbe che qualcuno mi aiutasse a scrivere e recitare per coprire così i vari ruoli di sceneggiatore, regista e attore.
Stavo costruendo uno spettacolo su San Francesco. La sua storia è oltraggiata. Lui che scendeva in strada, povero a curare i lebbrosi e noi che oggi invece laciamo soli i vecchietti, a morire. A teatro andrebbe raccontata la sua figura. Come andrebbe rappresentato tutto quello che abbiamo passato con quest’emergenza sanitaria. Però si potrà fare in un certo modo oppure ci saranno impedimenti?
Mi sento in scacco matto. Chissà cosa si potrà raccontare tra dieci anni di questa situazione del covid.
Per chi, come me, ha divorato i libri di De Giovanni vedere il modo in cui D’Alatri ha reso il Comissario Ricciardi è stato emozionante. Io che apettavo in ogni racconto il momento in cui Maione, affannato per la salita, andava a trovare Bambinella, osservare Adriano Falivene in quelle vesti è stato commovente. Lui è riuscito a rappresentare la saggezza e la scaltrezza di quella figura sospesa in uno spazio tutto suo. Fatto di sedie, scopa, calza sulla testa, di una simpatica intelligenza e tanta tenerezza. Adorabile nella vena malinconica, generosa e sagace.
Una grande interpretazione, che non è passata inosservata.
Tanto che quel personaggio, così intriso di napoletaneità, è finito nel Presepe. Il geniale artigiano Emilio De Cicco, dopo aver omaggiato grandi personaggi italiani, ha realizzato anche la statuina di Bambinella.
Il dono che custodisce nel suo animo Adriano è di quelli che emanano luce. Talmente chiara e limpida che non si può non riconoscere. E’ il dono che trasmette e regala a tutti gli spettatori. E che noi accettiamo con gratitudine.
SEGUI DISTANTI MA UNITE! Sulle nostre pagine social: Facebook, Twitter, Instagram e Telegram. Ti aspettiamo con un ricco calendario.
Le Foto di scena del Commisario Ricciardi sono di Anna Camerlingo