Chi dice donna dice danno e altre idiozie così…
Non ho mai sentito di essere inferiore a un uomo. E nessun uomo mi ci ha mai fatto sentire di proposito.
Sono sempre stata un maschiaccio. Da piccola ho sempre giocato a pallone con i miei compagni di classe. Certo, loro non me la passavano mai e un po’ li capisco, non è che fossi Maradona… Infatti stavo spesso in porta. Quando segnavano esultavano e a me piaceva tanto quell’esplosione di gioia condivisa. Una volta feci una parata con la punta del piede che rimase nella storia di Cinecittà Est. Mi corserso tutti incontro ed io pensai che mi avrebbero riempita di complimenti, invece raccolsero il pallone e continuarono l’azione. Freddi e insensibili. Solo uno di loro mi disse correndo: “bella parata eh!”. Non a caso era quello che poi divenne il mio migliore amico storico.
Quando poi sono diventata adulta, qualche datore di lavoro sì, mi ha fatto sentire meno importante dei colleghi maschi pagandomi meno di loro. Una volta mi è anche stato chiesto se avessi intenzione di sposarmi e avere dei figli. Avevo vent’anni e non ci pensavo proprio, quindi risposi di no senza problemi. Solo dopo mi resi conto che la stessa domanda non era stata fatta ai miei colleghi maschi.
Chi dice donna dice danno e altre idiozie così…
Tra colleghi, in realtà, devo dire che c’è sempre stato rispetto, magari qualche battuta scema, quella sì. Quella è più forte di loro. Se si presenta l’occasione di dire cose tipo “donna al volante, pericolo costante…” o “chi dice donna, dice danno…”, per quanto evoluti e a favore della parità di genere, difficilmente se la lasciano scappare. Così, tanto per farsi due risate sceme, appunto. Per un paio d’anni mi hanno anche fatto partecipare al fantacalcio. Praticamente ero una di loro. Anche se, per quanto mi impegnassi, io e la mia formazione, più che timore, incutevamo tenerezza.
Ecco, nessun uomo mi ha mai fatto sentire inferiore di proposito. E’ stato il mondo a farlo. E’ stato il fatto di rendermi conto, crescendo, che questo posto è più casa loro che casa nostra. Che noi siamo ospiti. Che le regole le hanno fatte loro. E che, proprio per questo, esiste un loro e un noi.
Credo di aver passato mezza vita cercando di essere una di loro solo per dimostrare che la parità di genere si può raggiungere.
Poi un giorno ho smesso e ho iniziato semplicemente a riscrivere le regole nel mio mondo, dedicandomi ad essere quella che sono: una donna libera di provare a fare quello che vuole nella vita. Libera di non smettere di sognare e anche di cucinare la pasta al forno ogni domenica. Di parlare di calcio, di maneggiare una steadycam, di esprimere la propria opinione, di pianificare e gestire il proprio lavoro, di trattare, di prendersi i propri spazi, di insegnare ai più giovani, di scrivere, di confrontarsi alla pari con chiunque.
Ecco, non sta andando affatto male, ma il fatto che io abbia trovato la parità nel “mio mondo”, non significa che le disparità e le discriminazioni siano svanite. Se penso all’epoca dei miei nonni, ovviamente, vedo i giganti passi avanti fatti, ma ancora non ci siamo. Le regole sono ancora quelle fatte da loro.
Per questo ammiro molto le donne che si battono ancora oggi per la parità. Sì, anche quelle che puntualizzano sulle declinazioni al femminile dei mestieri e dei ruoli istituzionali (purchè non si arrivi a pretendere di declinare davvero pure l’Amen con Awoman…).
Perchè se io sono libera di fare tutto quello che ho elencato sopra è grazie alle lotte che sono state fatte in passato. E se le donne di domani avranno la parità salariale, non saranno più derise neanche per gioco e non dovranno scegliere tra carriera e figli, sarà grazie alle lotte che si stanno facendo ora.
Le conquiste sono tali solo se sono di tutte e per tutte.
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