Ipocondria, questa sconosciuta
“Non hai niente, domani ti passa”. Questa frase ricorre nella mia vita da quando sono bambina. Rincuorante? Sì. Svalutante? Pure. Perché il mio mal di gomito o la mia unghia incarnita talvolta potevano meritare un po’ più di attenzione. E il lavoro del mio sistema nervoso centrale avrebbe potuto essere riconosciuto. Invece niente, non era niente. Forse per questo io oggi nell’album dei mie disturbi psichici l’ipocondria non ce l’ho. Mi manca. Doppioni di DOC e neanche un’ipocondria, questa sconosciuta.
A furia di sentirmelo dire, io ci ho sempre creduto che quel fastidio, quel malessere, quella ferita non erano niente. E qualche volta è successo che quelle tre parole agissero da lenitivo, antidolorifico, cicatrizzante.
Un attimo prima ero piegata in due pronta a richiamare al capezzale tutta la famiglia per le ultime volontà e un attimo dopo quel “non è niente” diventavo Massimo Decimo Meridio che tutto squartato e sanguinante fa arena pulita di fiere, gladiatori ed esattori. Ok, come lui, magari non tanto nel fisico quanto nello spirito combattivo.
Da piccola ogni tanto mi prendeva un dolore alle gambe. Una roba lancinante che chiaramente veniva liquidata con una diagnosi semplice e veloce: “dolori della crescita”. Giusto. Erano quelli, è vero. E li avrete avuti pure voi. Ma vostra madre vi massaggiava con l’alcol? La mia prima mi diceva che non era niente e poi, se proprio mi vedeva sofferente, effettuava questa pratica che doveva servire a riscaldare i muscoli (?) ma soprattutto a fingere di dare credito ai miei lamenti. Andavo a letto profumata come una corsia del Niguarda.
Comunque, già che ci sono un reclamo voglio farlo. Vista l’entità del dolore mi sarei aspettata una crescita delle gambe più soddisfacente. No, perché se Irina Shayk non li ha avuti i dolori della crescita mi incazzo davvero.
Questa tendenza a minimizzare mi è stata contagiata e credo che, se usata con criterio, faccia vivere sereni. Mai nessun allarmismo a casa mia. Nessuna corsa tempestiva allo specialista per un prurito al ginocchio. Nessuna ricerca su Google per rintracciare sintomi e risalire a patologie. Non è sottovalutare, non è trascurare, ma solo ponderare con senno e prendere una decisione quando si fa necessaria.
Sono trentatré anni che faccio così. Se il “non è niente” di mia madre è meno convinto e poco convincente, ci sarà quello perentorio di mio padre. Nessuno dei due ha una laurea in medicina ma una buona attitudine alla rassicurazione.
Io faccio lo stesso con chi mi circonda. Placo gli animi da dottor House e ridimensiono.
“Dai, è solo ipocondria, domani ti passa”. E poi spruzzatina di alcol, meglio se un Martini.
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