Quindi che facciamo a Capodanno?
Mai avrei pensato di dover ringraziare il governo del mio Paese per avermi risolto il Capodanno. Sono grata e sollevata. Quest’anno non solo c’è Speranza ma anche certezza che non potrà essere peggiore di certi altri passati. Nessuno mi chiederà “Quindi che facciamo a Capodanno?” e già questo è un successo.
Mi permetto di affrontare l’argomento con largo anticipo perché tanto siamo tutti nella stessa barca che a me pare una catamarano fighissimo onestamente. Dico, siamo tutti d’accordo che questa è l’unica nota positiva nelle nostre vite stravolte? Perché di sborsare un centinaio di euro per mangiare lenticchie e cotechino circondati da estranei che fingono meglio di noi di essere felici di essere lì alla fine non andava a nessuno.
Io negli ultimi anni ho finto meno perché ho lavorato e quindi fatturato quanto speso nei veglioni degli anni precedenti. E si sa che davanti a un conto in banca che ti sorride tu sorridi a tua volta.
Però, prima di questa matura e imbruttita presa di coscienza, sono stata una devota di San Silvestro anche io. Ne ho provate tante negli anni e non c’è un 31 dicembre che io ricordi con particolare affetto. C’è un 17 agosto a cui sono legata, forse anche un 13 maggio ma nessun 31 dicembre nella lista. Sono stati dei doverosi capodanni da trascorrere in un modo che era giusto ma mai davvero desiderato.
Ho ricordo di cenoni in casa, in famiglia. Finita la cena, poco prima della mezzanotte mi dedicavo a un restauro: trucco, parrucco, intimo rosso e outifit quasi sempre nuovo di zecca per accogliere il nuovo anno. Solo a rileggere queste confessioni mi vergogno, perciò vi capisco se siete travolti dalla voglia di interrompere la lettura, ma vi prego, restate, ora sono diversa, sono una persona nuova, non farei mai più queste cose. SONO CAMBIATA.
Io adesso quelle mutande con le cuciture in pizzo e l’agrifoglio decorato stampato sul davanti non le metterei mai. Già allora le indossavo sopra i miei slip bianchi. E’ chiaro che non avessi in programma nessun incontro intimo. E infatti. Però non c’era vigilia che io non andassi dall’estetista per una ceretta. Perché, insomma, oggi domani un concorso. Magari era quella la sera dei miracoli.
Però in una cosa non sono cambiata. Le mie priorità. I miei valori, quelli da custodire poi per tutto l’anno. L’intestino. Per me fondamentale, prima dello scoccare della mezzanotte, dopo l’abbuffata della cena, era andare in bagno. Non avrei potuto affrontare una serata di trenini e di Meu Amigo Charlie Brown portandomi dietro cotechino e lenticchie serviti al 90’ di questa partita con il colesterolo persa già all’antipasto.
Il resto era tutto uguale ogni anno: vestitini leggeri, freddo siberiano fuori, funghi accesi all’interno dei locali, gente sudata, consumazioni incluse in un biglietto per una serata in una casa di campagna di chissà chi, comprato in extremis da gente che si improvvisava Pr e l’unica lista che aveva visto nella sua vita era quella della spesa che gli consegnava sua madre.
Se era il tuo Capodanno finivi nel privé grazie a un braccialetto catarifrangente di cui il giorno dopo potevi spogliarti solo con l’ausilio di cesoie per metallo.
E così fino alle sette del mattino, quando al ritorno a casa trovavo mia madre in cucina e l’odore di sughi e arrosti a farmi perdere la cognizione del tempo: ma è ancora il cenone? Siamo ancora al secondo? Ché il film “E’ già ieri” è liberamente ispirato alla mia vita durante le feste natalizie. C’è Antonio Albanese ma non fa ridere. Come il display della bilancia il 7 di gennaio.
Ma quest’anno, cari lettori, è tutta un’altra storia. E ha un lieto fine.
Quindi che facciamo a Capodanno?
Io proverò sempre ad andare in bagno prima della mezzanotte, ché certe cose è meglio non portarle nell’anno nuovo.
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