Néo Kósmo: la deriva sociale della realtà virtuale
La deriva di un mondo privo di “contatto”, un Néo Kósmo parallelo in cui il calore umano è sostituito dalla freddezza dei robot. Un universo che non ha nulla a che vedere con le emozioni, i sentimenti, e perché no, anche la fragilità e la complessità degli individui in carne e ossa.
Nel mondo tratteggiato dal regista Adelmo Togliani, basta indossare un casco VR (Virtual Reality) per accedere alle proprie attività: lavoro, tempo libero, studio. Un complicato processo di spersonalizzazione e dissociazione dalla realtà che vede protagonisti i membri di una famiglia borghese. Immaginatevi una casa dove regna il silenzio assoluto. Genitori e figli che non parlano più tra loro, che non si guardano negli occhi, che non interagiscono. Vengono i brividi a pensare che fotogrammi di vita vissuta oggi nel nostro quotidiano possano in futuro assumere simili connotati.
Sono piuttosto critico sul comportamento che stiamo adottando nei confronti del prossimo e della Terra in genere. Non mi piacciono certe derive e avevo voglia di parlarne. Non sono certo io a dover giudicare, ma un’opera come Néo Kósmo pone delle domande a cui non si può restare indifferenti. Dove stiamo andando è sotto gli occhi di tutti.
Adelmo Togliani
Néo Kósmo fa proprio questo: esplora gli effetti di una fruizione sempre più invasiva di dispositivi e software, che ci allontanano lentamente, ma inesorabilmente, da relazioni interpersonali tangibili a favore dei rapporti virtuali e dell’automatismo.
Come individuo, ci racconta il regista del corto in concorso a Visioni Corte (Gaeta, 10- 19 Dicembre 2020), ritengo che nella vita reale le relazioni siano fondamentali. Noi siamo essere sociali, anche se l’emergenza Covid-19 ci ha obbligati a fare le “prove” allontanandoci fisicamente. Il contatto resta ancora un aspetto fondamentale della nostra socialità, anche se a volte presi come siamo da un’app o da una bacheca social sul telefono troppe volte dimentichiamo chi abbiamo di fronte. Succede molto più spesso di quanto immaginiamo: a tavola, durante una riunione, a teatro o al cinema. Tutto questo ci sta inaridendo, tutto sta diventando routine e talvolta possiamo essere equiparati a degli automi, che sono tra l’altro protagonisti del mio corto. Nel cortometraggio ho esaltato questa non socialità portandola all’estremo.
Sotto i riflettori il massiccio utilizzo di smartphone, tablet e social. Elementi di cui facciamo fatica a privarci. Mentre camminiamo, mentre parliamo, mentre mangiamo. Un nuovo modo di vivere la quotidianità che mette a rischio il rapporto vis à vis di generazioni diverse e il dialogo tra genitori e figli, e viceversa.
È vero anche che se non stiamo attenti i più piccoli potrebbero allontanarsi loro per primi. La cosa è vicendevole. Come genitore credo che mediare sia la soluzione migliore. Certe volte mi sorprendo delle attenzioni ‘fisiche’ che mio figlio richiede in un momento in cui sono io con la testa sul cellulare, ma capita anche il contrario. C’è una cosa su cui rifletto già da un po’. Nel caso di un adulto, e cito il mio caso, succede spesso che io risponda: “Arrivo”. Mentre quando sono io a stabilire un contatto del tipo: “Giochiamo con le costruzioni?” succede che lui scatti sugli attenti immediatamente, a dimostrazione che il contatto è qualcosa di innato e prioritario rispetto a tutte le altre attività di matrice tecnologica, sia in solitaria che in compagnia.
Néo Kósmo raccoglie interrogativi di natura etica offrendo al pubblico uno sguardo sul futuro prossimo, sull’intelligenza artificiale e sulle conseguenze del progresso tecnologico.
Fermare il progresso è operazione impossibile, ci dice Togliani, e non credo che nessuno abbia intenzione di farlo. Sicuramente la tecnologia va indirizzata, domata in alcuni casi, molto passa anche dall’educazione e da come ci avviciniamo a certi strumenti. Porto ad esempio il cinema. Un cellulare può essere utilizzato per immortalare una persona in situazioni intime – e fin qui non ci sarebbe nulla di male. Diversamente sarebbe se l’atto fosse compiuto all’insaputa dell’interessato e/o le immagini utilizzate al fine di compiere un attività di revenge porn. Ma grazie ad uno smartphone possiamo anche realizzare un’opera filmica cinematografica di denuncia di questi stessi abusi. È la consapevolezza del suo utilizzo che fa la differenza. Il cinema è qualcosa di magnifico, è arte, e anche un cellulare, seppur uno strumento così piccolo, ma potentissimo come sappiamo, può aiutare a realizzare un’opera d’arte. Sta all’educazione della narrazione per immagini farci scoprire come.
Néo Kósmo (presentato in anteprima nazionale alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Alice nella Città) segue l’uscita de “La Macchina Umana” (2017) e precede il “Patto col diavolo”, rappresentando quindi il secondo capitolo di una trilogia che vede sempre l’uomo al centro della vicenda.
Tutto è partito proprio con “La Macchina Umana” (diretto insieme a Simone Siragusano e con protagonista Valentina Corti) . Soprattutto la volontà di raccontare certe storie attraverso un genere, quello della fantascienza che sta attraversando un momento di grande riscoperta. L’uomo è il filo conduttore di tutti e tre. La tecnologia è sempre il mezzo, lo strumento – come dovrebbe essere anche nella realtà perché questo è il suo ruolo – che aiuta in tutti e tre i capitoli a parlare di noi come esseri umani e del nostro ruolo nel mondo. In futuro pensiamo anche ad una serie tv. Ci stiamo lavorando insieme allo sceneggiatore Gianni Quinto e con la nostra produzione, la Santa Ponsa Film. Cercheremo di coinvolgere nel progetto anche i nostri precedenti partner, primo fra tutti, la SMI Technologies and Consulting da sempre attenta a questo genere di tematiche.
A farci riscoprire e ad esaltare la profondità e la bellezza dell’empatia umana, per uno strano scherzo del destino, è proprio un androide. Protagonista della pellicola è infatti la tata di nome Alésia (che significa ‘colei che protegge’). L’automa fa da baby sitter al più piccolo della famiglia, Alan, che a dieci mesi non “vive” ancora di Néo Kósmo.
Il messaggio, ci spiega il regista, risiede proprio in questo: se lasciamo che la tecnologia prenda il sopravvento rischiamo di rinunciare a molto di ciò che fa di noi degli esseri umani e aggiungerei esseri sociali. Un giorno potremmo rinunciare a crescere un figlio e non per nostra scelta ma proprio perché il progresso tende ad andare in una direzione dalla quale non c’è ritorno.
Alésia è interpretata dall’attrice Giorgia Surina.
La cosa più importante che Alésia mi ha insegnato è saper ascoltare il silenzio. Per me che ho lavorato prima in una televisione musicale in diretta quotidiana con ritmi serratissimi, successivamente e tutt’ora in radio dove il silenzio è il peggior nemico, l’assenza di parole che permea il linguaggio silenzioso di Alésia è stato davvero un regalo prezioso. Il tempo in questa sua visione viene dilatato, l’atmosfera diventa densa di significati e tutto permette di percepire dettagli e sfumature che spesso scivolano via senza essere accolti come dovrebbero.
Alla voce “panoramica dei possibili rischi della realtà virtuale” su Google appare un lungo elenco che va dall’isolamento sociale, alla desensibilizzazione passando per l’acutizzazione di psicopatologie esistenti.
Francamente, ci racconta Giorgia, sento davvero una grande preoccupazione riguardo alla tendenza verso cui stiamo andando. Sono nata in un’epoca in cui non esistevano telefonini, i computer erano usati solo da esperti professionisti nel loro lavoro, il telefono era quello di casa con la rotella e, quando eri in giro e se proprio ne avevi bisogno, ti infilavi in una cabina telefonica. Ma, quando eri di fronte a qualcuno, sentivi davvero la sua presenza. Il tempo condiviso aveva davvero un valore. Il rischio più grande, oggi, è la solitudine in cui ci stiamo infilando. Non ce ne rendiamo conto ma per rimanere sempre connessi alla fine perdiamo il contatto con la realtà, con coloro che ci stanno vicini e rimaniamo inevitabilmente soli.
Insomma per Giorgia Surina, che sullo schermo interpreta un’androide, la scelta tra umanità e tecnologia è chiara: sono una persona estremamente legata alle emozioni, ai batticuore e alle farfalle nello stomaco. Tutto ciò mi tiene viva e mi dà la voglia di affrontare ogni giorno godendomelo come fosse l’ultimo. Anche perché si sa: anche il più performante dei computer ad un certo punto e senza un perché può andare in black out.
Néo Kósmo è frutto del lavoro di coppia di Adelmo Togliani e Laura Beretta. Uniti non solo sul lavoro (soci della Santa Ponsa film s.r.l.) ma anche nella vita privata. Accomunati dalla passione per la fantascienza e per l’esplorazione di quel delicato equilibrio del rapporto uomo/macchina messo a dura prova dall’evoluzione tecnologica.
Una passione che nasce sin dall’infanzia, ci racconta Laura: il ricordo più antico di tutti è certamente lo sceneggiato A come Andromeda di Vittorio Cottafavi. Ho ancora memoria di quella tensione e di quel senso di mistero che mi avvolgevano quando lo guardavo. Ho amato tantissimo serie tv come Galactica e ho abbracciato in toto l’Universo di Star Wars che per me ancora oggi è un capolavoro artistico e produttivo anche nei suoi sequel e spin off, come il recentissimo The Mandalorian. Amo molto anche il cinema di Cristopher Nolan e la sua costruzione attenta di ipotetici futuri, la sua capacità di indagare con egual attenzione il lato buio e quello più luminoso dell’essere umano. Sono tutti aspetti, quelli della profondità dell’animo umano e delle sue contraddizioni, che amo trovare nel cinema di fantascienza.
Tra le tante evoluzioni della tecnologia c’è tutto un settore che riguarda la realizzazione delle cosiddette “città del futuro” (intelligent cities o smart cities).
Quello che io desidero maggiormente per una “città del futuro” è che la tecnologia possa mettersi al servizio dell’ecologia e avere a cuore la tutela dell’uomo e della natura, in termini innanzitutto di salute. Sogno una città dove gli sprechi siano ridotti il più possibile e dove molte cose possano essere definite riconvertibili e rinnovabili. A partire da ciò che è più semplice e di facile fruizione, come gli utilissimi punti di erogazione automatica di acqua potabile nelle città, che rappresentano, già adesso, un abbattimento nel consumo di plastica. Sarebbe fantastico che ogni quartiere ne avesse almeno uno.
Già perché lo sviluppo della tecnologia, oltre alla deriva sociale, può sicuramente avere anche risvolti positivi. Come sempre la sfida sarà trovare il giusto equilibrio. In questo caso tra realtà e virtuale, tra uomo e macchina. Un Néo Kósmo in cui ci sia sempre una Alèsia di turno capace di non farci dimenticare mai che tutto può essere automatizzato, tranne le nostre emozioni.
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