Cose che non so fare
Quando alle scuole medie il mio insegnante di educazione artistica disse ai miei genitori che il disegno, come tutto il resto, s’impara, ché è questione di impegno e “allenamento”, io lì ho capito che è vero, per l’insegnamento bisogna essere portati. E lui invece non aveva capito niente, perché io l’unica cosa che ho imparato a fare con la matita è legarmi i capelli, faccio chignon da paura. Pure con una mano. Ma disegnare no, quello non lo so proprio fare. E si vede già dalla partenza, dall’impugnatura, dalla forza che imprimo sul foglio, dal tratto pesante della mina. Io non traccio linee, forme, io sporco la carta oppure la buco.
Da bambina con i pennarelli ti facevo buchi su carta e cartone che manco con le forbici dalla punta arrotondata. Ecco perché non avevo piacere né a disegnare né a colorare: ogni tentativo era sempre un buco nell’acqua, anzi no, nella carta. Ho sempre avuto la mano pesante, assolutamente in linea, d’altronde, con il resto del corpo.
In qualche modo questa incapacità è legata alla seconda cosa che non so fare. A connetterle la mia repulsione per la precisione, per l’esattezza, alle quali preferisco l’approssimazione, che a me piace chiamare “sentimento”. Preparare dolci, io non lo so fare. Pesare gli ingredienti con meticolosità, seguire i passaggi della preparazione con diligenza e alla fine curare anche l’estetica: tutto questo mi fa venire voglia di andare in pasticceria e pagare chi lo fa per mestiere, che io non sono nessuno per rubargli il lavoro.
A me della preparazione del dolce scoraggia tutto, a cominciare dagli ingredienti. Appena leggo vanillina per me è panico. Avrò comprato vagonate di vanillina nel corso della mia vita e mai una volta che io me la ritrovi al momento del bisogno. Ma che amica sei?
Dove va a finire la vanillina che compriamo? Se la mangiano le farfalline della dispensa? Io non lo so ma sta di fatto che non ne ho mai in casa. E allora piuttosto cambio ricetta e faccio una parmigiana che invece l’olio di semi ce l’ho sempre a ettolitri.
Ma mi sconfortano anche alcuni passaggi della preparazione come setacciare la farina. Perché devo farlo, a che pro? La vivo come una violenza al mio tempo, una perdita di minuti che nessuno mi restituirà mai più. Cioè io setaccio i profili social di gente che mi interessa, perché lì qualcosa alla fine trovo sempre. Ma nella farina che cosa vuoi scovare? Le farfalline sono tutte ad abbuffarsi di vanillina, lì dentro non ci stanno più.
Resto in cucina per confessare un’altra delle cose che non so fare. E questa però è quella che mi dà più dispiacere, non sono ancora giunta alla fase dell’accettazione. Io non sono in grado di strappare la carta forno/carta alluminio/pellicola trasparente utilizzando la parte seghettata della confezione. Non so da cosa dipenda ma davanti a questa invenzione mefistofelica io sono impedita. Forse non strappo in modo deciso, netto. Forse dovrei applicare la forza che riservo invece alla matita. Certo è che ogni volta è un disastro. Mi resta in mano un ritaglio di carta sbilenco, oppure finisco per rompere la confezione. Quando decido di fare le cose per bene mi servo delle forbici, ma mai una volta che riesca a fare un lavoro pulito con l’apposita seghettatura.
Si sarà capito che ho la manualità di una foca monaca. Ma forse lei un giorno imparerà a disegnare, vero prof?