… ai tempi di mio Nonno!
La Calabria raccontata da Gabriele Muccino sembra più quella della metà del secolo scorso, e non serve essere calabresi per rimanerne delusi.
Chiunque in questi giorni avrà sentito parlare dello spot sulla Calabria con la regia di Muccino e interpretato da Raoul Bova e Rocio Munoz Morales.
Senza criticare a priori, esaminiamo i punti principali che hanno deluso chi conosce questa terra bellissima e maledetta.
Il cortometraggio si apre con la prima battuta di Bova che sbaglia il congiuntivo ma tralasciamo. Inizia con una bella ripresa dall’alto su tornanti a strapiombo sul mare e la colonna sonora è una bella melodia che sembra francese di cui porta anche il nome francese “Rire colères et secrets” traduzione letterale: “risate, rabbia e segreti” e già nel titolo del brano non preannuncia nulla di buono.
La scelta di far conoscere la Calabria attraverso gli occhi di due innamorati può essere l’unica scelta azzeccata, quella veste romanzata di chi vive una vacanza amorosa in una cornice ricca di bellezza e storia, invece…
Un emigrato che torna nella terra di origine e che fa da guida alla sua compagna straniera, nei luoghi vissuti da bambino, una voce fuori campo che fa da storytelling ma che infondo storytelling non è.
Bova e Morales si amano, si è capito, ma perché perdere così tante scene sul loro rapporto avendo a disposizione solo otto minuti?
Che poi otto minuti sarebbero bastati a far vedere un po’ di Calabria, perché se ve lo siete dimenticati tra un pettorale, una coscia nuda e un bacio, di uno spot si tratta.
La scena successiva è costruita in una trattoria all’esterno, tavoli e sedie impagliate, tovaglia a quadri, peperoni ad essiccare e uomini con coppola e bretelle che giocano a carte. Tutto normale?
Peccato che il cortometraggio sia ambientato ai nostri tempi e non nel primo dopoguerra.
Raoul ha in mano un bergamotto – finalmente qualcosa di calabrese – si sente l’unico dialogo tra loro che abbia un qualcosa che possa pubblicizzare un prodotto del territorio. Ovvio che i prodotti son tanti e sarebbe stato impossibile parlare di tutti, ma perché non approfittare di un tavolo di una trattoria per non far vedere un tagliere colmo di salumi e prodotti enogastronomici? Nduja, salsiccia, soppressata, caciocavallo, patate silane, o delle cipolle rosse di Tropea, liquirizia o cedro, il tonno conosciuto nel mondo e potrei continuare.
In una scena cercare di inserire delle eccellenze, non dico tutte ma nemmeno parlare esclusivamente del bergamotto.
Un’altra scena colma di stereotipi è la passeggiata in piazzetta, stesse sedie impagliate, giovanotti in bretelle e coppola seduti a guardare, in uno spaccato storico che mi ricorda quello dei miei nonni negli anni 50, gli uomini in piazza vestiti nello stesso modo che aspettano le donne uscire dalla chiesa dopo la messa della domenica mattina.
Altra occasione mancata di citare nella sceneggiatura qualche località della Regione è quando Raoul dice: “io dappertutto ti porto!” (quasi ci stavo credendo) la Morales risponde: “allora da dove iniziamo?” E lui conclude la scena con un “ma quanto sei bella?” – rido al solo pensiero della faccia di ogni calabrese in quel momento; stesso finale di prima al tavolo concluso con una risata senza senso.
Scena successiva: corsa a perdi fiato verso una delle terrazze più belle della nostra terra ma anche la più conosciuta, quella di Tropea.
Quello che non riconosco però è il colore del mare, un verde radioattivo che di sicuro chi ha visto Tropea e quella costa si sarà domandato: lo avranno licenziato chi ha lavorato alla color correction?
Inaccettabile.
Altra scena, altro errore? Sì.
Ambientato in piena estate, la scena successiva è girata in un bellissimo campo di agrumi, quale calabrese non mangia e raccoglie clementine e arance d’estate? siccome non era chiaro ancora a tutti, perché limitare solo ad una scena, ne giriamo addirittura due\tre di scene nei campi. Tirando in mezzo il nonno agricoltore di Raoul.
“Sai come si fa a sapere se le arance sono buone?” Dice Bova – caro Raoul, immagino che d’estate siano spettacolari le arance, eh già!
Altre due scene veloci in una trattoria e ancora agrumi, un’altra terrazza con il mare verde evidenziatore (mai visto) e un altro bel campo, stavolta di grano.
Tra le tante cose da vedere in un’intera Regione, vuoi mettere un campo di grano?
“Che ne sai tu di un campo di grano?” cantava Battisti.
Campi di agrumi e campi di grano senza identità, girati in qualsiasi Regione meridionale, che sia la Sicilia, la Puglia o la Basilicata, e se di stereotipi non ce ne fossero stati abbastanza perché non inserire altri alberi di agrumi, un uomo con l’asinello in coppola e gilet? Praticamente l’unico uomo senza coppola in Calabria ho capito essere mio padre per come descrive Muccino.
Con tutti i luoghi magici e ricchi di storia di questa terra, colmi da una costa all’altra, siamo solo campi e campi?
La panoramica finisce su una cascina dove alloggiano i due innamorati che tra un bacio e un altro si affacciano alla finestra per vedere se gli agrumi stanno sempre là.
Siamo sul finale, Raoul uscendo dalla cascina che li ha ospitati fa la promessa di tornare ad Adelaide e Penelope (nomi tipicamente calabresi, così usati che gli unici li avrà trovati lui) che la prossima volta una delle due gli faccia trovare la soppressata quella con il FINOCCHIETTO? quale soppressata sulla faccia della terra esiste con il finocchietto? Nessuna!
Il finocchietto sta alla salsiccia come il pepe nero sta alla soppressata. Vergogna.
Qualsiasi calabrese lo sa, o anche solo chi l’ha assaggiata nella vita. Tranne lo sceneggiatore che forse un po’ di studio dietro sarebbe servito.
Altra passeggiata nei vicoli in cui la gente mangia solamente, come la Morales che credo sia vegana, perché figlia mia: sei in Calabria da giorni e mangi solo clementine, arance, fichi e ti volevi mangiare anche il bergamotto. Solo vegana puoi essere!
Ma con tutti i prodotti tipici è inaccettabile che niente e nessuno venga almeno citato. In un cortometraggio di otto minuti sulla Calabria, solo al quinto minuto si vede una spiaggia, l’acqua è sempre dello stesso verde, sempre la stessa corsa verso il mare – dovesse scappare – sempre lo stesso botta e risposta che perde l’occasione ancora una volta di raccontare qualcosa sulla Calabria.
La voce fuori campo cerca di sensibilizzare il cuore calabrese che ascolta, come a salvarsi in calcio d’angolo per tutti gli errori commessi in quello che doveva essere un omaggio alla nostra terra, che di nostro non c’è niente o quasi.
Il cortometraggio sembrava durasse otto minuti ma già a sei va a nero, due minuti di titoli di coda per giustificare i soldi spesi.
Sarà sicuramente uno spot diverso dalle altre Regioni (questo sicuramente ma per i soldi investiti) fino all’ultimo instante sembrava girato in qualsiasi altra Regione meridionale che abbia frutteti, campi di grano, vicoli e bel mare.
Uno spot che cambiando il nome alla fine rende tutto impersonale. Triste.
Per una volta si poteva mostrare la parte bella di questa terra, l’invito ad essere visitata per conoscere luoghi colmi di storia e fascino incontaminato e per qualche minuto dimenticare il volto buio conosciuto nei tg nazionali.
Di sicuro avrà un ritorno di immagine grazie a gli attori e il regista internazionale scelti, ma quale immagine ne torna della Calabria?
Credo nessuna.
“Morales” della favola? Molto Delusa.
Condivido in toto quanto dici. Un analisi perfetta di un cortometraggio che molti amatoriali avrebbero fatto meglio e certamente non avrebbero speso circa duemilioni di euro . Complimenti Emanuela ed auguri di ogni bene a te alla tua famiglia con tanta, tantissima buona salute.