Un viaggio senza classe…
Sono rientrata dalle vacanze già da una decina di giorni, quindi so come vi sentite ma passerà. A me è già passata, piango solo una, massimo due volte al giorno e di solito ore pasti, quando realizzo che tocca a me prepararmi da mangiare. Poi la nostalgia mi passa. Fosse così anche per la fame!
Comunque io in queste ferie estive ci ho visto del buono – più che altro nei piatti che mia madre mi sottoponeva giornalmente – ma anche del brutto. E quest’ultimo, tutto concentrato nel viaggio. Mai prendere un aereo mi è stato così pesante. E non parlo certo del bagaglio perché, come già detto qui, viaggio leggera.
Non mi lamenterò della mascherina. Del fatto che la indosso appena metto naso fuori di casa a Milano e la tolgo quando metto naso dentro casa a Trapani. Non mi dà fastidio che ci siano 40 gradi, che ho da prendere una metro, un pullman per l’aeroporto e che una volta lì (con un anticipo di almeno due ore) aspetto il mio volo sempre con la mascherina e che a quel punto non la toglierei nemmeno se mi fosse concesso perché tamponare gli ettolitri di sudore che nel frattempo si sono accumulati tra naso e bocca mi sarebbe impossibile e non potrei presentarmi al pubblico in quelle condizioni. Va bene non vergognarsi dell’efficiente lavoro delle ghiandole sudoripare in palestra, ma in qualsiasi altro contesto no, non è possibile.
Quindi, affatto provata da questi preliminari di viaggio, mi dico che una volta seduta al mio posto 32B mi rilasserò e mi godrò il mio volo. Un livello di illusione così alto nemmeno quando dopo dieci giorni in Sicilia salgo sulla bilancia credendo non sia successo niente al mio peso. Eppure ci credo fino all’ultimo. Magari accanto a me non ci sarà nessuno, o magari solo uno dei due posti è occupato e allora dai, si sta comodi così.
Le mie speranze si schiantano –ok, siamo su un aereo forse non sarebbe un termine appropriato, ma hey, sono qui sana e salva – sugli sguardi di 32A e 32C che avevano la mia stessa illusione e invece eccomi qua, io fra di voi.
Ancora sudata mi accomodo nel mio posto centrale. Sistemo la cintura, sistemo la borsa piccola sotto il sedile davanti e così do anche il tempo ai miei due vicini di posto di accettare che ci sono anche io. E se possibile di convincere della mia presenza anche i loro arti superiori gentilmente poggiati sui braccioli e incuranti del fatto che anche io vorrei usufruirne. Perché ok, non avrò pagato il bagaglio ma le braccia non potevo mica metterle in stiva. Il lasso di tempo non è bastato ai due signori, ma d’altra parte non basta una vita intera a imparare i concetti di educazione, garbo e – esagero- galanteria. Insomma mi ritrovo costretta nella mia poltrona a braccia conserte e accarezzata dalla peluria delle braccia dei due gentlemen accanto a me.
Inizio a formulare nella mia testa frasi che possano poi fuoriuscire dalla mia bocca e oltrepassare la mascherina mantenendo la parvenza di gentile richiesta, ma nulla, non riesco a mettere niente insieme che non contenga la parola “vaff…”. Per fortuna supero l’impasse grazie alla hostess che cerca qualcuno disposto a cambiare posto per questione di bilanciamento dell’aereo. Io sono la candidata perfetta, ho il peso che serve. Alzo le braccia, tutte e due, tanto non so dove metterle. E così mi conquisto la mia libertà, spicco il volo, poggiando le mie ali sui braccioli. Tra me e l’altro passeggero adesso c’è un posto vuoto. E l’altro passeggero stavolta è una ragazza, molto curata e ancora struccata. Ma ancora per poco. Dopo il decollo tira fuori dalla borsa la trousse e comincia. Ho trovato il modo di trascorrere l’ora e tre quarti che mi separano da casa: fissarla. Non so quante volte abbia intinto il pennello nei colori della palette ma, ad occhio, secondo me Caravaggio nel corso della sua vita molte meno.