L’isola che c’è (nel cuore)
La mie vacanze estive da qualche anno assomigliano alle scatole cinesi. Io mi muovo da Milano per raggiungere una grande isola, la Sicilia, dalla quale poi mi sposto per approdare in un’altra più piccola, Marettimo. La meno nota delle Egadi, sicuramente la meno mondana ma, a mio avviso, la più bella. Giuro che non ho stipulato alcun accordo con il suo Comune. Assicuro che nelle stories di Ig della prossima vacanza sull’isola non compariranno #gifted – #ad – SuppliedBy. Continuerò a pagarmi da sola il weekend a Marettimo o al massimo userò l’hashtag #parentsgift. Insomma questo post è solo per raccontare un posto che ho nel cuore da anni e uno dei miei grandi amori aveva tatuato nella spalla maquestaèunaltrastoria. Non so perché mi sono innamorata di quest’isola, ma a guardar bene dietro alle mie infatuazioni di motivi validi non ce ne sono. A confermarlo la lista di improponibili uomini clown di cui mi sono innamorata negli anni. Forse però una ragione c’è. Marettimo sa essere rassicurante, tra le sue vie strette e nella sua vegetazione selvaggia ci sono certezze. Tutto resta uguale, anno dopo anno. Non si muove niente, nonostante il vento. Non c’è niente di diverso nel percorso che dal paese conduce alle Case Romane. Una passeggiata che porta a 250 metri d’altezza, una vista mozzafiato. Sì, se il fiato ce lo avessimo ancora una volta arrivati in alto. Ogni anno mi dico che è l’ultimo, che per il successivo questa scarpinata me la devo risparmiare e invece poi sono di nuovo lì, sudata e affannata ma felice. E non è solo per il panorama ma anche per la chiesetta semi-abbandonata tra le rovine. Per il quaderno con i messaggi lasciati dai turisti, per le foto ingiallite in una nicchia e gli ex voto che di anno in anno si fanno più numerosi.
Non cambia niente nemmeno per le vie del paese. Le case sono sempre con le finestre e le porte aperte. Non c’è niente da nascondere o da custodire gelosamente. Perciò escono da lì il profumo di frittura e le chiacchiere di chi ci abita. Ma anche il silenzio dopo pranzo quando il caldo invita a stare dentro casa e riposare al fresco e con i capelli bagnati. Forse è questa familiarità ad avermi sedotta. Forse i bambini che vanno in giro da soli, scalzi e in costume. E io mi sento legittimata a fare lo stesso: cammino per le vie in bikini e con la certezza che nessuno scomoderà la buon costume. Non cambiano nemmeno i pescatori seduti al porto a intrecciare reti e riparare nasse. Ed è un sollievo ritrovarli ogni anno lì, con la pelle bruciata dal sole e le mani nodose. E’ un sollievo perché dopo di loro non ci sarà nessuno a fare questo lavoro, finisce una tradizione e dopo l’isola un po’ cambierà. Non cambia la magia delle grotte e l’incanto del mare cristallino. Il giro in barca e quegli scogli che hanno la forma di pipa o di cammello che io sistematicamente fatico a scorgere ma fingo di vederli e faccio contento chi sta al timone, Piero Angela in bermuda.
In quattro ore scarse si circumnaviga l’isola con qualche pausa per un bagno nelle calette. E appena metto piede a terra ho solo un obiettivo: i prodotti di tonnara e il pane del forno dell’isola. Si sa che il mare mette fame.
Ogni estate un fine settimana io lo dedico a Marettimo perché ho bisogno di certezze. Solo una non vorrei ritrovarla e invece resta: la carta igienica di un velo e mezzo nei bagni dei miei alloggi. Va bene vivere senza veli ma in bagno no, lì voglio la consistenza della terraferma.