Mi chiamo Romina, il mio nome è mai più.
Mi chiamo Romina, avevo tredici anni e papà mi ha uccisa. Il mio nome è mai più.
Mi chiamo Romina, avevo tredici anni e papà mi ha uccisa. Mi sono innamorata di un uomo più grande di me, lui ha ventotto anni. Papà si è opposto da subito alla nostra unione.
Vivevo in Iran con la mia famiglia ma sono fuggita per poter vivere la mia storia d’amore. La polizia mi ha ritrovata, mentre ero in fuga, e mi ha ricondotta a casa, malgrado io li abbia scongiurati di non farlo, di non farmi tornare là dai miei genitori, perché avevo paura di papà. Lui infatti tante volte ha provato a convincere mamma di indurmi al suicidio, perché secondo la sua idea ero colpevole di aver disonorato la famiglia.
La polizia però non ha ascoltato le mie suppliche e mi ha riportata indietro.
Quella mattina io dormivo ancora e mamma era uscita. Papà si è avvicinato al mio letto e con un machete mi ha decapitata.
Il giorno dopo il mio assassinio, sembra che mio padre stesso si sia consegnato alla polizia, con in mano l’arma insanguinata. Lo hanno arrestato e hanno comunicato, con poche parole, che era un sospettato d’omicidio e che era in prigione. Un sospettato. Non bastava che mi avesse decapitata e che si fosse presentato con la falce. No, risultava essere ancora un presunto colpevole.
Mi chiamo Romina, il mio nome è mai più. Nella foto per il mio funerale appaio sorridente, con un velo verde in testa e un mazzo di fiori gialli. Accanto all’immagine c’è un elenco degli uomini della mia famiglia. Il primo è mio padre, il mio assassino. Non sono una persona, sono la “figlia di”, la “nipote di”, la “sorella di”. E sono la “di” dei soli parenti maschi.
Molti parlano e raccontano che mio padre abbia agito così per una sorta di delitto d’onore. In realtà io non ho commesso nessun reato né contro la legge né contro la shari’a: ho semplicemente usato il mio libero arbitrio. Avevo tredici anni e dunque avevo raggiunto l’età del matrimonio per la legge iraniana. Se una ragazza decide di scappare per disaccordi con i genitori non è né un peccato né un reato.
Papà ha compiuto un delitto, che ha radici in una sbagliata cultura patriarcale e nella barbarie degli uomini. In nome di ciò che chiamano onore, in Iran come nel resto del mondo, vengono commessi questi orrori che tolgono il diritto alla vita.
Il mio brutale assassinio è stato un omicidio volontario e premeditato, per il quale la shari’a prevederebbe la pena capitale. Però papà potrebbe cavarsela con poco! Lui aveva preparato e architettato tutto.
Tanto è vero che tre settimane prima di uccidermi si era andato a informare su ciò che poteva capitargli in caso di infanticidio. Così si era recato da un avvocato, che lo aveva rassicurato sul fatto che avrebbe ricevuto al massimo una pena di dieci anni in prigione. Infatti il padre o il nonno paterno che uccide il figlio/nipote, se il colpevole e la vittima hanno entrambi la stessa religione e sono musulmani, non può essere punito con qesas, ossia la pena di morte. La punizione invece, in questi casi, si converte in diyhe (pena pecuniaria) e/o ta’zir (pena diversa dalla detenzione, ad esempio frustate).
Mi chiamo Romina. Il mio nome è mai più. L’uomo che avrebbe dovuto proteggermi mi ha uccisa.
Ho saputo che per il clamore della mia morte è stata chiesta una rapida approvazione di una nuova legge, contro la violenza sulle donne. Un progetto di legge fermo da tantissimi anni. Il provvedimento dovrebbe difendere le donne dalla violenza maschile e domestica: un fenomeno molto diffuso nella società iraniana, visto che alcuni studi e fonti ufficiali stimano che rappresenti il 20-30% dei crimini.
Noi donne iraniane siamo molto emancipate negli studi e nel lavoro, siamo avvocati e medici, guidiamo camion e pilotiamo aerei. Siamo la maggioranza dei docenti universitari, possiamo essere elette in Parlamento e designate come membri del governo. E nel mentre la legge ci impone di tenere il capo e le spalle coperte e ci impedisce di chiedere il divorzio, se non in casi specifici. Ecco perché ciò che mi è capitato ha scosso tanto l’opinione pubblica. Il nostro alto grado di istruzione, che ha contribuito alla crescita di una società civile, è in estremo conflitto con norme civili e penali troppo vecchie e che non si conciliano con la realtà.
Mi chiamo Romina, papà mi ha uccisa ma ho trovato un senso alla mia morte. In Iran è stato approvato finalmente un nuovo provvedimento per tutelare i minori, sia in caso di abbandono che di abuso fisico e psicologico. La nuova norma prenderà il nome di “Legge Romina”.
Con la recente legge vengono criminalizzati gli abusi fisici e stabilite anche delle punizioni più severe, da una multa al carcere, per chi ad esempio impedisce ai bambini di accedere all’istruzione, per chi li molesta emotivamente e fisicamente oppure per chi li costringe a lavorare. Inoltre, cosa importantissima, i funzionari della Magistratura e della sicurezza da ora sono obbligati a denunciare d’ufficio tutti i casi di abuso su minori e a salvaguardarli fino al completamento delle indagini.
Mi chiamo Romina e se questa normativa fosse stata in vigore solo qualche settimana prima, probabilmente io oggi sarei ancora viva. Polizia e giudice non mi avrebbero rispedita a casa dopo aver ascoltato le mie suppliche, dal momento che una decisione come la loro sarebbe stata illegale.
Con la Legge Romina è nata la speranza concreta che nel mio Paese nessun minore abbia in futuro la mia stessa sorte.
Mi chiamo Romina, avevo tredici anni, papà mi ha decapitata ma la cosa non passerà più inosservata e non apparirà come un delitto giusto. Mi chiamo Romina e il mio nome è mai più.