Il lavoro dei sogni
Il lavoro dei sogni nasce con te o almeno con quella te proiettata nel futuro.
Fin da piccola ti immagini qualcosa e quel qualcosa la maggior parte delle volte è qualcosa di bello.
Inizia tutto dai tuoi sogni e poi si scontra con la realtà, la tua realtà; il luogo in cui sei nata e cresciuta, la tua famiglia, le tue possibilità, la gente che crede in te e la scorpacciata di autostima che ti porti dietro, fondamentale! Il mio lavoro dei sogni è un lavoro settoriale e prettamente maschile quindi di autostima nella vita ne ho dovuto fare un’overdose.
Il lavoro dei sogni nasce con te, come quel neo che hai sulla pelle, cresce con te e non andrà mai via, ti capiterà di coprirlo, farai finta di non averlo ma è lì, sempre.
Il lavoro dei sogni è come un’ambizione di immaginarti quel qualcuno desiderato, per alcuni un sogno, per altri un’aspirazione innata, per alcuni qualcosa di imprescindibile, per altri un progetto sperato o una meta lontana.
Io, grazie a Dio, faccio parte di quel qualcuno che il lavoro lo ha scelto e non che il lavoro mi ha scelto; un giorno a 7 anni ho tenuto in mano la cinepresa “super 8” di papà e me ne sono innamorata. Ficcavo il mio occhietto in quel “mirino” per guardarci all’interno anche senza premere REC, già solo questo mi bastava.
Camminavo per casa e guardavo il mondo attraverso quel bianco e nero che però rendeva a colori i miei sogni.
Raccontavo la mia vita e le mie quotidianità a me stessa attraverso un occhio, fino a quasi perderci la vista; una telecronaca attraverso quella cinepresa che sembrava più una pistola da poggiare al viso.
Non c’era niente che mi potesse separare da essa, se non un infame scalino che mi fece cadere e con me la mia “super 8”. Si ruppe e andò a nero per sempre e con lei andò in standby la possibilità di essere la regista dei miei pomeriggi.
Continuai a immortalare con tutto quello che potevo e quando mia sorella maggiore comprò un registratore portatile in cassetta per le lezioni universitarie, avevo di nuovo il modo per “fermare il tempo”.
Il periodo era quello delle medie, le amiche di una vita, gli scherzi telefonici o di classe, troppa roba da memorizzare che neanche le cassettine bastavano più come le infinite risate a riascoltarci per ore.
Il tempo passava, andai alle superiori e il lavoretto estivo mi permise di guadagnarmi quel che bastava per acquistare una telecamera semi professionale che aprì nuovamente le porte al sogno.
I pomeriggi creai in casa un vero e proprio set con un tg satirico sul quartiere; la redazione era composta da mia sorella e dalle mie due cugine. Costruivo finte pubblicità con copioni e sceneggiature, coinvolgendo anche la nonna novantenne. Tutto girato in pianosequenza o con montaggio in camera in un fai da te che a distanza di anni mette i brividi. Ma quante risate, quanta fantasia mista a talento e voglia di fare di una ragazza che dello shopping delle coetanee non gliene importava nulla ma dava libero spazio a ciò che amava.
Otto giorni di gita a Praga in quinto superiore mi incoronano “Regista” dell’Istituto Tecnico Commerciale per Geometri, una richiesta ufficiale al Preside ci permise di visionare in Aula Magna insieme a tutte le classi quinte, le mie otto minidv di girato.
Tutto sembrava chiaro e scritto nel mio destino. Mi sentivo perfetta nei panni di chi sta dietro e dirige.
Fino a quando Roma che mi aveva vista nascere e poi partire venti anni prima, mi vide tornare e mi abbracciò nuovamente in quella che sembrava una rinascita ma stavolta professionale; mi iscrissi in una scuola di cinema e undici cortometraggi mi fecero capire che la tv sarebbe stata il mio futuro. Iniziai a lavorare come operatore di ENG, poi messa in onda e montatore video in tv locali, ingogliando bocconi amari che solo chi ha fatto gavetta può conoscerne il sapore, poi un’altra tv “Retesole” che mi adottò per sempre e mi permise di fare lo switch che si fa quando sogni di fare un lavoro al farlo veramente.
Essere montatore, cameraman e regista tutto insieme è qualcosa che ti distrugge fisicamente ma che ti appaga come niente al mondo, qualcosa che rinasce quotidianamente come l’appetito.
Ecco il mio lavoro dei sogni e grazie al Cielo l’ho realizzato, non mi sarei mai potuta immaginare a far altro nella vita, sempre pronta ad arrotolare le maniche della fatica e del cuore per saziare quella passione che infiamma dentro. Tante volte, vi giuro, sarebbe stato più semplice fare altri lavori ma io lo amo.
Continuo dopo anni a fermarmi per strada se vedo una troupe ENG, un microfono o un cameraman con la sua telecamera a tracolla ed è come se mi guardassi dentro, li vedo affaticati ma contenti di fare il lavoro più bello del mondo o semplicemente il lavoro dei sogni. Il mio è questo, qualcosa di disegnato addosso, come quando da bambino metti la mano sul foglio bianco e ne disegni tutti i contorni, così lo sento, cucito addosso.
Non dico che non sia un duro lavoro ma che la soddisfazione asciuga ogni fatica, il risultato è quel bel bicchierone di acqua ghiacciata a fine maratona, capace di strapparti un sorriso perché per esso hai quella voglia di fare sempre meglio.
Il lavoro dei sogni deve essere questo, un lavoro che forse lavoro non è: “scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua.” Confucio