Non avere paura, l’importante è esserci
Non avere paura, non avere paura, non avere paura. Continuavo a ripetermelo. Ultimo ciclo di chemio, solo un altro sacrificio. Forza! puoi farcela anche stavolta. In realtà non era il momento presente a preoccuparmi ma il futuro prossimo. Sapevo benissimo come avrei passato i successivi tre giorni. Una giostra che va, un saliscendi di nausee e mal di testa, vomito e tanta, spropositata, stanchezza. Montagne di emotività, da scalare e ridiscendere.
Mi chiamano per la terapia ed entro nella solita stanza, di cui ormai conosco anche gli angoli. E’ piccola e ricolma dell’odore del disinfettante e delle medicine. Però è anche piena di speranza, di chiacchiere e di sorrisi. C’è la malattia ma si respira la vita. Lì dentro siamo una accanto all’altra. Vicine, non solo fisicamente, legate e collegate. Basta poco con i compagni di chemio, per capirsi e per volersi subito bene. A volte è sufficiente uno sguardo.
La malattia ti fa conoscere un mondo parallelo, fatto dalle persone che soffrono, che combattono, che sperano e che vivono la vita più intensamente degli altri. Un microcosmo formato delle famiglie dei malati, che sono loro accanto e li accudiscono. Nondimeno è anche l’universo dei medici e degli infermieri che fanno di tutto per i loro pazienti.
Non avere paura mi ripeto. Guardo il mio braccio. Entrano ago e farmaco. Mentre la cura scende e salva la mia vita (a questo voglio credere intensamente) io non riesco nemmeno più a guardarla quella flebo. E pensare che le prime volte invece la fissavo e contavo le gocce che cadevano, quasi affascinata.
L’inferno tuttavia lo inizio il giorno dopo la chemioterapia, quando il mio corpo cede e la testa è confusa. E’ tutto un “voglio ma non ce la faccio”. Mi alzo dal letto e mi sposto sul divano. Mi levo dal divano e torno a letto. Una routine, un triste trantran. Per andare in bagno devo chiamare qualcuno e gli occhi sono pesanti, mi si chiudono.
Questo postumo della chemio nessuno l’aveva raccontato a me e non avevo neppure capito che mi potesse arrivare. L’ho scoperto dopo il primo ciclo di chemio “rosse” quando stupidamente ho pensato che fosse già tutto passato, con qualche nausea da arginare dopo l’adrenalina del cortisone. Pensavo che la mia vita non sarebbe cambiata, pensavo di poter fare tutto quello che avevo fatto fino al mese prima. (Sabrina Paravicini)
Non avere paura, passerà. Lo ripeto come un mantra. Arriveranno di nuovo i giorni sì, per ora c’è la fatigue e l’astenia con il corpo va giù. I ritmi sono rallentati, vorrei fare tante cose ma i muscoli dicono di no.
Non volevo dargliela vinta, questo si. Battevo i pugni sul tavolo, mi mettevo a gridare in casa da solo: Esci dal mio corpo, vai via! (Francesco Acerbi)
Il corpo detta regole, ignote prima d’ora, e io devo obbedire. Me ne faccio una ragione e mi riposo. Il sonno, che sembra una perdita di tempo e di giorni, è in realtà curativo. Mentre sonnecchio combatto una dura battaglia e nel frattempo imparo nuovi ritmi e inattesi punti di vista.
Una delle novità più importanti è che ho deciso di sorridere ogni giorno. Perché se è vero che non ho scelto di avere il cancro, è pur vero che ho stabilito io come combatterlo. Rido dei miei dolori e della perenne stanchezza. Faccio spallucce dei capelli che furono e mi mostro per quella che sono. Un’inedita consapevolezza si è fatta breccia. Ho capito e scelto chi voglio accanto.
C’era chi mi stava attorno per secondi fini, facendomi del male. Ho capito che andava allontanato. Che dovevo tenere accanto a me solo chi mi voleva davvero bene. (Francesco Acerbi)
E poi con il tempo ho imparato ad attendere, a sfruttare la pazienza per guardare in faccia ansia e timore. Perché, come diceva Giovanni Falcone, se impariamo a non farci condizionare dalla paura, allora diventiamo coraggiosi. E di coraggio ne ho tanto bisogno, per scalare una montagna sorridendo.