Bastardi per la vita

Bastardi per la vita

“Il sorriso del cane sta nella coda” (Victor Hugo)

Io e mio fratello abbiamo impiegato due anni per convincere mio padre a prendere un cane. Due anni di tormento puro. Lui era restio perché da giovane aveva sempre avuto cani, pastori tedeschi per lo più ma in particolare erano stati due setter irlandesi a rapire il suo cuore. Il problema è che aveva sofferto troppo alla loro morte. E quindi, dopo l’ennesima dipartita, aveva deciso: mai più.

Poi, una sera siamo andati al cinema.

Era uscito il film de “La carica dei 101″. Non so se è stato merito dei dalmata visti sullo schermo. Fatta sta che il giorno dopo ci convoca e ci dice: ” Va bene, prendiamo un cane. Però decido io la razza, il sesso e il nome”. Poco democratico, non c’è dubbio, ma abbiamo accettato. Visto l’impegno messo in quei due anni, sapevamo che questo era il miglior risultato possibile.

Fu così che nella nostra vita entrò Terry. Un bellissimo esemplare maschio di setter irlandese con tanto di pedigree. Solo l’amore che provo per le mie figlie è paragonabile a quello che ho provato per Terry. Un nome bizzarro ( per mio padre era il diminutivo di Terence), questo bellissimo essere dal pelo rosso e lungo ci ha conquistati in brevissimo tempo. Anche mia madre, la più restia a lasciarsi andare, ha ceduto quasi subito.

Terry è sempre venuto con noi in vacanza. Abbiamo festeggiato i suoi compleanni con tanto di torte fatte di carne macinata, biscotti e amici cani invitati in giardino. In una settimana ha portato a casa un’intera famiglia di ricci, uno al giorno. Ha scavato buche enormi e le lucertole lo facevano impazzire. Dormiva sotto il letto dei miei genitori e quando il sabato notte rientravo a casa un po’ più tardi dell’orario concordato, lui sbatteva così forte la coda che svegliava tutti.

Era una spia perfetta.

Quando uscivamo a fare la passeggiata, tirava così tanto che mi sembrava di essere caduta in una striscia del cane Sansone (di Brad Anderson). A 13 anni lo abbiamo dovuto operare alle corde vocali ed ha perso la voce. Ma lui non ci ha mai fatto caso perché nel frattempo era diventato sordo. Gli abbiamo insegnato a suonare un campanello messo a terra che mio padre gli aveva costruito, quando voleva rientrare dalla sua passeggiata in giardino. Terry è stato il cane che ha vissuto il primo anno di mia figlia Giulia. Aveva una pazienza infinita con lei, che gli faceva di tutto, anche mettergli i cerotti in fronte.

Terry è stato anche il cane che mi ha spinto a fare volontariato in canile. Quello di Roma all’epoca si trovava a Porta Portese, lungo il fiume. Un posto che ti da due possibilità: o decidi di rimanere oppure scappi. Io ho deciso di restare e per 10 anni ho svolto il mio turno di volontariato settimanale. Portavo fuori i cani, facevo le terapie, pulivo le gabbie. Ed ogni volta che rientravo a casa, quando Terry mi veniva incontro, gli dicevo che lui era proprio un cane fortunato. Se n’è andato a 17 anni. Ed è stato male solo l’ultima settimana della sua vita. In quella settimana, quando passava le ore a dormire, immobile nella sua cuccia, ti guardava come per dire: ” Io ho capito che me ne sto andando. Quando lo capirete anche voi”?

Terry

Si dice che, chi non ha un cane non può capire. Perché i padroni tendono ad umanizzarli ma secondo me non è così. Loro sono meglio di noi. E lo capisci solo vivendoci accanto.

In famiglia rimanere senza cane non è mai stata un’opzione. Così, dopo circa un anno dalla morte di Terry, abbiamo deciso di prendere un altro cane. Questa volta però lo avremmo fatto in canile.

Ecco, scegliere di regalare la libertà ad un cane che sta in gabbia è tra i gesti migliori che si possano fare.

Gli occhi di quel cane ti guarderanno sempre in un modo diverso. Siamo andati a cercare un cane di “massimo due anni, mi raccomando“, ci disse mamma. Siamo usciti con un cane che di anni ne aveva 10. Perché, un’altra cosa che ho scoperto vedendo per anni la gente che veniva in canile ad adottare un cane, è che non sei tu a decidere, ma è lui che sceglie te.

Brick (che in canile si chiamava Rouge) è stato con noi per soli tre anni. Aveva sempre vissuto per strada, dormiva negli androni dei palazzi, finché una sera, una signora di uno stabile dove si era rifugiato, ha chiamato i vigili e così si sono aperte per lui le porte del canile.

Brick

Ricordo che appena entrato dentro casa, ci guardava con sospetto. Non voleva addormentarsi perché aveva paura. Poi alla fine è crollato. Ci abbiamo messo un po’ per vincere la sua diffidenza. Se n’è andato un anno dopo mio padre. Io e mio fratello vivevamo già all’estero. Mamma era rimasta sola. Ci ha pensato un po’. In breve é passata dal “dopo Brick non prendo alcun cane perché si soffre troppo” a “ho visto un bastardino…è un amore. Che faccio? Lo prendo?” mi ha detto un giorno, in videochiamata.

Alvin

Alvin puzzava in un modo indicibile quando lo abbiamo tirato fuori dalla gabbia di quel rifugio dimenticato da Dio. Un anno nemmeno, tanta voglia di giocare, ed un affetto incredibile, fin dal primo giorno. In questi due anni ha sviluppato anche un amore viscerale per mamma. Ha combinato più danni lui che i due cani precedenti messi insieme. Ma come si fa a non amarlo, quando ti guarda con quegli occhioni dove leggi solo un immenso GRAZIE ?

Tutto questo bel racconto è iniziato perché volevo parlarvi di un libro molto bello, una fiaba rivolta sia ai giovanissimi che agli adulti, dove le autrici ricordano che l’amore non conosce barriere di specie né di età. Il racconto “Un occhio verde e uno blu” parla del legame forte e speciale che viene a crearsi fra il piccolo Giulio e l’anziana cagnolina Lia, finalmente sottratta, grazie alla scelta del bambino, alla reclusione del canile dove ha trascorso l’intera vita. Il libro è anche un progetto rivolto ai cani anziani dei canili.

Ecco, se state pensando di prendere un cane, fatevi prima un giro nel canile o nei rifugi della vostra città. Lì c’è sicuramente qualcuno che vi aspetta e state tranquilli: sarà lui/lei a farvi capire che siete proprio voi la persona giusta.

Paola Proietti

Classe '77, giornalista professionista dal 2008. Ho lavorato in radio, televisione e, vista l'età, anche per la vecchia carta stampata. Orgogliosamente romana, nel 2015 mi trasferisco, per amore, in Svizzera, a Ginevra, dove rivoluziono la mia vita e il mio lavoro. Mamma di due bambine, lotto costantemente con l'accento francese e scopro ogni giorno un pezzo di me, da vera multitasking expat.

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